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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

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La Grande Leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda

I personaggi e i fatti più importanti del ciclo arturiano e della Tavola Rotonda

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Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...

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giovedì 7 febbraio 2019

SCOPERTI NUOVI FRAMMENTI SULLA LEGGENDA DI MERLINO E DEI CAVALIERI DELLA TAVOLA ROTONDA


Da alcuni frammenti di pergamena risalenti al XIII è riemersa una nuova versione della leggenda di Mago Merlino, Re Artù, del Santo Graal e della celeberrima spada Excalibur. 
La scoperta è avvenuta nella Biblioteca Centrale di Bristol dove riposava un incunabolo risalente al XV secolo stampato a Strasburgo tra il 1494 e il 1502. Nei pochi frammenti scoperti, si parla della battaglia di Trebes e del discorso di Merlino ai cavalieri di Artù prima dell'inizio della battaglia. Dopo aver informato il quotidiano "The Guardian" la direzione della Biblioteca ha contattato Leah Tether a capo di una associazione specializzata nel mondo arturiano (International Arturian Society) che ha confermato l'alto valore storico della scoperta. Secondo un primo studio della Tether i frammenti recuperati potrebbero risalire ad una versione dell' "Estoire de Merlin" proveniente dal "Ciclo del Lancelot-Graal", ovvero "Lancillotto in prosa" un famoso ciclo di racconti utilizzati da Thomas Malory che furono rielaborati ne "Le Morte d'Arthur" vera e propria fonde di ispirazione per tutti i racconti sulle mitiche imprese di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda.

lunedì 25 maggio 2015

DOCUMENTARIO: "ALLA RICERCA DI RE ARTU'"

Un interessante documento su Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda, argomento ampiamente sviluppato su Sguardo Sul Medioevo dove troverete le biografie, i luoghi leggendari e tutto che quello che ruota su una delle più grandi storie di tutti i tempi!

venerdì 20 dicembre 2013

LA LEGGENDARIA FIGURA DI MERLINO

Quando sentiamo il nome Merlino, non possiamo non tornare indietro alla nostra infanzia quando ad ogni natale la Rai, che allora era un vero servizio pubblico, trasmetteva durante le feste "La Spada nella Roccia" della Disney. Il simpatico mago barbuto deve il suo nome da Geoffrey di Monmouth che lo chiamò così per la prima volta nonostante le tradizioni celtiche già lo chiamavano Myryddin dal nome della sua città natale: Caermyrddyn. Il Merlino storico visse probabilmente nel VI secolo; era un Bardo gallese - identificato da alcuni storici con un altro famoso Bardo, Taliesin - specializzato in testi profetici. La sua vita - almeno secondo le incerte cronologie del basso medioevo - fu incredibilmente lunga, tanto che certi commentatori ritengono che siano esistiti due Merlini diversi. Myrddyn era stato infatti consigliere del Re gallese Vortirgern, personaggio storico che regnò intorno alla metà del V secolo, e, più di cent'anni dopo, aveva combattuto a fianco di Re Gwenddolau contro Rhydderch il Generoso nella battaglia (perduta) di Arfderydd (575), dopo la quale, secondo la tradizione, il mago, impazzito dal dolore per la sconfitta, si sarebbe ritirato in una foresta per non mostrarsi più tra gli uomini. Secondo Geoffrey, i poteri magici di Merlino hanno un'origine diabolica. Un assemblea infernale - racconta la "Vita Merlini" - ordisce un complotto per generare una sorta di Anticristo destinato a diffondere il male nel genere umano. A questo scopo la figlia di un ricco mercante viene posseduta nel sonno da un "Incubo", ma rivela quanto è accaduto al confessore: questi traccia sul suo corpo il segno della croce, così, quando il bimbo nasce, è irsuto come un demone, ma non ha il desiderio di fare del male. Dal padre Satana, Merlino ha ereditato la capacità di conoscere il passato; Dio stesso, attraverso la madre, gli ha conferito il potere di prevedere il futuro. Molti anni più tardi, diventa consigliere di Re Vortingern, che libera da due draghi, poi di Re Uther Pendragon; questi si innamora della virtuosa Ygraine, moglie del Duca di Tintagel, la quale non ricambia le sue attenzioni. Il mago fa allora in modo che il suo protetto assuma magicamente l'aspetto del Duca: così, grazie a questo inganno, Uther concepisce Artù che Merlino prende sotto la sua tutela. Sarebbe con l'aiuto di Merlino che Artù riesce a compiere un prodigio, estrarre una spada misteriosamente conficcata  nella roccia, facendosi così riconoscere quale re dei Britanni. Dopo l'unificazione dell'Inghilterra, Merlino rivela al sovrano la sua missione più importante, la ricerca del Graal. Viene poi imprigionato in una tomba di cristallo da Nimue o Viviana, la "Signora del Lago" (da alcuni "unificata" con Morgana), ma continua a vivere "su un altro piano" dopo la morte di Artù. Secondo Geoffrey, Merlino è anche il responsabile della presenza del complesso megalitico di Stonehenge nella piana di Salisbury, dove l'avrebbe trasportato per mezzo delle sue arti magiche, anche se in realtà il complesso è ritenuto molto più antico rispetto all'epoca in cui dovrebbe essere vissuto il mago.  Secondo alcune dottrine esoteriche Merlino sarebbe uno dei "Superiori Sconosciuti" di Agharthi (etimologicamente "l'inaccessibile", centro spirituale del pianeta che si troverebbe nelle viscere della terra, popolato da esseri semidivini, governato dal re del Mondo, descritto, per la prima volta da Ferdinand Antoni Ossendowski in "Bestie, Uomini e Dei",1923): ad Artù, il suo discepolo prediletto, avrebbe affidato il compito di portare avanti l'antica tradizione magico-religiosa del leggendario regno sotterraneo. Per l'occultista inglese Dion Fortune (1891-1946), Myrddyn proveniva da Lyonesse, l' insediamento sprofondato al largo della Cornovaglia, da molti ritenuto una delle città di  Atlantide; dal Continente Perduto avrebbe importato culti esoterici e superiori conoscenze tecniche, diffusi poi tra i Celti dal discepolo Artù e dai suoi successori.

lunedì 29 luglio 2013

LA SPADA NELLA ROCCIA: MAGO MERLINO IN ITALIA. VIAGGIO TRA FANTASIA E REALTA'

La Toscana non ci "tradisce mai". L'appassionato di storia trova, in questa terra, davvero di tutto....dal Medioevo al Rinascimento, passando per luoghi particolari e poco conosciuti. Se nominiamo la città di Chiusdino, probabilmente non ci sovviene nulla: ma proviamo a spostare il raggio delle nostre ricerche a pochi chilometri da questa piccola città. Nei pressi di Siena vi sono dei posti magici e misteriosi che ci fanno tornare bimbi quando leggevamo di cavalieri, di armi, di draghi o quando, come nel caso della mia generazione di trentenni, ci si appassionava ai meravigliosi personaggi disneyani Semola, Merlino e Anacleto. E allora, saliamo su questa macchina del tempo e saremo catapultati ai tempi di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda arrivando a sfiorare, forse, il tanto ambito Santo Graal. Come ogni storia che si rispetti c'è sempre un personaggio chiave, in questo caso parliamo di un certo Galgano Guidotti. Egli nacque da una famiglia nobile nel 1148 a Montesiepi nei pressi di Siena e ha sempre condotto una vita molto licenziosa, dedita ai piaceri mondani e poco alla preghiera, fino a quando non decise di "spogliarsi" dei panni di uomo libertino per improntare la sua vita su una vera e propria ascesi e nel 1180 conficcò la sua spada in una roccia con l'intenzione di usarla come croce dinanzi cui pregare. Galgano non scelse un luogo qualsiasi, bensì il colle dove ebbe le sue prime esperienze mistiche e dove il suo cavallo si inginocchiava ogni qual volta vedeva la figura dell'Arcangelo Gabriele sempre sullo stesso masso, masso che ora è custodito nella casa di Galgano a Chiusdino a pochi chilometri dal luogo dove ora la nostra macchina del tempo virtuale ci ha portato. Galgano morì il giorno 3 dicembre dell'Anno del Signore 1181 e già nel 1185 Papa Lucio III lo proclamò santo stabilendo un vero e proprio "record" in fatto di processi di canonizzazione. Negli anni successivi fu costruito un eremo e una chiesa tonda, famosa come Rotonda di Montesiepi e nel 1128 iniziò la costruzione della splendida e suggestiva Abazia di San Galgano (particolarmente affascinante al tramonto) e consacrata nel 1288. L'Abbazia è stata molto importante non solo per la bellezza in sé dell'opera ma anche perchè era un punto di riferimento irrinunciabile per viandanti, pellegrini e commercianti. Ma nell'anno 1348 l'abazia iniziò a perdere importanza ed "abbandonarsi" fino al 1926 quando partirono i lavori per il restauro.



