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mercoledì 22 giugno 2016

ALLA RISCOPERTA DELL'ANTICA SCRITTURA MEDIEVALE CON STEFANO GELAO


Il fascino degli amanuensi medioevali o dei maestri pennaioli ottocenteschi, la bellezza della vera pergamena e dell’inchiostro medioevale, la passione antica della della scrittura a mano. In un momento della storia che relega la scrittura a mano a velocissimi appunti sempre più rari, quel fascino non è ancora del tutto perduto. Si trovano ancora nell'Italia e nel mondo rari maestri pennaioli, in grado di riprodurre con perizia il gotico degli antichi codici miniati, la cancelleresca “di Leonardo” o i corsivi elaborati ed “arricciati” del 1800.

Il risultato sono opere pregiate, frutto di attenzione e cura certosina, che richiamano atmosfere in grado di incantare. La calligrafia viene definita “musica degli occhi”, perchè ha a che fare con le armonie, con il ritmo e con la bellezza, così come la musica. E’ per questo che non è possibile trovarsi di fronte ad un’opera scritta ad arte se non con un senso di meraviglia ed profonda emozione. Tutto questo e molto altro lo si può trovare in quella perfetta unione di pergamena, inchiostro, e passione che sono le opere di “scrittoamano.com”.

martedì 31 marzo 2015

"?", "!", "METTERE I PUNTINI SULLE I" SONO INVENZIONI MEDIEVALI...MA QUANTO E' STATO CUPO IL MEDIOEVO!!!

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Vi siete mai chiesti da dove nasce il Punto Interrogativo, il Punto Esclamativo e l'espressione "Mettere i puntini sulle i"? Ebbene...ancora una volta il nostro amico Medioevo, il famoso periodo simbolo dell'ignoranza e della cupezza culturale! Tre pillole molto interessanti da usare in qualsiasi occasione!

La storia del Punto Interrogativo

Nel greco antico il punto interrogativo come ora lo utilizziamo per la formulazione della domanda era sostituito dal punto e virgola: il punto interrogativo vero è un'invenzione Medievale (tanto per cambiare) all'epoca in cui erano particolarmente attivi i monaci copisti. Furono proprio loro che, per sottolineare le domande, solevano scrivere a fine frase "qo" che significava "questio" (domanda). Successivamente, per evitare confusione all'interno della frase, il "qo" venne stilizzato trasformando la "q" in una sorta di ricciolo e la "o" in un punto facendo nascere il punto interrogativo (?).

Il Punto esclamativo

Anche questo segno molto usato è un'invenzione medievale. Furono sempre i copisti ad inventarlo quando, per sottolineare la gioia o sorpresa, scrivevano a fine frase "io". Nel tempo la "i" passò sopra la "o" che, anche in questo caso, si trasformò in un punto (!).

Mettere i puntini sulle "i"

Indovinate? Anche questa frequentissima espressione è invenzione dei cosiddetti Secoli Bui. La locuzione è utilizzata quando si vuole puntualizzare una cosa onde evitare equivoci. L'espressione risale agli albori della storia della scrittura ma la "i" era sprovvista di puntino; questo, come è facile immaginare, creava sovente incomprensioni perchè risultava complicato distinguerla dalla "m" e dalla "u". Proprio in questa circostanza, il puntino sulla "i" si affaccio alla storia con l'obiettivo di facilitare la lettura proprio per evitare errori...ecco perchè "mettere i puntini sulle i" è anche sinonimo di pignoleria e chiarezza.

LA CHIOCCIOLA? SI USAVA NEL MEDIOEVO!

Chi di noi non ha mai usato la chiocciola negli ultimi 20 anni? Direi davvero pochi...la "@" ha letteralmente rivoluzionato la nostra vita, ha contribuito a velocizzare le comunicazioni soppiantando (anche se ancora non del tutto) la carta azzerando anche i costi di spedizione e favorendo un forte risparmio energetico. Oggi, quella che in Russia si chiama cagnolino o in Germania scimmia viene utilizzata anche come "neutro" della lingua italiana; non a caso capita spesso di vedere intestazioni del tipo "car@ amic@" che sostituisce cara/o amica/o. La nascita di questo particolare simbolo è un mistero vero e proprio; il simbolo è stato ritrovato anche in un codice miniato nella Biblioteca Vaticana e viene usato nella parola...AMEN! Secondo lo studioso Massimo Arcangeli, docente di linguistica all’Università di Cagliari e direttore dell’Osservatorio della lingua italiana Zanichelli "il testo in questione è un documento risalente al XIV secolo scritto in bulgaro che narra alcuni fatti compresi tra la creazione del mondo e la morte di Niceforo III. Inoltre è presente anche in scritti di Leonardo da Vinci in una versione diversa: è una "A" inscritta in una "O"". Sempre secondo l'illustre docente, il segno risalirebbe al Tardo Medioevo e veniva anche usato dai commercianti per indicare il prezzo per singola unità. Arrivò in Italia grazie a Giovanni II di Aragona in un documento rintracciato dallo stesso Arcangeli a Cagliari proprio nell'Archivio di Stato. 
Ancora una smentita del luogo comune per eccellenza...il Medioevo come epoca buia!