La cappella di Montesiepi è una piccola chiesa situata a pochi metri dall'abazia di San Galgano e al centro della cappella che corrisponde al centro di un labirino sacro (simile a quello della cattedrale centrale di Chartres) troviamo la Spada nella Roccia. Alcuni studiosi vedono punti di contatto tra Galgano e Artù sia perchè i fatti risalgono al XII secolo e anche perchè uno dei famosi Cavalieri della Tavola Rotonda si chiamava Galvano la cui assonanza è molto evidente. La spada è stata oggetto di studi approfonditi. Dagli esami fatti, essa corrisponderebbe al XII secolo dato che il metallo usato era purissimo e non era mischiato con altre leghe o acciaio di epoca successiva. Nell'eremo sono presenti anche le braccia di uno dei tre monaci che nel 1181 tentarono di impadronirsi della spada. Cosa accadde? I tre monaci entrarono di soppiatto in chiesa e tentarono di estrarre la spada dalla roccia; Galgano fu avvertito del fatto durante un sogno, si recò in fretta e in furia in chiesa e colse i tre monaci in flagrante: uno fu colpito dal fulmine, l'altro annegò in un fiume, il terzo fu letteralmente sbranato da un lupo che ne amputò anche le braccia. L'esame al Carbonio 14 ha rivelato che gli arti sono collocabili al secolo XII. Montesiepi era un luogo sacro ai celti e lo stesso eremo, che come abbiamo visto ha una forma circolare con cerchi concentrici il cui centro corrisponde con la spada che ora è posta sotto una teca di vetro, potrebbe racchiudere un enigma secolare, qualcuno addirittura ritiene che in questa zona vi sia il Santo Graal. 



Seguendo questo itinerario immaginario dal sapore medievale "cavalleresco", arriviamo ad Arcidosso vicino a Grosseto ricca di simboli templari. Sul monte Amiata troviamo una grotta particolare, una spelonca per la precisione, la quale si dice sia stata la "casa" del leggendario Mago merlino! Avete capito bene...il simpatico uomo barbuto che ricordiamo con sulla spalla il cinico Anacleto il "gufo altamente istruito". Avvicinandosi all'ingresso della grotta vi è una lapide che recita:
"Questa è l’antica memorabile grotta che edificò Merlino il savio mago, qui il Peri musa naturale indotta spiegò il suo genio portentoso e vago”. 
Sembra che sotto la grotta siano probabilmente presenti oggetti metallici. 

Una leggenda molto antica della zona narra di un drago: il Drago di Santa Fiora...si dice che i frati del convento della Selva si erano accordi della presenza di un drago che non solo mangiava il bestiame ma anche uomini. I frati dopo aver chiesto invano l'aiuto al Conte Guido degli Aldobrandeschi chiesero aiuto proprio a Merlino che chiamò il cavaliere Giorgio che uccise il drago. Si dice che la mascella che ora è conservata nel convento della selva corrisponda proprio a quella del drago. In realtà potrebbe essere la mascella di un coccodrillo.

L'EREMO DI MONTESIEPI

La cappella di San Galgano a Montesiepi è un edificio sacro che si trova in località Montesiepi a Chiusdino, in provincia di Siena. Vi è conservata la spada che, secondo la tradizione, Galgano Guidotti avrebbe infisso nella roccia in segno di rinuncia alla vita mondana. Fu costruita sul luogo dove il nobile cavaliere Galgano Guidotti si ritirò e visse da eremita fino alla morte, nel 1181. Il primitivo edificio era già completato nel 1185. Nel XIV secolo la cappella venne ingrandita tramite la realizzazione dell'atrio e della cappella laterali. Nello stesso periodo venne aggiunta anche la parte superiore esterna del tamburo e il campanile a vela formato da due monofore sovrapposte. Nel XVII secolo sopra al tetto venne realizzata la lanterna cieca e alla fine del XVIII secolo venne costruita sulla destra della cappella la casa canonica e gli edifici ad uso agricolo.
Nel 1924 venne restaurata e nel 1974 il restauro si estese agli edifici attigui. L'estero possiede una singolare forma cilindrica. L'esterno della cappella presenta, nella parte inferiore, un paramento murario realizzato con bozze di travertino disposte a filaretto e nella parte superiore un paramento murario bicromo a fasce bianche (travertino) e rosse (mattoni), motivo che si ritrova anche nelle cornici delle monofore. La facciata del pronao è dominata da un'apertura con arco a tutto sesto nel quale viene ripetuto il motivo della bicromia; al disopra è collocato uno stemma mediceo e al culmine della facciata si trova un cornicione decorato con sculture antropomorfe (3 teste umane), zoomorfe (una testa bovina) e fitomorfi (una foglia), sculture riferibili al primo nucleo dell'edificio. Nell'impianto si inserisce anche una piccola abside semicircolare. L'interno è molto suggestivo e presenta un basamento circolare in pietra e la copertura è stata realizzata mediante una volta emisferica ad anelli concentrici in bicromia (cotto e travertino). Questo tipo di realizzazione è riferibile all'ambito del romanico pisano-lucchese che qui mostra una delle prime  manifestazioni in terra senese. La copertura ricorda quella delle tombe etrusche a tholos. La parete circolare è aperta da quattro monofore asimmetriche a doppia strombatura. Dalla parte opposta all'ingresso si apre il volume semicircolare dell'abside. Al centro si trova il celebre masso nel quale è inserita la spada di San Galgano.Sulla parte sinistra, rispetto all'ingresso, si trova una cappella dalla pianta rettangolare coperta con una volta a crociera; tale cappella è stata realizzata all'inizio del Trecento e affrescata tra il 1334 e il 1336 da Ambrogio Lorenzetti. Gli affreschi si presentano molto deteriorati, anche se nel 1967 sono stati prima staccati per restaurarli e poi ricollocati nella loro sede insieme alle rispettive sinopie venute in luce durante i lavori.
Alla parete di fondo si trova raffigurata la Maestà. In tale raffigurazione si vede in basso Eva sulle cui spalle si trova una pelle di capra (a simboleggiare la lussuria) mentre con una mano sorregge un fico (simbolo del peccato) e con l'altra mostra un cartiglio dove viene spigata la morale della scena. La Madonna nella prima raffigurazione aveva nella mano sinistra uno scettro e sulla destra, invece del bambino, un globo (simbolo di potere generalmente riferito ad uomini). Grazie ai restauri si è potuto appurare che questa primitiva e audace versione venne cancellata dal Lorenzetti e sostituita dall'attuale, molto più tradizionale. Sulla stessa parete, in basso, si trova un affresco raffigurazione l'Annunciazione con al centro la finestra (vera) della cappella usata dal Lorenzetti quale elemento della raffigurazione. Nella parete sinistra, in alto affresco con Galgano circondato da Santi e Angeli offre un modello della roccia dov'è infissa la spada e nella parte inferiore Veduta di città con figure alate. Nella parete di destra, in altro sinopia di Santi e Angeli (l'affresco è andato parzialmente perduto) e nella volta tondi con raffiguranti dei Profeti.  

Fonte: Wikipedia

Immagine tratta da Wikipedia, Autore: Vignaccia76

L'ABBAZIA DI SAN GALGANO

L'abbazia di San Galgano è un'abbazia cistercense, sita ad una trentina di chilometri da Siena, nel comune di Chiusdino. Il sito è costituito dall'eremo (detto "Rotonda di Montesiepi") e dalla grande abbazia, ora completamente in rovina e ridotta alle sole mura, meta di flusso turistico. La mancanza del tetto - che evidenzia l'articolazione della struttura architettonica - accomuna in questo l'abbazia a quelle di Melrose e di Kelso in Scozia, di Tintern in Galles, di Cashel in Irlanda e di Eldena in Germania e il Convento do Carmo a Lisbona. Di san Galgano, titolare del luogo che si festeggia il 3 dicembre, si sa che morì nel 1181 e che, convertitosi dopo una giovinezza disordinata, si ritirò a vita eremitica per darsi alla penitenza, con la stessa intensità con cui si era prima dato alla dissolutezza. Il momento culminante della conversione, avvenne nel giorno di Natale del 1180, quando Galgano, giunto sul colle di Montesiepi, infisse nel terreno la sua spada, allo scopo di trasformare l'arma in una croce; in effetti nella Rotonda c'è un masso dalle cui fessure spuntano un'elsa e un segmento di una spada corrosa dagli anni e dalla ruggine, ora protetto da una teca di plexiglas. L'evidente eco del mito arturiano non ha mancato di sollevare curiosità e, ovviamente, qualche ipotesi ardita su possibili relazioni fra la mitologia della Tavola Rotonda e la storia del santo chiusdinese. Per volontà del vescovo di Volterra Ugo Saladini nel luogo della morte di San Galgano fu edificata una cappella terminata intorno al 1185. Il vescovo a lui succeduto, Ildebrando Pannocchieschi, promosse invece la costruzione di un vero e proprio monastero. Negli ultimi anni della sua vita Galgano era entrato in contatto con i Cistercensi e furono proprio loro ad essere chiamati a fondar la prima comunità di monaci che risulta già attiva nel 1201; a quel tempo la chiesa di Montesiepi risultava come una filiazione dell'abbazia di Casamari. Sotto l'impulso di questo primitivo nucleo monastico, ai quali si erano uniti molti nobili senesi e alcuni monaci provenienti direttamente dall'abbazia di Clairvaux nel 1218 si iniziarono i lavori di costruzione dell'abbazia nella sottostante piana della Merse. Il progettista sembra sia stato donnus Johannes che l'anno precedente aveva portato a termine i lavori nell'abbazia di Casamari. I lavori andarono avanti speditamente, tanto che già nel 1227 sono testimoniate una chiesa superiore (Montesiepi) e una inferiore. Nel 1228 una delle infermerie era stata completata e l'anno successivo terminarono i lavori di costruzione della cella abbaziale. A dare l'impulso ai lavori fu soprattutto l'enorme patrimonio fondiario che i monaci erano risusciti ad accumulare, grazie a donazioni e lasciti e anche grazie a numerose concessioni ecclesiastiche che permise loro di entrare in possesso dei beni delle abbazie benedettine dei dintorni, tanto che alla metà del XIII secolo l'abbazia di San Galgano era la più potente fondazione cistercense in Toscana. Essa fu inoltre protetta e generosamente beneficiata dagli imperatori Enrico VI, Ottone IV e dallo stesso Federico II, che confermarono sempre i privilegi concessi aggiungendone via via degli altri, ivi compreso il diritto di monetazione. Il papa Innocenzo III esentò l'abbazia dalla decima.
Nel 1262 i lavori erano quasi completati e nel 1288 venne consacrata. La grande ricchezza dell'abbazia portò i suoi monaci ad assumere una notevole importanza economica e culturale tanto da spingere la Repubblica di Siena a stringere stretti legami con la comunità. Già nel 1257 il monaco Ugo era stato nominato camerlengo di Biccherna, cioè responsabile dell'erario della Repubblica. Il monaco Ugo fu solo il primo di tutta una serie di monaci di San Galgano che occuparono quella carica. Ma i rapporti non furono solo economici. La Repubblica dette infatti ai monaci il compito di studiare un acquedotto che dalla valle della Merse dovesse portare l'acqua a Siena e inoltre i monaci furono tra i primi operai della cattedrale senese; tra gli operai va segnalato frate Melano che nel 1266 stipulò il contratto con Nicola Pisano per la realizzazione del celebre pulpito della cattedrale. Anche nel territorio circostante i monaci fecero degli interventi: dettero inizio ai lavori di prosciugamento e bonifica delle paludi circostanti e regimentarono il corso della Merse per sfruttarne l'energia idraulica; il monastero infatti possedeva un mulino, una gualchiera per la lavorazione dei panni e una ferriera. Nel XIV secolo la situazione iniziò a peggiorare: prima la carestia del 1328 poi la peste del 1348, che vide i monaci duramente colpiti dal morbo, portò all'arresto dello sviluppo del cenobio. Nella seconda metà del secolo l'abbazia, come tutto il contado senese, venne più volte saccheggiata dalla compagnie di ventura, tra le quali per ben due volte da quelle di Giovanni Acuto, che scorrazzavano per il territorio. Tali vicende portarono ad una profonda crisi nella comunità monastica, tanto che alla fine del secolo essa si era ridotta a sole otto persone. La crisi continuò anche nel XV secolo. Nel 1474 i monaci fecero edificare a Siena il cosiddetto Palazzo di San Galgano e vi si trasferirono, abbandonando il monastero. Il patrimonio fondiario rimaneva tuttavia intatto e tale da scatenare una contesa tra la Repubblica di Siena ed il Papato. Nel giugno del 1506 papa Giulio II scagliò l'interdetto contro Siena perché aveva contrapposto il cardinale di Recanati al candidato papale Francesco da Narni per l'assegnazione dei benefici abbaziali. In questo contrasto politico, la Repubblica di Siena, guidata da Pandolfo Petrucci, resistette ordinando ai sacerdoti la celebrazione regolare di tutte le funzioni liturgiche.
Nel 1503 l'abbazia venne affidata ad un abate commendatario, una scelta che accelerò la decadenza e la rovina di tutto il complesso. Il governo degli abati commendatari si rivelò scellerato, tanto che uno di loro, alla metà del secolo, fece rimuovere per poi vendere la copertura in piombo del tetto della chiesa: a quel punto le strutture deperirono rapidamente. Risulta da una relazione fatta nel 1576 che abitasse presso il monastero un solo monaco, che neanche portava l'abito di frate, che le vetriate dei finestroni era tutte distrutte, che le volte delle navate erano crollate in molti punti e che, presso il cimitero, rimanevano solo parte delle rovine delle infermerie, demolite all'inizio del Cinquecento. Nel 1577 furono avviati dei lavori di restauro, ma furono interventi inutili che non riuscirono minimamente ad arrestate il progressivo degrado. Nella relazione fatta nel 1662 si legge che "La chiesa non può essere tenuta in peggior grado di quello che si trova e vi piove da tutte le parti". Nella prima metà del Settecento il complesso risultava ormai crollato in più parti e quelle ancora in piedi lo erano ancora per poco. Infatti nel 1781 crollò quanto rimaneva delle volte e nel 1786, dopo che un fulmine lo aveva colpito, crollò anche il campanile; si salvò la campana maggiore, opera del Trecento, ma per poco, infatti pochi anni dopo venne fusa e venduta come bronzo. Negli anni seguenti l'abbazia venne trasformata addirittura in una fonderia, fino a che nel 1789 la chiesa fu definitivamente sconsacrata e abbandonata. I locali del monastero invece diventarono la sede di una fattoria e vennero parzialmente restaurati già nei primi decenni del XIX secolo. Verso la fine dell'Ottocento l'interesse verso il monumento riprese. Si iniziò ad ipotizzare il restauro, si fece un rilievo delle strutture architettoniche e tutto l'edificio fu al centro di un corposo studio storico al quale si accompagnò una campagna fotografica eseguita dai Fratelli Alinari di Firenze. Nel 1926 si iniziò il restauro eseguito con metodo conservativo, senza realizzare ricostruzioni arbitrarie o integrazioni: si decise semplicemente di consolidare quanto rimaneva del monastero. L'ipotesi che trova attualmente maggiori riscontri è che l'esecuzione della chiesa sia iniziata a partire dall'abside. Questa è la parte che maggiormente rispetta i canoni cistercensi: in special modo nella zona del coro e del braccio meridionale del transetto caratterizzati dall'uso di travertino e dalle aperture minori. Nel braccio settentrionale e nelle ultime campate della chiesa le aperture sono più grandi. Per quanto riguarda l'attribuzione, si pensa che la parte orientale sia stata realizzata da donnus Johannes