Biografia di una chiocciola (Castelvecchi; pagina 116; euro 16,50)

Fonte: Avvenire.it

venerdì 2 gennaio 2015

L'INCREDIBILE REALTA' DELLO SCRIPTORIUM FOROIULIENSE

Scriptorium Foroiuliense

Scriptorium Foroiuliense è una Associazione Culturale nata nel 2012, volta all’insegnamento dell’Arte Calligrafica Antica. Insegniamo prevalentemente la scrittura Onciale, la Gotica, la Cancelleresca (Diplomatica) e la Beneventana. Il recente connubio con la Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli (patrimonio dell’UNESCO) offre ai nostri allievi l’opportunità di visionare veri testi antichi (dall’anno 1000 al 1700) ed apprezzarne la calligrafia. Il nostro scopo ci identifica come Associazione senza fini di lucro, i nostri corsi gratuiti quando sovvenzionati da Enti Pubblici e Privati. In assenza di sovvenzioni i corsi sono a pagamento con l’0biettivo di copertura delle spese. Il numero degli allievi è generalmente limitato a 15 unità per corso, con precedenza agli studenti ed ai residenti in Friuli Venezia Giulia. Gli allievi durante i corsi realizzano delle pergamene che rimangono di proprietà dell’Associazione e si esercitano su lavori commissionati dall’Associazione (alberi genealogici, biglietti da visita, inviti, ecc.).

Gli allievi che superano i corsi ai diversi livelli ricevono un ATTESTATO.Oltre alla Biblioteca Guarneriana lo Scriptorium Foroiuliense collabora con il Museo della Carta e della Filigrana di Fabriano dove è presente con una sede distaccata, l’ARLEF (Agenzia Regionale per la Lingua Friulana) e con Scuola Mosaicisti del Friuli Venezia Giulia, Provincia di Udine.

Accanto alla sede didattittica lo Scriptorium Foroiuliense offre la possibilità di poter visitare (su prenotazione) l’OPIFICIUM LIBRORUM, che si può considerare un vero e proprio Museo Vivente, infatti tra Cartulai, Cartai, Legatori, Miniaturisti e gli immancabili Amanuensi, i visitatori hanno la possibilità di immergersi in una fabbrica del libro medievale. Tutto questo avviene nella splendida cornice del Castello di Ragogna.

Associazione Scriptorium Foroiuliense
Scuola Italiana Amanuensi
vicolo Faris, 1
33030 Ragogna
Udine UD – Italy

Segretario, dott. Toppazzini Mario

Direttore didattico, Roberto Giurano

tel. ++39 (0)432 1636721 dalle ore 20,00 alle 22,00
fax ++39 (0)432 1631543
+39 347 530 3063

lunedì 3 giugno 2013

LO SCRIPTORIUM

Lo scriptorium (parola latina che deriva dal verbo scribere, "scrivere", con l'aggiunta del suffisso neutro singolare orium che indica gli aggettivi di luogo), o centro scrittorio, è, nel linguaggio della paleografia e codicologia, il luogo dove si scrive e per estensione ogni luogo dove era effettuata l'attività di copiatura da parte di amanuensi, soprattutto nel Medioevo. Nella terminologia corrente di solito si intende per centro scrittorio quella parte del complesso monastico dedicata alla copiatura dei manoscritti, spesso comunicante con la biblioteca. Tali ambienti ebbero grande importanza culturale sia per l'azione di salvaguardia della cultura greca e latina, sia perché costituirono ambiti di pensiero e sviluppo di nuova cultura. L'attività propriamente di copiatura prevedeva tutte le fasi della lavorazione del libro. Sicuramente attestate sono le varie fasi della preparazione della pergamena per la scrittura (taglio dei fogli, foratura, rigatura, levigazione). Seguivano poi le fasi della scrittura vera e propria: il monaco amanuense copiava il testo sulla pagina rigata (che recava già stabiliti gli spazi dove sarebbero state realizzate le miniature). Ovviamente il lavoro non sempre si limitava alla copia di testi antichi, bibbie o commenti biblici; molto spesso venivano scritte anche opere originali. L'attività dello scriptorium era diretta da un armarius che forniva i monaci del necessario per scrivere (penne, inchiostro ecc.) e che aveva inoltre anche altri incarichi.[2] Spesso gli scriptoria svilupparono usi grafici caratteristici diversi e indipendenti fra loro (si pensi alle lettere a e b caratteristiche dello scriptorium di Corbie o alle lettere a e z caratteristiche di quello di Laon varianti della scrittura definita in paleografia come merovingica). Meno ovvia è invece la partecipazione di miniatori/pittori alle attività di scrittura. La miniatura era infatti eseguita separatamente dopo la redazione del testo (ma prima della legatura del libro) in ambienti non necessariamente connessi allo scriptorium. Gli scriptoria fornivano libri per i monasteri, sia per uso interno sia come manufatti di scambio. Producevano inoltre i libri destinati alla ristretta fascia di laici alfabetizzati. Tuttavia, alla metà del XIII secolo, la concorrenza di botteghe scrittorie laiche cittadine era diventata molto forte sia per il tipo di letteratura proposta (non più soltanto edificante o di preghiera) sia per la lingua con cui era scritta (non più in latino). Le botteghe scrittorie laiche inoltre avevano sistemi di copiatura più rapidi (per esempio il sistema della pecia in ambito universitario). Diversa era certamente la mentalità del monaco che copiava un'opera quale adempimento a un precetto religioso e quella dello scriba laico che copiava un'opera a scopo di lucro. Comunque per vari secoli ancora gli scriptoria monastici rimasero il perno della produzione di testi liturgici per i monasteri stessi, almeno fino alla diffusione della stampa. A Roma vi erano nel IV secolo 28 biblioteche pubbliche. Con il tramonto dell'impero, in Occidente, la copiatura dei testi in ambito civile subì un irreversibile declino. Gli scriptoria nacquero in ambito monastico per continuare la trasmissione del sapere. Uno dei primi centri scrittori di cui si abbia memoria fu quello fondato da Cassiodoro in Calabria alla metà del VI secolo. Questa attività però non sopravvisse alla crisi economico-istituzionale che attraversò l'Europa nel VII-VIII secolo. L'Irlanda era rimasta estranea ai processi devastanti che avevano interessato il continente. Il cristianesimo si era diffuso nel corso del V secolo. Sull'isola, e nelle regioni celtiche della Gran Bretagna, nacquero diversi monasteri. Il monachesimo irlandese fece propria la lingua e la cultura latina. All'interno dei monasteri celtici, sia irlandesi che britannici, si diffusero importanti scriptoria:
  • in Irlanda: Bangor (dove fu redatto il più antico antifonario esistente), ...
  • in Scozia e alta Inghilterra: Iona, Lindisfarne, Wearmouth e Jarrow;
  • nella bassa Inghilterra: Malmesbury.

Alla fine del VI secolo, San Colombano partì dal monastero irlandese di Bangor per una lunga missione in Europa. Fondò monasteri nelle Fiandre, in Gallia, Germania e in Italia (Abbazia di Bobbio). Tutti i monasteri da lui fondati divennero sedi di scriptoria e di trasmissione del sapere. Tra i capolavori della scrittura miniata irlandese figurano:
  • Il Libro di Kells,
  • Il Cathach di san Columba,
  • L' Orosio Ambrosiano,
  • Il Libro di Durrow,
  • I Vangeli di Durham,
  • I Vangeli di Echternach,
  • I Vangeli di Lindisfarne,
  • I Vangeli di Lichfield,
  • L' Evangeliario di San Gallo,
  • Il Libro di Armagh.

Scrivere, che si copiasse o meno, era considerata un'attività manuale, e quindi umile o degradante secondo la cultura antica. Fin dal VI secolo le prime regole monastiche inclusero la scrittura tra le attività che l'uomo umile doveva compiere per condurre una pia vita. 

Vivarium

Quello di Vivarium è il primo scriptorium di cui si abbia precisa testimonianza storica. Faceva parte del complesso monastico costruito da Cassiodoro nel VI secolo. Da persona colta qual era, Cassiodoro, nelle sue Istituzioni, raccomandava la più grande cura nella trascrizione dei testi sacri. Ma neppure dimenticò, forse proprio per la sua educazione classica, di far copiare testi di autori pagani. Il centro scrittorio fu attivo almeno fino al 630.

Montecassino

La regola monastica di san Benedetto da Norcia specifica le varie mansioni e attività dei monaci, tra le quali quella della scrittura. All'interno dell'abbazia di Montecassino, fondata nel 529, funzionò uno scriptorium attivo fino al XV secolo.

Bobbio

Nell'abbazia fondata a Bobbio (media Val Trebbia) dal monaco irlandese san Colombano, fu istituito uno scriptorium nel VII secolo da parte del successore del fondatore, l'abate Attala (615-627).
Lo scriptorium fu il maggior centro di produzione libraria dell'Italia settentrionale tra il VII e il IX secolo, in età longobarda e carolingia, al centro di una rete di scriptoria esistenti nei vari monasteri dell'ordine. I monaci irlandesi che vi lavorarono all'origine introdussero lo stile dell'arte insulare per le miniature e un particolare sistema di abbreviature.

San Gallo

Un altro importante centro scrittorio fu attivo presso l'abbazia di San Gallo, in Svizzera. Una pianta dell'abbazia risalente alla prima metà del IX secolo mostra lo scriptorium presso l'angolo a nord dell'edificio della chiesa.

Citeaux

Con il rilassarsi della regola benedettina anche la posizione e la struttura degli scriptoria nei monasteri cambiò: da spazi concepiti come semplici stanze coperte furono sempre più protetti e riscaldati. In reazione a questo rilassamento a Citeaux (Cistercium) Bernardo di Chiaravalle impartì disposizioni più severe, che giunsero a riguardare le decorazioni dei manoscritti. Un'ordinanza dell'inizio del XII secolo impone che nei libri vi fossero literae unius coloris et non depictae (lettere di un solo colore e non decorate).
Sempre nello stesso periodo i monaci furono tenuti al silenzio nello scriptorium. Due secoli più tardi fu tuttavia loro concesso di eseguire il lavoro di scrittura anche nelle proprie celle.

Certosini

Il modus vivendi dell'ordine certosino prescriveva il lavoro nella solitudine della cella. Anche i monaci certosini quindi si dedicarono all'attività di copiatura.

Fonte: Wikipedia

domenica 2 giugno 2013

LA SCRITTURA CAROLINA

La minuscola carolina o scrittura di cancelleria è uno stile di scrittura creato durante la rinascita carolingia avvenuta sotto il regno di Carlo Magno nei secoli VIII e IX. Messa a punto per la prima volta nel monastero benedettino di Corbie, trasformando la minuscola corsiva, allora usata dai notari in varie versioni regionali, in una nuova scrittura caratterizzata da una forma regolare delle singole lettere e dall'eliminazione delle legature e delle abbreviazioni. Fu prima adottata dai grandi monasteri per la trascrizione delle sacre scritture, poi fu insegnata nelle scuole vescovili e monastiche e quindi utilizzata dalle pubbliche amministrazioni per tutti gli atti ufficiali. Venne a sostituire il particolarismo grafico dei secoli VII e VIII. È una dalle canonizzazioni delle scritture semicorsive e semplificava in particolare i caratteri "a" e "t" per poter distinguerli in maniera più semplice. La grafica elegante e la forma dei caratteri più accurata. Fu molto importante perché facilitò la trascrizione di testi classici agli amanuensi, semplificò notevolmente la comunicazione internazionale e diede una nuova spinta alla rinascita e diffusione della cultura nei secoli altomedievali. Nel corso del tardo medioevo fu affiancata da altri due tipi di scrittura, la scrittura notarile e la scrittura corsiva che prese il sopravvento sulle altre due. La minuscola carolina rimase comunque in utilizzo per i libri e gradualmente si trasformò diventando infine la littera textualis. La minuscola cadde poi in disuso nel basso medioevo in favore della scrittura gotica, per poi venire ripresa dai primi umanisti come Coluccio Salutati e Poggio Bracciolini (che la credevano scrittura degli antichi Romani): fece così da base alla minuscola umanistica rotonda, che a sua volta fece da modello per i primi caratteri da stampa, che si sono poi evoluti fino ai caratteri tuttora usati.