mentre la parte occidentale da frate Ugolino di Maffeo, documentato nel 1275. La chiesa rispetta perfettamente i canoni della abbazie cistercensi; tali canoni erano stabiliti dalla regola di San Bernardo e prevedevano nome precise per quanto riguarda la localizzazione, lo sviluppo planimetrico e lo schema distributivo degli edifici. La abbazie dovevano sorgere lungo le più importanti vie di comunicazione (in questo caso la via Maremmana) per render più agevoli le comunicazioni con la casa madre; inoltre in genere erano poste vicino a fiumi (qui la Merse) per poterne sfruttare la forza idraulica; e infine in luoghi boscosi o paludosi per poterli bonificare e poi sfruttarne il terreno per coltivazioni. Dal punto di vista architettonico gli edifici dovevano essere caratterizzati di una notevole sobrietà formale. La chiesa è perfettamente orientata, cioè ha l'abside volta ad est, ed ha una facciata a doppio spiovente che dall'esterno fa capire la divisione spaziale interna, in questo caso a tre navate. Nella parte inferiore della facciata vi sono quattro semicolonne addossate a lesene che avevano il compito di sostenere un portico, peraltro mai realizzato; l'ingresso all'aula liturgica è affidato a tre portali con arco a tutto sesto ed estradosso a sesto acuto, oggi chiusi da inferriate. Il portale maggiore è decorato con un fregio in cui sono scolpite delle figure fitomorfe a foglie di acanto. Nella parte superiore della facciata, forse rimasta incompiuta, sono collocate due finestre a sesto acuto; la parte terminale è stata reintegrata all'inizio del XX secolo con laterizi. Le fiancate laterali permettono una completa lettura delle caratteristiche salienti dell'edificio. Nella parte inferiore, per tutta l'altezza delle navate laterali, vi sono aperture realizzare con monofore strombate con arco a tutto sesto mentre nella parte superiore, corrispondenti alle pareti della navata centrale, sono presenti delle grandi bifore, tranne che nelle due ultime campate vicino al transetto, dove le bifore sono sostituite da monofore ad arco a tutto sesto sovrastate da un oculo; tutte le colonnette di divisione delle bifore sono andate perdute, ad eccezione di una finestra posta sul fianco destro. Nel fianco sinistro, caratterizzato dall'assoluta omogeneità e accuratezza costruttiva del paramento murario, risulta notevole il prospetto del transetto, che mostra elementi architettonici di grande rilievo come la trifora, il contrafforte di sinistra aperto da piccole feritoie e al cui interno è posta una piccola scala a chiocciola e il portale che immetteva nel cimitero. Il cimitero era posto lungo questa fiancata e il suo limite era costituito dalla cappella del XIII secolo costruita in mattoni che è ancora presente. Massima opera architettonica è l'abside, la prima parte della chiesa che vedeva chi arrivava dalla via Maremmana. Si presenta racchiusa tra due contrafforti e mostra due ordini di aperture di tre monofore ad arco a sesto acuto; in alto è conclusa da un grande oculo sopra il quale ve ne è uno più piccolo; entrambe le cornici di questi oculi sono riccamente decorate. Lo stesso motivo della monofora sovrastata da un oculo si ritrova nel prospetto laterale del transetto; due di questi oculi, uno visibile dalla parte posteriore e uno dalla fiancata destra, mostrano ancora la decorazione originale. Nella parte sinistra dell'abside si trovano una porta e una monofora. Questo è quanto rimane del campanile crollato nel 1786, Va detto che nelle abbazie cistercensi la presenza della torre campanaria era un fatto assolutamente eccezionale. Sulla fiancata destra si sviluppava il chiostro, attorno al quale ruotava tutta la vita dell'abbazia. Il chiostro risultava completamente distrutto già nel XVIII secolo, ma durante i restauri degli anni venti si decise di ricostruirne, con i materiali originari, almeno una piccola parte, composta da arcate con colonne binate che permettono di intuire la notevole bellezza originaria. Nella fiancata destra si possono ancora notare le mensole su cui si appoggiava la struttura portante del portico. L'interno della chiesa si presenta privo della copertura e del pavimento, sostituito da terra battuta che in primavera si trasforma in un manto erboso.
La chiesa ha una pianta a croce latina di 69 metri di lunghezza per 21 di larghezza ed è conclusa con un ampio transetto. Lo spazio interno è diviso longitudinalmente in tre navate di 16 campate di pilastri cruciformi. Il transetto è suddiviso in tre navate, con quella orientale trasformata in quattro cappelle rettangolari poste due a due laterali a quella maggiore, la quale presenta una semplice abside rettangolare. Sia le cappelle che le campate minori del transetto mostrano ancora l'originaria copertura con volte a crociera poggianti su costoloni. In queste cappelle venivano effettuate delle funzioni liturgiche: a testimonianza di ciò nelle pareti sono visibili due nicchie, la minore usata per custodire le ampolle e la maggiore come lavabo quella più grande. Nella parete di fondo del transetto sinistro vi sono due porte: una dà accesso alla scala a chiocciola che conduceva nel sottotetto e l'altra al cimitero. Nella parete di fondo del transetto destro si trova la porta che dava accesso alla sagrestia e una apertura posta in alto sulla destra grazie alla quale i monaci, usando una scala in legno, potevano accedere direttamente alla chiesa dal dormitorio per svolgere le funzioni notturne e mattutine. Il campanile si trovava in corrispondenza della prima cappella del transetto di destra. Il transetto e le prime due campate del braccio longitudinale erano la zona riservata ai monaci; all'altezza della seconda campata di destra nel 1288 venne costruito un altare eliminando la base della semicolonna mentre la parte superiore venne ornata con una calotta decorata a figure fitoformi. Notevoli nella navate centrale sono gli archi a sesto acuto a doppia ghiera, le semicolonne da cui partivano le volte che coprivano le navate, la doppia cornice sopra le arcate e le decorazioni floreali sui capitelli. Tra i capitelli il più interessante è quello del primo pilastro di sinistra decorato con una figura antropomorfa, che potrebbe anche raffigurare l'ultimo architetto della chiesa, Ugolino di Maffeo. Sulla parete di destra all'altezza dell'ultima campata vi è un portale che originariamente dava accesso al chiostro e che attualmente costituisce l'ingresso principale alla chiesa. Del chiostro è visibile solo il lato orientale, allineato con il transetto sud: già nel XVIII secolo era completamente distrutto e gli attuali resti risalgono agli anni venti, quando fu deciso di ricostruire alcune arcate con colonne binate utilizzando i materiali originari. La sacrestia è posta al piano terreno ed è il primo ambiente che si trova venendo da sinistra. La sacrestia è coperta con due grandi volte a crociera e in questa sala sono ancora visibili tracce di affreschi dell'originaria decorazione pittorica. Attraverso una porta con arco a sesto acuto si accede all'archivio, il cui l'interno è coperto con volta a crociera. Alla sala capitolare Vi si accede da un portale con arco a sesto acuto. La sala capitolare era uno degli ambienti più importanti dell'abbazia in quanto vi si riuniva il capitolo dei monaci per deliberare gli atti che riguardavano il governo della comunità. Si tratta di un ambiente molto vasto, diviso in sei campate da colonne abbastanza basse che sorreggono altrettante volte a crociera. Traeva l'illuminazione da due grandi bifore con colonne binate aperte sul chiostro e da tre piccole monofore con arco a tutto sesto poste sulla parete di fondo.  Dalla sala capitolare si accede ad un ambiente che è stato identificato come il parlatorio. All'estremità meridionale del piano terreno si trovava lo scriptorium, dove i monaci copiavano i manoscritti. È un ambiente molto vasto, diviso in due navate da cinque pilastri cruciformi che sorreggono delle volte a crociera con decorazioni a girali. Al piano superiore si trovava il dormitorio dei monaci, suddiviso in celle, e una cappella. Il resto del complesso oggi è scomparso. Nel lato opposto alla chiesa probabilmente si trovavano il refettorio, le cucine, il focolare, i vari annessi e le latrine. Il quarto lato del chiostro era occupato dalla dispensa, dai magazzini e dai locali destinati ai conversi, che la regola imponeva fossero distinti da quelli dei monaci. Dietro il cimitero e l'abside della chiesa si trovavano le infermerie dei laici, che erano separate soprattutto per motivi igienici.