Fonte: Medioevo

LA SCRITTURA ONCIALE

L'Onciale è un'antica scrittura maiuscola. Fu usata dal III all'VIII secolo nei manoscritti dagli amanuensi latini e bizantini, e successivamente dall'VIII al XIII secolo soprattutto nelle intestazioni e nei titoli. La parola onciale descrive un tipo preciso di grafia che si sviluppò tra il III e il IV secolo dell'era cristiana, a partire dalla capitale corsiva; il termine viene soprattutto utilizzato relativamente all'alfabeto latino. Il primo esempio conosciuto si trova su un papiro del III secolo contenente un'epitome di Tito Livio (in cui sono comunque presenti anche delle lettere corsive). L'onciale fu la scrittura per eccellenza dei codici miniati, più indicata per la penna e la pergamena, che sostituì il papiro perché meno angolosa della quadrata (impiegata ancora oggi per le iscrizioni). Intorno al V secolo l'onciale cominciò a divenire un tipo di scrittura più manierata ed ornata, i tratti ascendenti e discendenti furono i primi a subire delle alterazioni, seguiti dal corpo centrale che venne reso più "spesso". La scrittura onciale venne usata fino all'inizio del IX secolo, quando la minuscola carolina cominciò a sostituirla. Tra l'VIII e il XIII secolo fu soprattutto impiegata per scrivere i titoli dei libri, dei capitoli o dei paragrafi, come si fa attualmente con le lettere maiuscole; nei manoscritti tale scrittura venne usata insieme alla minuscola carolina o alla scrittura gotica, due grafie che hanno preso dall'onciale la forma di alcune lettere come la d o la a. Benché dopo l'età dell'oro sia stata destinata solo a scopo ornamentale, l'onciale fu talvolta utilizzata anche in periodi successivi per scrivere l'intero contenuto di codici, in particolare per edizioni della Bibbia; solo con la stampa si assistette alla definitiva scomparsa dell'onciale, che fu tuttavia ancora impiegata dai calligrafi. Attualmente sopravvivono circa 500 manoscritti in onciale, la maggior parte dei quali si può trovare tra le opere precedenti la rinascita carolingia. Alcuni di questi manoscritti sono ritenuti particolarmente preziosi. È da notare che la scrittura chiamata semionciale non deriva dall'onciale ma dalla nuova corsiva romana e che le scritture nazionali che vennero sviluppate dopo la caduta dell'Impero romano (lombarda, visigotica, merovingia, insulare ecc.) discendono principalmente da questa nuova corsiva o dalla semionciale per le scritture insulari (irlandese e anglosassone).
L'onciale latina si caratterizza per le sue curve. Le lettere maggiormente rappresentative sono A, D, E, H, M, Q e V, differenti dalle loro equivalenti in forma quadrata. Esse hanno lasciato la loro impronta nella forma delle minuscole attualmente impiegate (tramite un percorso complesso, tuttavia, le nostre minuscole non derivano in effetti direttamente dall'onciale). Nella scrittura onciale non esisteva ancora una lettera J distinta dalla I (che non aveva il punto); U e V erano uguali. Infine, la W non era ancora presente. Le lettere non avevano più obbligatoriamente un'altezza d'occhio tipografico regolare: alcune passavano la linea di riferimento, il che si vede chiaramente in D, H, K e L per l'altezza dell'occhio e F, G, N, P, Q, R, X e Y (che talvolta presenta un punto sovrascritto) per la linea di base. A seconda dei manoscritti, alcune di queste lettere sono talvolta più regolari: è, ad esempio, il caso della N, che può rimanere circoscritta nelle due linee.
Le parole, inizialmente, non erano separate, ma un piccolo spazio inserito o un punto facevano talvolta da separatore delle frasi. La punteggiatura era, escluso il punto, quasi totalmente assente e la scrittura non distingueva tra maiuscole e minuscole, inserendo talvolta una lettera più grande per far risaltare l'inizio della pagina, ma senza tracciare caratteri differenti. Le abbreviazioni erano rare negli antichi manoscritti: riguardavano più che altro i nomina sacra e la sospensione nasale (la M a fine riga veniva sostituita da un trattino sovrascritto che poteva essere o meno accompagnato da un punto, la N da un trattino sottoscritto). La congiunzione enclitica -que (che significa "e" in latino) e la desinenza -bus del dativo/ablativo plurale della terza e quarta declinazione erano, come nella capitale, talvolta abbreviate con Q. e B.; i manoscritti di diritto, comunque, si presentavano già ricchi di abbreviazioni. Le legature alla fine della riga, così come la E caudata (Ę), che può sostituire AE, fanno la loro apparizione a partire dal VI secolo. 
A causa della diffusione avuta si svilupparono molti stili di onciale:
  • africana (in uso nella provincia romana d'Africa); era più angolosa rispetto alle altre forme di onciale. In particolare l'occhiello della lettera a era aguzzo.
  • bizantina; ha due particolarità: l'onciale "b-d" aveva le figure della b e della d che erano molto simili a quelle della semionciale ed era impiegata nel IV e V secolo; l'onciale "b-r", utilizzata nel V e VI secolo, presentava la b larga il doppio delle altre lettere e la r che aveva l'occhiello sulla linea iniziale e l'asta che si estendeva oltre.
  • italiana; le lettere tondeggianti (c, e, o ecc.) presentavano la parte superiore ornata e l'occhiello aguzzo come nell'africana, l'asta della d orizzontale piuttosto che verticale e le lettere f, l, t e s erano caratterizzate dalle grazie.
  • insulare (usata in Inghilterra e Irlanda, da non confondere con la scrittura insulare); le parole si presentavano nettamente separate e gli accenti enfatizzavano la sillabazione, probabilmente perché inglesi e irlandesi non parlavano una lingua neo-latina. Utilizzava il “sistema di abbreviazione insulare” che non appare in altre forme di onciale. Era caratterizzata da tratti terminali a forma di cuneo, connessi con una sottile i sospesa nella parte inferiore in presenza di m o h (quando si trovava alla fine del termine) e la scrittura includeva, inoltre, decorazioni il cui soggetto erano animali e punti ("punteggiatura insulare", i punti si potevano presentare anche a gruppi di tre).
  • francese (merovingica); aveva dei tratti discendenti sottili (g, p ecc.) e una x con le due linee che s'incrociavano più in alto del punto centrale, la a e la d avevano l'occhiello “arricciato” (in alcuni casi a forma di una mela), inoltre presentava molte decorazioni con disegni di pesci, alberi e uccelli.

Quando si parla dell'alfabeto greco, si designa una delle sue scritture con il termine "onciale". È comunque una denominazione meno precisa rispetto all'alfabeto latino: in effetti, non è tanto il segno o il tipo di lettere a caratterizzarla quanto l'impiego del testo così scritto. L'onciale greca era, in effetti, un tipo di maiuscola usata per la scrittura di libri a partire dall'epoca ellenistica, molto vicina alla capitale lapidaria, il che aveva portato a denominarla «libresca». Si contrapponeva alla scrittura di cancelleria e alle minuscole. D'altronde, da qualche anno, il termine onciale è stato abbandonato a favore del termine maiuscolo, più adatto.
A partire della metà del IV secolo si assistette a una separazione, tutto sommato poco marcata, tra la capitale lapidaria e quella utilizzata per i libri, termine con il quale venivano designati i documenti pubblici e non quelli privati, che erano scritti con diversi caratteri che, comunque, tendevano, più o meno, verso il corsivo. I tratti più interessanti riguardavano poco le lettere; allo stesso modo dell'onciale latina, le linee diritte avevano la tendenza a curvarsi, il che permetteva di scrivere più facilmente sulla pergamena. In particolare: la lettera sigma assunse la forma detta sigma lunato: Σ → С; l'epsilon si curvò (epsilon lunato): Ε → Є;
l'omega prese la forma che porterà alla nascita della minuscola: Ω → Ѡ.Riguardo alle altre lettere, si nota, come per la latina, una irregolarità nell'altezza (che si presentava soprattutto con il superare la linea di base) e una semplificazione crescente nel tratto di alcune lettere, come la Α che, all'inizio, era vicina al modello lapidario e che, poco a poco, era divenuta simile alla A onciale latina, il Ξ, nel quale i tre trattini si univano, o ancora la Λ, nella quale l'asta sinistra si accorciava. Le ultime due sono alle volte simili alle attuali minuscole λ e ξ (minuscole che sono debitrici di un miscuglio di forme che si estende su più di due millenni). Una volta fissato il modello, esso rimarrà invariato per più di un millennio nell'utilizzo per i manoscritti librari e sarà rimpiazzato solo nelle tipografie dalle capitali lapidarie.

Fonte: Wikipedia



GLI AMANUENSI

Prima della diffusione della stampa, l'amanuense o il copista, era la figura professionale di chi, per mestiere, ricopiava manoscritti a servizio di privati o del pubblico. Nell'antichità classica la professione di amanuense era esercitata dagli schiavi. Dopo la diffusione del Cristianesimo fu coltivata soprattutto in centri religiosi (in particolar modo le abbazie dei Benedettini) e nel XIII secolo si sviluppò una vera e propria industria di professionisti. Oggi, per gli studiosi di filologia è molto più affidabile un'opera copiata da un professionista della copiatura, che non da un esperto della materia oggetto dell'opera, poiché questi ultimi avevano la tendenza a "correggere" il testo. Attualmente il termine amanuense può essere utilizzato anche per indicare chi scrive a mano atti o documenti, nei casi in cui la legge richieda l'uso della scrittura manoscritta nella formazione degli atti (per es. i verbali delle riunioni di condominio). La parola amanuense deriva dal latino servus a manu, che era il termine con il quale i romani definivano gli scribi. Questi monaci vivevano molte ore della giornata nello scriptorium (una particolare stanza presente in alcune strutture religiose, in posizione tale da catturare più luce possibile, utile durante il processo di copiatura degli antichi codici) e a coloro che svolgevano questo lavoro era permesso di saltare alcune ore canoniche di preghiera. All'attività degli amanuensi si lega il personaggio romano Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, che fondò a Squillace, in Calabria, il monastero di Vivario dedicato allo studio e alla scrittura. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la riproduzione di manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono i monasteri medievali. Durante il XIV secolo e il XV secolo, l'arte della copia degli antichi testi aveva raggiunto il suo culmine: i libri, infatti, dopo essere copiati dagli amanuensi, erano controllati sul piano grammaticale e ortografico dai correctores (questo avveniva perché in quei tempi, dato l'ottimo salario degli amanuensi, molti semianalfabeti si dedicavano a questa attività) per poi essere miniati dai miniatores. Inoltre, presso le università, gli allievi copiavano, traducevano e miniavano molti codici, per potersi mantenere nei propri studi.
Allo scopo di dimezzare i tempi di produzione un codice talvolta veniva dato da trascrivere dividendolo fra due amanuensi: ciascuno ricopiava la metà affidatagli e poi le due copie venivano riunite. Questo sforzo collettivo appare ancora più evidente per i grossi codici di lusso che richiedevano anche l'intervento dei miniatori, i quali entravano in gioco solo dopo che l'opera era stata completamente ricopiata dagli amanuensi.