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Immagine tratta da Wikipedia Autore Vignaccia76

lunedì 10 giugno 2013

UTHER PENDRAGON

Uther Pendragon (pronuncia: /ˈuːθəʳ pɛnˈdræɡən/; in francese: Uter Pendragon; gallese: Wthyr Bendragon, Uthr Bendragon e Uthyr Pendraeg) è un leggendario sovrano della Britannia-post romana e padre di Re Artù. Qualche piccolo riferimento a Uther compare già nei poemi in antico gallese, anche se la sua biografia fu scritta per la prima volta da Goffredo di Monmouth nella Historia Regum Britanniae. L'Uther di Goffredo fu preso a modello da autori e opere successivi. La sua figura appare molto ambigua: è descritto come un sovrano forte e un difensore del popolo. Secondo la tradizione più diffusa, a seguito di un incantesimo operato da Merlino, che tramuta Uther, agli occhi di Igraine, nel marito, il duca di Cornovaglia, venne generato Artù. In quello stesso momento il marito viene ucciso dall'esercito di Uther. Questo tema del figlio illegittimo ritornerà anche nei successivi romanzi in prosa: Artù giace inconsapevolmente con la sorella o sorellastra Morgana, generando Mordred. L'epiteto di Pendragon etimologicamente è riconducibile al celtico Penn, ovvero monte (come il nome di molte montagne gallesi o italiane, appennini), e dragon, ovvero drago, e ha probabilmente il significato figurato di "condottiero". Nei racconti più antichi Uther viene detto "Pendragon" perché egli vide una cometa a forma di drago, da cui trasse l'ispirazione per il drago sul suo stendardo. Secondo tradizioni più tarde, protagonista di questo episodio fu il fratello maggiore di Uther. Una volta morto, quest'ultimo assunse in suo onore l'epiteto di "Pendragon". Secondo un'altra tradizione, Merlino gli disse di uccidere un particolare drago se voleva divenire re. Egli riuscì nell'impresa decapitandolo, e pose la testa del drago sullo scudo come simbolo della sua vittoria, divenendo re. Nell'antica tradizione gallese Uther è associato ad Artù e a volte viene considerato suo padre. Viene menzionato nel poema arturiano di X secolo Pa gur yv y porthaur ed è ricordato nel Libro di Taliesin con La canzone funebre di Uther Pen (include un riferimento ad Artù). Il colloquio di Artù e l'aquila, un poema contemporaneo a Goffredo, ma probabilmente indipendente da questo autore, menziona un altro figlio di Uther, Madoc, che fu padre del nipote di Artù, Eliwlod. Le Triadi gallesi dicono che Uther fu il creatore di uno dei Tre grandi incantesimi della Britannia, che insegnò al mago Menw. La vita di Uther apparve per la prima volta nella Historia Regum Britanniae ("Storia dei re di Britannia"), scritta da Goffredo di Monmouth nel XII secolo. Il nome pen-dragon, letteralmente "testa di drago", è associato ai simboli rappresentati sui suoi stendardi. Nel racconto di Monmouth, Uther era il fratello minore di Ambrosio Aureliano e suo successore al trono di Logris o Loegria (un altro nome che indica l'Inghilterra nelle leggende arturiane e che deriva dalla parola gallese Lloegr, che, appunto, sta per Inghilterra). Uther, Ambrosio e un terzo fratello, Costante, erano figli dell'imperatore Costantino III, pretendente al trono di Roma fra il 407 e il 411. Costante successe sul trono al padre, ma fu ucciso per le trame del suo consigliere Vortigern, che prese così il potere. Uther e suo fratello Ambrosio Aureliano, ancora bambini, fuggirono in Bretagna (nell'odierna Francia). Una volta cresciuti Ambrosio e Uther tornarono in patria, dove Ambrosio bruciò Vortigern nel suo castello, diventando così re (va sottolineato che la connessione tra Ambrosio Aureliano e Costantino e Costante è del tutto inventata).
Uther guidò le armate del fratello in Irlanda per aiutare Merlino a portare le pietre di Stonehenge in Britannia. In seguito, mentre Ambrosio era ammalato, Uther condusse l'esercito contro il figlio di Vortigern, Paschent, e i suoi alleati sassoni. Prima della battaglia, Uther vide in cielo una cometa a forma di drago, che Merlino interpretò come presagio della morte di Ambrosio e del radioso futuro di Uther. Uther vinse, prendendo l'epiteto di "Pendragon". Al ritorno trovò il fratello morto, avvelenato da un assassino. Salito sul trono ordinò la costruzione di due draghi d'oro, uno dei quali divenne il suo stendardo.
Uther si dedicò poi a rendere sicuri i confini della Britannia e soppresse una rivolta sassone con l'aiuto del duca di Cornovaglia Gorlois, suo vassallo. Al banchetto per la loro vittoria, Uther fu travolto dalla passione per la moglie di Gorlois, Igraine. Per questa ragione tra i due uomini scoppiò una guerra. Gorlois mandò Igraine nell'imprendibile fortezza di Tintagel, mentre lui assediò Uther in un'altra città. Su richiesta di Uther, Merlino usò la sua magia per dargli le sembianze di Gorlois, in modo che potesse entrare a Tintagel e giacere con Igraine.
Nel corso della notte la donna concepì Artù, mentre il marito veniva ucciso dagli uomini di Uther. Uther sposò Igraine, da cui ebbe anche un'altra figlia Anna, che poi sposerà re Lot, generando Gawain e Mordred. In alcune versioni più tarde, è chiamata Morgause ed è presentata come figlia di Gorlois. Sempre in altre versioni Mordred nasce dall'incesto di Morgause con Artù.
Sebbene malato, Uther continuò a guidare la guerra contro i sassoni, che stava volgendo a suo sfavore. Sconfisse a Verulamium (odierna St Albans) Octa, figlio di Hengist (vecchio alleato di Vortigern), sebbene i sassoni lo chiamassero il "re semi-morto". Ben presto i sassoni ordirono la sua morte, avvelenando una sorgente vicino a Verulanium da cui lui era solito bere

MODRED

Mordred è un personaggio della Britannia, conosciuto all'interno del ciclo arturiano come il traditore che combatté Re Artù nella Battaglia di Camlann, dove egli fu ucciso ed Artù ferito gravemente. La storia di Mordred ha diverse origini nella storia della letteratura inglese e diversi natali. Ci sono varie storie sul suo collegamento con Artù, ma la più conosciuta ad oggi è che fosse il figlio illegittimo di Artù e della sua sorellastra Anna / Morgause (o il figlio di Artù e Morgana). In precedenza, secondo Geoffrey of Monmouth, Mordred è il nipote di Artù, il figlio di sua sorella Anna e del marito Lot del Lothian. Sempre secondo la sua storia, al tempo della campagna di Artù contro i romani, Mordred spinge la regina Ginevra all'adulterio, usurpa il trono al re e si riappacifica con i Sassoni, da sempre nemici di Artù e da lui sconfitti. Nel racconti di Geoffrey di Montmouth, al ritorno dalla guerra, Artù lo sfida presso il fiume Camel in Cornovaglia e lo uccide. A sua volta ferito mortalmente da Mordred, Artù muore e viene sepolto ad Avalon. Il racconto Ly Myreur des Historires vuole Mordred sopravvissuto allo scontro con Artù, ma catturato da Lancillotto, che uccide Ginevra, colpevole del tradimento sia di Artù che del suo regno. Mordred viene incarcerato dal Cavaliere insieme al cadavere di Ginevra e in prigione morirà di fame dopo aver divorato il corpo di lei. Il racconto della nascita incestuosa di Mordred apparirà più tardi nel racconto di Sir Thomas Malory. Secondo il suo libro La mort d' Arthur, Mordred è il frutto dell'unione incestuosa ma inconsapevole tra Re Artù e la sua sorellastra Morgause. Si forma così l'idea di Mordred come nemesi di Artù. Anche in questo racconto, infatti, Artù e Mordred si sfideranno a duello e periranno entrambi. Ancora un'altra versione, per la precisione in Morte Arthure, vede Mordred come fratello di Ginevra e anche qui c'è il racconto di un'unione incestuosa fra i due con la conseguente nascita di un figlio illegittimo. Di diversa natura è la figura di Mordred nella letteratura scozzese. Nei primi racconti della tradizione scozzese è visto come un eroe e non come un traditore. Al giorno d'oggi è opinione diffusa che Mordred sia figlio di Morgana ed Artù. Ciò è probabilmente dovuto a Le nebbie di Avalon, uno dei romanzi moderni più conosciuti di argomento arturiano, che concentra in Morgana tutti i ruoli possibili e "ruba" quindi a Morgause la maternità di Mordred. La convinzione è dovuta anche al fatto che in molti film non è possibile inserire troppi personaggi e si preferisce dare spazio ad una sola delle sorelle di Artù, appunto Morgana, che spesso diviene anche la madre di Mordred.

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domenica 9 giugno 2013

MELEAGANT

Maleagant (Malagant o Meleagant) è uno dei cattivi delle leggende arturiane. All'inizio uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, figlio di re Baudemagu di Gore, è divenuto famoso per aver rapito Ginevra. Compare per la prima volta nel Lancillotto o il cavaliere della carretta di Chrétien de Troyes, dove porta Ginevra nel suo impenetrabile castello. La regina viene liberata da Lancillotto e Gawain. Questa è la prima apparizione sulla scena di Lancillotto nelle leggende arturiane. Si pensa che la figura di Maleagant sia basata su Melwas, un personaggio malvagio delle prime storie arturiane in gallese che cattura Ginevra nella Vita di Gildas: re Melwas cattura la regina e la porta nella sua fortezza a Glastonbury. Artù localizza la sua posizione dopo un anno di ricerca e prepara l'attacco al castello, ma Gildas riesce a negoziare il ritorno della regina. Maleagant compare anche nel Lancillotto in prosa e nella Morte di Artù di Thomas Malory. Nel film Il primo cavaliere, Maleagant (Ben Cross) è il principale antagonista, ex Cavaliere, che rapisce Ginevra cercando di appropriarsi dei suoi territori.

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SIR LIONEL

Sir Lionel, cavaliere della Tavola rotonda di re Artù, era il figlio più giovane di re Bors di Gaunnes (o Gallia), fratello di Bors il Giovane e cugino di Lancillotto e di Ettore de Maris. Quando il padre morì combattendo contro re Claudas, Lionel e Bors furono soccorsi dalla Dama del Lago e allevati nel suo regno, insieme al figliastro Lancillotto. Dopo una serie di peripezie, anche molto sfortunate, luie ciò che restava della sua famiglia, seguì Lancillotto in esilio, dopo la scoperta della relazione di quest'ultimo con la regina Ginevra. Divenne sovrano di Gaunnes. Dopo la battaglia di Camlann, la famiglia di Lancillotto tornò in Britannia per sconfiggere le restanti forze di Mordred. Alla fine fu ucciso dal figlio di Mordred, Melehan e vendicato dal fratello Bors.

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SIR LUCANO

Sir Lucano, cavaliere della Tavola rotonda, era maggiordomo alla corte di re Artù.
Era figlio del duca Corneo, fratello di Sir Bedivere, e cugino di Sir Griflet. Coi suoi parenti fu tra i primi alleati di Artù nella lotta per il trono contro i re ribelli (tra cui Lot, Urien e Caradoc). E fu sempre tra i più leali campioni di Artù e in molte leggende arturiane fu tra i pochi cavalieri a sopravvivere alla battaglia di Camlann. Sarebbe anche stato l'ultimo a morire. In qualche fonte fu lui, e non Griflet o Bedivere, a riportare Excalibur alla Dama del Lago.

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SIR LAMORAK

Sir Lamorak è uno dei cavalieri della Tavola rotonda di Re Artù. Figlio di re Pellinore e fratello di Tor, Aglovale, Percival, Dindrane e a volte di altri. Compare per la prima volta nel Ciclo della post-vulgata e nella Morte di Artù di Thomas Malory.
Il padre di Lamorak, Pellinore fu uno dei primi alleati di Artù, ma lui porta la sua famiglia in una faida quando uccide re Lot di Lothian in battaglia. Dieci anni dopo, i figli di Lot, Gawain e Gaheris, lo vendicarono uccidendo Pellinore in duello. Lamorak crebbe alla Tavola rotonda e a dispetto delle faide familiari, ebbe una relazione con la vedova di Lot, Morgause. Gaheris scopre gli amanti e decapita Morgause is (in alcune versioni è Agravaine ad uccidere la madre). In seguito viene ucciso anche Lamorak, attraverso una congiura ordita dai tre figli di Lot delle Orcadi: Galvano, Agravano e Gahries. Gareth, il quarto figlio non prese parte all' assassinio. Un cugino di Lamorak, Sir Pinel il Selvaggio, cercò di vendicarlo, tentando di avvelenare durante una festa data dalla regina Ginevra. Il veleno fu però dato per sbaglio a un altro cavaliere, il più giovane di tutta la Tavola rotonda, indicato da molte fonti come il figlio del lord di Karen.
Lamorak era rinomato per la sua forza e il suo temperamento fiero. Secondo alcune tradizioni era il terzo miglior cavaliere di Artù dopo Lancillotto e Tristano, aggiungendo che non è mai sconfitto né dall'uno né dall'altro, ma i loro scontri diretti terminano per accordo in parità. Egli, tuttavia ha un ruolo secondario nel ciclo arturiano.

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SIR KAY

Nel ciclo arturiano, Sir Kay (Cai, Cei, Kai o Kei in gallese, Caius in latino) è uno dei primi Cavalieri della Tavola rotonda. Figlio di Sir Hector e fratellastro di Re Artù, in seguito siniscalco. Nel Lancillotto in prosa e ne Le Morte d'Arthur di Thomas Malory, il padre di Kay, Ector, adotta il neonato Artù dopo che Merlino lo ha portato via dai suoi genitori naturali, Uther Pendragon e Igraine, crescendolo come se fosse suo figlio e fratello di Kay. Durante un torneo a Londra Artù perse la spada del fratello mentre gli faceva da scudiero e, cercando di sostituirla, estrasse la Spada nella Roccia rivelando così la sua vera discendenza. Kay mostra in un primo momento il suo caratteristico opportunismo dicendo di aver estratto egli stesso la spada, ma subito dopo ammette che l'impresa era stata opera di Artù. Diviene così uno dei primi cavalieri della tavola rotonda servendo per tutta la vita il fratello come scudiero. Sir Kay è detto il siniscalco, importante titolo militare dell'età feudale.