Fonte: Wikipedia

giovedì 23 maggio 2013

LA SCRITTURA BENEVENTANA

La scrittura beneventana è una grafia minuscola medievale, cosi chiamata in quanto originaria del ducato di Benevento nell'Italia meridionale. È stata anche chiamata scrittura langobarda (o longobarda o longobardisca) in quanto trae origine da territori abitati dai Longobardi (Langobardia Minor), e talvolta anche gotica; è stata denominata Beneventana per la prima volta dal paleografo Elias Avery Lowe (15 ottobre 1879 – 8 agosto 1969). La Beneventana si distingue nelle tipizzazioni barese e cassinese. È associata con l'Italia a sud di Roma, ma è stata anche usata nella zona dalmata (nel monastero di San Crisogono di Zara) sotto l'influenza barese. Questa scrittura, sviluppatasi a partire da Benevento, è stata usata approssimativamente dalla metà del VIII secolo fino al XIII secolo, anche se ne esistono esempi fino al tardo XVI secolo. I centri più importanti della beneventana furono due: il Monastero di Montecassino e Benevento. La grafia del tipo barese (Bari type, secondo la definizione di Lowe), dove venne creata una variante della beneventana, si sviluppò nel X secolo dalla scrittura di Monte Cassino e per influsso di una minuscola di tipo greco. Le scritture dei due centri erano basate sulla minuscola romana usata dai Longobardi. In generale, la beneventana appare molto spigolosa. In accordo con Lowe, la forma perfetta fu raggiunta nel XI secolo, quando Desiderio era abate di Montecassino, dopodiché inizio il suo declino. Nel corso del XIII secolo la grafia fu sostituita, per impulso delle dominazioni di Normanni e Svevi e dell'arrivo dell'ordine cistercense, dalla scrittura gotica, per sopravvivere soltanto in alcuni centri come Montecassino, Cava dei Tirreni e per breve tempo Salerno. Le caratteristiche della beneventana comprendono molte legature e “tratti di connessione” - le lettere di una parola possono essere unite insieme da una linea, con delle figure oggi irriconoscibili. Le legature comprendono la lettera t che rassomiglia alla forma presente nella visigotica; la t può assumere molte forme a seconda della lettere con cui è legata. Le legature con le lettere e ed r sono anch'esse comuni. La e si può legare con la p con la legatura detta ad “asso di picche”. Nei primi esempi di beneventana, la lettera a ha un'apertura nella parte superiore, il che la rende simile alla lettera u; successivamente assomiglia a "cc" o "oc", con delle "code" discendenti sulla destra. Nella grafia di Bari, la lettera c ha una forma spezzata, e assomiglia alla forma beneventana della e. La e invece presenta un "braccio" mediano lungo in modo da distinguerla dalla c. La lettera d può presentare il tratto ascendente sia verticale sia piegato verso sinistra, mentre la lettera g rassomiglia alla forma onciale e la lettera i è molto alta e assomiglia alla l. Questa scrittura ha alcune modalità di abbreviazioni e contrazioni particolari: similmente ad altre scritture latine, le lettere non inserite sono rappresentate da un trattino superiore (macron); la beneventana vi aggiunge a volte anche un punto. Esiste anche un simbolo simile al numero 3 o a una m obliqua usato quando la m viene omessa. In altre grafie vi è poca o nessuna punteggiatura, ma per la beneventana venne sviluppata la punteggiatura standard incluse le basi del moderno punto interrogativo. La beneventana condivide molte caratteristiche con la scrittura visigotica e la scrittura merovingica: probabilmente gli aspetti comuni sono dovuti alla comune origine dalla scrittura romana. Variante elaborata nel monastero di Montecassino, sviluppatasi parallelamente alla tipizzazione barese, presentava tratti orizzontali, verticali ed obliqui verso destra molto spessi e quelli obliqui verso sinistra sottilissimi per l'uso di una penna mozza a sinistra. Con il XIII secolo la scrittura cassinese si fece più rigida, con modulo più ridotto, fitta e angolosa nel disegno, con le aste brevi spezzate, aumentarono le abbreviazioni e iniziò a manifestare elementi della scrittura carolina.  La tipizzazione barese della Beneventana, di cui gli esempi più alti sono l'Exultet I e II e un Evangeliario (conservato nella biblioteca apostolica vaticana), ha caratteristiche in parte differenti. Essa fu influenzata da un tipo di minuscola greca utilizzata a Bari ai tempi della dominazione bizantina. Presenta un modulo più ampio, arrotondamento delle forme, un tratteggio più sottile (favorito dall'utilizzo di penne a punta rigida alla greca), la nota tironiana per est (÷), aste ridotte, accanto alle lettere tipiche della scrittura beneventana.

Fonte: Wikipedia

martedì 8 maggio 2012

LA PRODUZIONE DEL MANOSCRITTO MEDIEVALE

Le pagine dei manoscritti medievali erano principalmente di pergamena (dalla città di Pergamo, uno dei primi principali centri di produzione), ottenuta dalla lavorazione di pelli di pecora, agnello (la più pregiata), vitello o altri animali. La pelle dell’animale era ripetutamente immersa in bagni di acqua e calce, depilata, raschiata per rimuovere tutto il grasso e tesa su un telaio ad asciugare. L’ultimo intervento consisteva nella levigatura con pietra pomice. Spesso si riciclava una pergamena raschiando via un testo (palingere = raschiare di nuovo, da cui il termine “palinsesto”) per sostituirlo con uno nuovo. In alcuni casi, la pergamena destinata ai codici più preziosi era tinta di rosso con la porpora; (le pagine purpuree erano vergate con oro e argento). La pelle così trattata era quindi piegata in quattro per formare i fascicoli (quaderni) che, una volta scritti, miniati e rilegati con copertine arricchite da inserti di avorio, metalli e pietre preziosi, avrebbero costituito il libro finito.
La pergamena veniva rigata incidendola lievemente con un punteruolo per impaginare il testo scritto. Il lavoro di trascrizione era eseguito con una cannuccia (calamo) o una penna di volatile (generalmente d’oca), opportunamente tagliate,  usando inchiostro nero, ottenuto dal nero-fumo o da galle di quercia, e successivamente “rubricando” i titoli dei capitoli con inchiostro rosso, lasciando liberi dal testo gli spazi destinati alle iniziali e alle miniature.



Terminato il lavoro del copista e del rubricatore, il miniatore si occupava della decorazione delle iniziali, dei margini e delle illustrazioni, tracciando inizialmente il disegno con una punta di piombo o d’argento (la grafite delle matite attuali era sconosciuta). Nelle zone destinate alla doratura si applicava un composto di gesso, bolo armeno (un’argilla di colore rosso) e colla di coniglio o di pergamena (ottenuta dai ritagli di pelle di animali), sul quale era applicata una sottilissima e delicatissima foglia d’oro, che era poi lucidato con una pietra di agata o un dente di carnivoro.



L’operazione successiva consisteva nella stesura dei colori, ottenuti da pigmenti in polvere miscelati a gomma arabica, chiara d’uovo, miele, lattice di fico (“tempere”, da “temperare” = miscelare con cura). I pigmenti si ottenevano da sostanze vegetali, animali, o minerali: il nero era ottenuto dalla combustione di legni resinosi o di olio (nerofumo); il bianco era ottenuto dalla reazione chimica di piombo e aceto (carbonato di piombo = “biacca”), che cotta dava il minio – tetraossido di piombo-, un rosso usato anche negli inchiostri. La porpora era estratta da un mollusco marino (il murex), ed era costosissima perché occorrevano migliaia di molluschi per ottenere un solo grammo di colorante. Altri rossi erano ottenuti da minerali come il velenosissimo cinabro – solfato di mercurio - terre e vegetali (ocre), così come i gialli.  Il verde poteva essere ottenuto dalla reazione chimica di lastre di rame con aceto (acetato basico di rame). L’azzurro si otteneva dal lapislazzuli (“lapis d’Azul”), una pietra proveniente dall’Afghanistan e importata in Europa dai porti dell’Asia Minore (“oltremare”), quindi molto costosa.



Per proteggere e per dare un aspetto di delicata lucentezza alla miniatura era applicato infine, con un pennello, dell’allume di potassio, un mordente usato anche per fissare i colori sui tessuti (da cui il termine “alluminare” che in Francia sostituisce l’italiano “miniare” – “… quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi…”- Dante - Purgatorio XI-). Il numero di artigiani altamente specializzati e il tempo di lavoro necessario, il costo dell’oro e di alcuni pigmenti perfino più preziosi, lo stesso supporto pergamenaceo (si è calcolato che per produrre alcuni testi furono necessarie le pelli di circa 500 animali), spiegano il valore ed il costo di ogni singolo libro, sostenibile solo a una ristretta elite di nobili e ricchi, e chiariscono la portata di vera rivoluzione culturale dovuta alla diffusione del libro stampato all’alba dell’evo moderno.




Articolo di Alfredo Spadoni. Tutti i diritti riservati.


EVOLUZIONE DELLA SCRITTURA OCCIDENTALE

L’esigenza di comunicare e di trasmettere idee e concetti in una maniera meno transitoria di quella orale è sempre stata una caratteristica dell’umanità, fin dalle prime rappresentazioni rupestri preistoriche. Le prime scritture pittografiche derivarono dalla rappresentazione stilizzata di oggetti tramite segni, ciascuno con un proprio significato. Le prime forme di scrittura vera e propria utilizzarono pittogrammi fusi insieme, per significare altri concetti (alfabeti sillabici). Il primo alfabeto fonetico (per il quale ad ogni segno corrisponde un suono) fu inventato dai fenici che, da commercianti quali erano, necessitavano di una forma di scrittura chiara e versatile per le loro esigenze. E’ da questo alfabeto che derivano, per successive trasformazioni ed adattamenti, quello greco, l'etrusco, e quello latino, pressoché identico a quello attuale.
Anche l’illustrazione dei testi scritti, a scopo esplicativo o decorativo, ha radici antichissime e si riscontra già nei papiri egizi.Il dominio militare e culturale di Roma divulgò, tramite le innumerevoli epigrafi su marmo, l’alfabeto latino su gran parte dell’Europa occidentale fin dal I sec. d.C. Le versioni librarie della scrittura epigrafica furono la “quadrata” (sopravvissuta in rarissimi manoscritti), e la cosiddetta “rustica”, la versione libraria della scrittura epigrafica imperiale. la quale, pur essendo ben presto sostituita da altre forme di scrittura per l’uso corrente, continuò ad essere usata per titoli e rubriche fino al 1500.


A fianco di queste scritture formali e solenni se ne sviluppò, nel II sec., una più affine alla scrittura greca, denominata “onciale”, la quale, adottata dal cristianesimo nascente (che alla lingua greca molto doveva alla sua iniziale divulgazione), si diffuse rapidamente in tutto il continente.


Con il crollo e la frammentazione dell’impero (IV secolo), ed il conseguente isolamento dei diversi centri culturali, soprattutto monastici, si perse l’uniformità culturale, e dall’onciale si differenziarono parallelamente varie scritture: beneventana, visigotica, insulare (isole britanniche). Tali particolarismi geografici si riscontrano naturalmente anche nelle decorazioni. Splendidi manoscritti prodotti dai monaci irlandesi nei secoli VIII – IX affiancano ad una elegante scrittura “insulare” motivi a spirale e ad intreccio ispirati direttamente a decorazioni tradizionali celtiche, ancora vivissime in territori mai assoggettati dalle legioni romane, e perfino alcune iniziali presentano evidenti influenze di scrittura runica.