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GERAINT

Geraint è un personaggio del folklore gallese e del ciclo arturiano, un re di Dumnonia e valente guerriero. Sarebbe vissuto durante o poco prima del regno dell'Artù storico, ma alcuni studiosi dubitano che sia mai esistito. Gerant e Enid Si tratta di una meravigliosa storia d'amore, tradotta in inglese – nel XIX secolo assieme agli altri undici testi che compongono il ciclo dei Mabinogion – da Lady Charlotte Guest e da lei intitolata Gereint figlio di Erbin. Dopo Owain o la dama della fontana e Peredur, figlio di Efrawg il Guerint e Enid è l’ultimo dei tre romanzi di materia arturiana appartenenti al ciclo celtico. Si propone di seguito la trama del romanzo, per facilitare una successiva comprensione delle analogie con l’opera di Apuleio e di Chretien de Troyes.
Enid è la splendida figlia di un potente signore caduto in disgrazia. Gereint, un coraggioso cavaliere della corte di Re Artù, la incontra per un fortuito caso durante una cerca per vendicare Ginevra dagli oltraggi subiti ad opera di un cavaliere spregiudicato, e se ne innamora. Sprovveduto di armi e scudo, il giovane cavaliere necessitava di un dono prima di poter lavare l’onta subita dalla sua regina. Entra in scena quindi il padre della giovane Enid che, nonostante la sua caduta in disgrazia, fornisce il giovane e aitante giovanotto di tutto l’occorrente per lo scontro. Dotato di spada, scudo e armatura, Gereint sconfigge il nemico durante il torneo dello sparviero e – rispettando la costume – proclama Enid dama più bella di tutte. In questo modo finisce per dichiararsi alla giovane fanciulla dall’ineffabile bellezza e, decidendo di sposarla, chiede al suo buon benefattore la mano della figlia. I due partono alla volta di Camelot, e qui celebreranno le proprie nozze. A questa prima fase di idillio amoroso, si contrappone una situazione ben diversa. Dopo il matrimonio, infatti, tutto inizia rapidamente a cambiare per il giovane Gereint. L’incredibile, puro e sincero amore per Enid finisce per prevaricare sul suo senso del dovere, inducendolo a rinunciare alle sue consuete mansioni di cavalleria. Tornei, viaggi, imprese eroiche … ormai non vedono più il giovane cavaliere di Artù combattere in prima linea. Completamente assorbito dalla passione per la sposa, come annebbiato dall’amore e dedito solo alla devozione di Enid, Gereint inizia a suscitare la disapprovazione della corte e dei lauzengiers . A Camelot si crede che il giovane sposo, avendo rinunciato al suo ruolo di cavaliere per amore, sia diventato meno uomo, meno cavaliere, meno degno di stima. La temporanea cecità di Gereint gli impedisce di vedere le avversità ma Enid, donna più attenta, udisce l’inudibile. Sentendosi la causa delle malelingue di palazzo, la giovane si rende conto di essere la causa non solo della recreantise di Gereint, ma anche delle angherie che a corte si dicono di lui. Triste e disperata, non riuscendo più a controllare i suoi sentimenti, Enid una notte scoppia in lacrime mentre guarda lo sposo a letto. Le sue parole di disperazione svegliano Gereint che, interrogatala con insistenza sull’origine di quella sconsolatezza, la convince contro ogni sua intenzione a parlare. Le buone intenzioni della giovane amante non vengono comprese: quelle lacrime, simbolo del senso di colpa, vengono interpretate dal cavaliere come stille di vergogna e diventano causa prima della ‘condanna’ della povera Enid. Dubbioso nei riguardi dell’amore della sposa, temendo un suo tradimento, Gereint decide di partire alla volta di una nuova avanture assieme alla moglie, costretta ad un forzato silenzio: pena di contrappasso per l’infausta parole pronunciata. La sua virtù cavalleresca verrà pian piano risanata e al contempo la giovane protagonista si riscatterà dimostrando la sua totale fedeltà al marito.

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sabato 8 giugno 2013

Y GODODDIN

Y Gododdin ("I Gododdin") è un poema composto di elegie che celebrano gli uomini del regno britannico di Gododdin e i loro alleati che, attorno al 600, caddero nella battaglia di Catraeth contro gli angli di Deira e Bernicia. Alcuni studiosi pensano che il poema sia stato scritto nella Scozia meridionale subito dopo la battaglia, mentre per altri fu scritto nel IX o X secolo in Galles. Se effettivamente risalisse al IX secolo sarebbe uno dei più antichi poemi scritti in gallese e uno dei più vecchi della Scozia. Viene di solito attribuito al bardo Aneirin. Gododdin era un regno sorto agli inizi del V secolo nella Britannia nord-orientale dopo l'abbandono dei Romani. Dalla capitale Din Eidyn, odierna Edimburgo sarebbe stata condotta una spedizione nel territorio dei regni meridionali governati dagli Angli. A Catraeth, tradizionalmente identificata con la città di Catterick (Yorkshire settentrionale), la spedizione incontrò forze nemiche preponderanti e venne sconfitta in una epica battaglia in cui tutti gli uomini di Gododdin rimasero uccisi. Intorno al 638 il re di Northumbria, avrebbe quindi conquistato anche la capitale Din Eidyn, mettendo fine all'indipendenza del Gododdin. Il poema è tradizionalmente attribuito al poeta del VII secolo Aneirin e fu scritto in cumbrico, un dialetto del gallese antico (da cui deriva il gallese odierno). Il più antico manoscritto che conservi il testo è tuttavia datato solo al XIII secolo (il Libro di Aneirin). Alcune delle poesie incluse nel manoscritto sono da ritenersi interpolazioni successive ma la maggior parte di esso potrebbe essere originaria del periodo in cui viene ambientata ed essere forse stata inizialmente trasmessa solo oralmente per alcuni secoli, prima di essere trascritta. Il poema è considerato il più antico esempio di letteratura gallese, sebbene tratti di vicende e personaggi ambientati piuttosto nella Scozia. Narra di come il re di Gododdin, Mynyddog Mwynfawr (non citato tuttavia in altre fonti), avesse raccolto i guerrieri di diversi regni britannici, ospitandoli riccamente per un intero anno nelle sale di Din Eidyn prima di lanciare un attacco contro i propri nemici, superiori per numero. Le elegie raccolte seguono tuttavia due diverse versioni quanto al numero dei guerrieri di Gododdin: nella prima, ci sarebbero stati 300 guerrieri, solo uno dei quali sarebbe sopravvissuto, mentre nella seconda i partecipanti sarebbero stati 363 e solo tre, tra cui l'autore stesso, sarebbero sopravvissuti.
Alcuni versi si riferiscono all'intera armata, mentre altri celebrano singoli eroi. Molte strofe si aprono con frasi ricorrenti (per esempio, "Gwyr a aeth gatraeth gan wawr", ovvero "gli uomini andarono a Catraeth nell'oscurità"). Uno dei poemi contiene inoltre quella che sembra la più antica citazione del re Artù, a cui uno dei guerrieri viene paragonato.
Il manoscritto del Libro di Aneirin contiene anche altri poemi che non sono in relazione con la battaglia di Catraeth, compresa una poesia per un bambino, di nome "Dinogad", che narra come il padre vada a caccia e a pesca.

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GAWAIN

Gawain italianizzato in Galvano (chiamato, in altri etimi, anche Gwalchmei, Gawan, Gauvain, Walewein, etc) è nipote di Re Artù e cavaliere della Tavola Rotonda. Appare molto presto nello sviluppo della leggenda Arturiana: è uno dei membri scelti della Tavola Rotonda ed è indicato come il migliore dei cavalieri, in Sir Gawain e il Cavaliere Verde.
È quasi sempre ritratto come il figlio della sorella di Artù, Morgause (o Anna) e del Re Lot di Orkney e Lothian, suoi fratelli sono Agravain, Gaheris, Gareth, e Mordred. In alcune opere pare abbia anche sorelle.
Galvano è spesso descritto come un formidabile e temerario guerriero, fortemente leale al suo re e famiglia, amico dei giovani cavalieri, difensore dei poveri, e al servizio delle donne.
In alcuni romanzi la sua forza verrebbe dal sole: la ragione di questa deduzione viene dal fatto che è invincibile durante il giorno, ma si indebolisce al tramonto. La sua conoscenza delle erbe lo rende un grande guaritore. Gli sono attribuiti almeno 3 figli: Florence, Lovell, and Gingalain, chiamato anche Libeaus Desconus o Le Bel Inconnu, il Bello Sconosciuto.
Nella letteratura arturiana gallese posteriore, Galvano è identificato con il campione locale Gwalchmei.