È in questo periodo, inoltre, che si cominciano a distinguere nettamente le lettere maiuscole dalle minuscole, nate dalla naturale tendenza a diminuire i sollevamenti della penna dal supporto nell’esecuzione di scritture veloci (“corsive”). Gli stessi monaci irlandesi, fautori della cristianizzazione dell’Europa continentale, vi importarono il gusto per queste decorazioni ad intreccio che, fondendosi con elementi decorativi romani e bizantini, aprirono la strada all’arte romanica. Nel IX secolo Carlo Magno, uno dei tanti re franco-germanici, riuscì ad unificare sotto il suo dominio buona parte dell’Europa e tentò di restaurare i fasti ed il prestigio imperiali con l’istituzione del Sacro Romano Impero. Al fine di amministrare territori così vasti e culturalmente diversi, incaricò gli intellettuali dell’epoca di uniformare la scrittura, dando vita alla scrittura “carolina”, una versione riveduta dell’onciale, con lettere ben differenziate da ascendenti e discendenti.


La decorazione romanica, prima carolingia e poi ottoniana, continuò per lungo tempo ad ispirarsi a motivi imperiali (o presunti tali), per chiari scopi propagandistici. Una forma più compatta, spigolosa e veloce della scrittura carolina diede origine ad uno stile di scrittura definita “gotico antico” (o “protogotico”, XI – XIII sec.). Dall’inizio del XIII sec. il gotico antico si evolse in una calligrafia definita “textura” (o “littera moderna”), la quale, per la sua meticolosa regolarità di spaziatura ed altezza dei caratteri, la sua compattezza e l’esteso uso di abbreviazioni, permetteva di eseguire un lavoro relativamente veloce ed un contemporaneo risparmio di costoso materiale.


La nascente tendenza al mecenatismo, l’accesso alla cultura delle fasce di popolazione più ricche, l’istituzione delle prime università, con il conseguente aumento di richiesta di testi, favorì l’uso della “textura” che, sacrificando l’identità delle singole lettere a favore di un effetto generale della pagina, omogeneizzava le differenze calligrafiche di un lavoro di copiatura eseguito spesso da diversi scrivani per uno stesso manoscritto. Versioni più sciolte e veloci (“corsive”) della “textura” si utilizzavano per i lavori più correnti, distinguendosi, con il nascere degli stati nazionali, da regione a regione: sono le cosiddette scritture “bastarde”, la cancelleresca, la rotonda (una “textura” meno spigolosa e più aperta).




BREVE STORIA DEL MANOSCRITTO

I più antichi manoscritti dell’Europa occidentale pervenutici sono rotoli (“volumen”= avvolgere) di papiro di epoca romana simili a quelli mediorientali ed egiziani. Con il diffondersi e l’affermarsi del cristianesimo, che dei testi scritti faceva un frequente uso liturgico, si cominciò a preferire l’adozione del codice rilegato (“codex” = ”caudex” = legno, dalla copertina costituita da tavolette di legno che proteggevano le pagine), più pratico e meno deteriorabile. Per lo stesso motivo la resistente pergamena, ricavata da pelli animali opportunamente lavorate, andò a sostituire il fragile papiro, peraltro ormai quasi irreperibile dopo la conquista araba dell’Egitto, suo principale centro di produzione. Il “volumen” sopravvisse nel medioevo negli “exultet”, rotoli liturgici con illustrazioni capovolte rispetto al testo per essere visibili dai fedeli mentre l’officiante svolgeva il testo dall’alto del pulpito durante la lettura.
La splendida decorazione dei manoscritti medioevali ha origine dall’uso di evidenziare con l’uso di inchiostro rosso (in latino “rubrum”, da cui “rubrica”) ottenuto da carbonato di piombo sottoposto a cottura (minio, da cui il termine “miniatura”), l’inizio dei capitoli allo scopo di individuarli facilmente in testi all’epoca sprovvisti di indici e numerazione delle pagine. Per identici motivi si iniziò ad inserire nei vuoti delle iniziali figure e scene, “storie” (lettere “istoriate”) che illustravano e riassumevano il contenuto del testo a scopo non solo decorativo ma anche memnonico. Le iniziali assunsero sempre più evidenza, arrivando ad occupare gran parte della superficie scrittoria nei grandi libri corali (raccolta di canti liturgici),realizzati in un grande formato allo scopo di rendere leggibile il testo a distanza dall’intero coro dei monaci nella penombra delle chiese. Tali decorazioni, da quelle semplici e lineari dei manoscritti più antichi, svilupparono con il tempo forme sempre più elaborate e ricercate, con l’inserimento di figure, scene bibliche, decorazioni a motivi vegetali (vignetta = piccola vigna), che finirono per estendersi anche ai bordi della pagina, incorniciando il testo scritto e raggiungendo livelli artistici degni delle arti attualmente considerate “maggiori”. Il codice, da oggetto liturgico, devozionale, o di studio, iniziò ad essere considerato, con le sue decorazioni in oro e costosissimi pigmenti (lapislazzuli, porpora), un bene prezioso, un’opera d’arte da tesaurizzare, da donare a personaggi importanti, da ostentare quale status simbol da parte di nobili e ricchi borghesi. Con l’istituzione delle prime università la richiesta di testi scritti incrementò ulteriormente: la loro esecuzione, non più appannaggio esclusivo degli scriptoria monastici, divenne una vera e propria attività commerciale. L’esigenza di fornire un prodotto a buon mercato a studenti non sempre abbienti impose, tramite gli arabi che la importarono dall’estremo oriente, l’uso della carta, più economica della preziosa pergamena, ormai riservata esclusivamente ad opere di lusso: ormai il codice era diventato libro (libro = strato del legno sotto la corteccia dell’albero, dal quale si ricavava la carta). Le stesse esigenze di produzione su vasta scala e a costi contenuti di un medesimo testo impose la diffusione della stampa a caratteri mobili. Ormai il manoscritto, con i suoi virtuosismi calligrafici e le sue magnifiche decorazioni cariche di simbologie figurative e cromatiche ormai indecifrabili per la mentalità moderna, fu relegato al mondo del collezionismo e dei musei.

Articolo di Alfredo Spadoni. Tutti i diritti riservati.

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