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SIR GARETH

Sir Gareth è uno dei Cavalieri della Tavola Rotonda del ciclo arturiano. È figlio di Lot e Morgause, sorellastra di Re Artù. Nella leggenda Gareth giunge al castello di Camelot sotto mentite spoglie travestendosi da inserviente delle cucine. Qui incontra Kay, che lo disprezza ad ogni occasione e lo soprannomina "Beaumains" ("Belle manine"), poiché Gareth si rifiuta di rivelargli il suo vero nome. Gareth si offre di andare in aiuto di Lynette (Leonetta o Lyonette), una damigella giunta a Camelot per chiedere soccorso a Lancillotto per conto di sua sorella, tenuta in ostaggio dal Cavaliere Rosso delle Terre Rosse. Viene accompagnato nella sua missione dal nano Melot che conosce la sua vera identità. Poiché anche Lynette crede che Gareth sia un aiutante delle cucine, lo deride continuamente. Lungo il tragitto Gareth sconfigge il forte Sir Perarde, il Cavaliere Nero, prendendogli armatura e cavallo. Poi si incontra con Sir Pertolope, il Cavaliere Verde, che lo scambia erroneamente per suo fratello, il Cavaliere Nero. Lynette rivela però al Cavaliere Verde che quel cavaliere è in realtà nient'altro che Beaumains, un aiutante delle cucine, e gli chiede di sbarazzarsi di lui in suo nome. Tuttavia Gareth sconfigge anche il Cavaliere Verde e gli risparmia la vita in cambio dei suoi servigi. In seguito Gareth sconfigge allo stesso modo Sir Perymones (a volte indicato come il Cavaliere Rosso, da non confondere con il Cavaliere Rosso delle Terre Rosse) e Sir Persaunte (Persant di Inde), il Cavaliere Indaco, che giureranno entrambi di servirlo. Lynette finalmente si accorge del valore di Gareth per la sua calma accettazione dei suoi scherni, qualità indiscutibilmente propria solo di un cavaliere, e capisce di trovarsi di fronte a un vero paladino e non ad un inserviente di cucina. Gareth giunge infine nel castello di Lyonesse, dove ella è minacciata da Sir Ironside, Cavaliere Rosso delle Terre Rosse. Il giovane Gareth lotta con lui per un giorno intero e alla fine ha la meglio, nonostante il suo avversario possieda la forza di sette uomini. Inizialmente Gareth ha intenzione di uccidere Sir Ironside, poiché costui ha ucciso tutti i precedenti cavalieri venuti in soccorso di Lyonesse. Tuttavia il Cavaliere Rosso rivela a Gareth di avere ucciso quei cavalieri perché quella era l'unica maniera di attirare l'attenzione di Lancillotto dopo aver giurato alla sua amata di ucciderlo. A seguito di queste rivelazioni Gareth lo risparmia, facendogli giurare di servirlo e di andare alla corte di Artù per chiedere perdono a Lancillotto. Successivamente, e a dispetto di alcune traversie, Gareth sposa Lyonesse ed uccide Re Datis di Toscana. Sfortunatamente, viene infine ucciso per sbaglio da Lancillotto mentre quest'ultimo corre in soccorso di Ginevra. La leggenda è stata reinterpretata da molti scrittori e poeti, la versione più nota è quella di Alfred Tennyson negli Idylls of the King, dove Gareth non si unisce in matrimonio con Lyonesse ma con Lynette. Theodore Goodridge Roberts scrisse il racconto breve "For To Achieve Your Adventure", nel quale Lynette sa di mandare Gareth in un tranello, e le sue derisioni sono un modo di scoraggiare il cavaliere per proteggerlo; nella novella di Vera Chapman The King's Damosel La damigella del re, troviamo una completa versione della vita di Lynette.

Fonte: Wikipedia

LA SPADA NELLA ROCCIA

In alcune opere della ciclo arturiano, la spada nella roccia è una spada magica conficcata in una roccia (o talvolta in un'incudine). Viene spesso identificata con la spada Excalibur, specie nelle versioni recenti del mito arturiano, sebbene in numerose opere del ciclo le due spade siano distinte. La versione in cui Artù estraeva la spada dalla roccia apparve per la prima volta nel racconto in versi francese Merlino, di Robert de Boron (fine XII secolo – inizio XIII secolo). Ma l'autore inglese sir Thomas Malory, ne La morte di Artù (1485), scrisse che la spada che Artù aveva estratto dalla roccia non era Excalibur, poiché Artù aveva rotto la sua prima spada in uno scontro contro re Pellinor; lo stesso viene affermato nella francese Suite du Merlin (Prosa di Merlino), ca. 1240.La Spada nella Roccia compare anche nella Storia Italiana, per esempio nella vita di San Galgano (1148-1181). Nelle vicinanze dell'abbazia senese a lui dedicata sorge la Cappella di San Galgano dove è conservata la spada che, secondo fonti storiche, il santo infisse nella roccia in segno di rinuncia alla vita di cavaliere. Troviamo riferimenti ad una "spada nella roccia" anche in un antichissimo racconto della tradizione erculea. Servio, nel suo celebre commento all'Eneide di Virgilio, ricorda che Ercole, volendo dimostrare il proprio valore, conficcò una sbarra di ferro nel suolo e che nessuno riuscì poi a estrarla. Solo Ercole ne fu capace e dal foro fuoriuscì poi un'immensa massa d'acqua che formò il lago del Cimino, oggi detto di Vico o di Ronciglione, sui Monti Cimini, nel Viterbese. Nell'archeologia sarda sono state trovate alcune spade conficcate nella roccia dai guerrieri Nuragici o Shardana. Alcuni esempi si trovano presso la fonte sacra di Su Tempiesu a Orune in provincia di Nuoro.

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GAHERIS

Gaheris è un personaggio del ciclo arturiano, cavaliere della Tavola Rotonda, figlio di Morgause e di re Lot delle Orcadi e del Lothian, nipote di re Artù. I suoi fratelli sono Gawain, Agravaine, Gareth e Mordred. Sua madre è figlia di Gorlois e Igraine e sorella di Elaine e della fata Morgana. Ne "Le Morte d'Arthur" di Thomas Malory, Gaheris, inizialmente scudiero del suo fratello maggiore Gawain (italianizzato in Galvano), viene nominato cavaliere. Gaheris mostra un temperamento più focoso di Gawain e partecipa agli omicidi di re Pellinore, assassino di suo padre, e di Sir Lamorak, figlio Pellinore e amante di sua madre Morgause. Più noto è l'assassinio di sua madre, sorpresa in flagranza con il giovane Lamorak. Gaheris decapita la madre, ma Lamorak fugge, per poi essere braccato da tutti i fratelli (tranne Gareth) e pugnalato alle spalle da Mordred. Dato che in Malory Lamorak è più forte di ogni altro cavaliere, esclusi Lancillotto e Tristano, questo atto di vendetta è considerato vile e una macchia sull'onore dei fratelli Orkney. Quando Arthur ed i fratelli scoprono che è Gaheris l'uccisore Morgause, questi viene espulso dalla Tavola rotonda.
Gaheris viene ucciso accidentalmente da Lancillotto durante il salvataggio di Ginevra. Gaheris non avrà nulla a che fare con le trame di Agravaine e Mordred per intrappolare Lancillotto e Ginevra, e quando Arthur chiede loro di montare la guardia all'esecuzione della Regina, Gaheris e Gareth malincuore accettano, anche se Gawain rifiuta. Rifiutano di indossare l'armatura, e Lancillotto, incapace di distinguere l'amico dal nemico nella sua ira cieca, uccide i due principi non corazzati. La furia Galvano per quest'oltraggio è terribile e la faida che ne deriva spezza in due fazioni la Tavola Rotonda.

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venerdì 7 giugno 2013

SIR COSTANTINO III

Costantino III appare nella lista dei leggendari sovrani della Britannia (odierna Inghilterra) riportata dalla Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth. Sarebbe stato figlio di Cador, duca di Cornovaglia, un parente di re Artù. Costantino combatté nella battaglia di Camlann e sembra essere stato uno dei pochi sopravvissuti. Mentre stava per essere trasportato ad Avalon, Artù lo nominò suo successore.
Geoffredo afferma che Costantino continuò ad avere problemi con i sassoni e coi due figli di Mordred, Melehan e Melou. Alla fine ebbe la meglio sui suoi nemici, ma sembra che abbia ucciso i due figli di Mordred in una chiesa. Per questo sacrilegio sarebbe stato fulminato da Dio e poi sepolto a Stonehenge, accanto a Uther Pendragon.
Costantino compare anche nella Allitterazione della morte di Artù e nelle Morte di Artù di Thomas Malory come cugino e successore di Artù. Una tradizione lo identifica con Constantino re di Dumnonia che alla fine scelse la vita religiosa e divenne santo.

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