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giovedì 14 dicembre 2017

I DODICI GIORNI (O DODICI NOTTE) DI NATALE

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I Dodici Giorni costituiscono il periodo che scorre tra Natale (25 dicembre) e l'Epifania (6 gennaio). La dicitura fu stabilita nell'anno 567 dal Concilio di Tours. Secondo le prescrizioni religiose, questo periodo dovrebbe prevedere astensione dal lavoro e dal divertimento. Relativi ai 12 giorni ci sono innumerevoli tradizioni e superstizioni. In Germania i 12 giorni (o 12 notti) vengono chiamate Zwölf Rau(c)hnächte (Dodici notti fumose) in cui ci si difende con maschere, rumore e, appunto fumo, dagli spiriti maligni che compaiano all'improvviso. In Grecia si attendono i mostri chiamati Kallikantzaroi.

martedì 12 dicembre 2017

IL NATALE NEL MEDIOEVO: LE ORIGINI, I SIMBOLI, I PERSONAGGI

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Come si viveva il Natale nel Medioevo? Di certo era ben lontano dalle tradizioni attuali. La caduta dell'Impero Romano d'Occidente del 476 e ancora prima la promulgazione dell'editto di tolleranza da parte di Costantino nel 313 consentono al cristianesimo di trovare terreno fertile nel mondo occidentale. Con l'ascesa del Cristianesimo, il culto pagano, preponderante fino all'editto dell'imperatore, si vide depauperato di due riti fondamentali che avvenivano proprio nel mese di dicembre: i Saturnalia (17-23 dicembre), feste orgiastiche dedicate a Saturno, e la festa del Sol Invictus che si festeggia proprio 25 dicembre i cui attributi furono ripresi anche dal culto cristiano, basti pensare che fu Leone Magno che assegnò l'epiteto "vero sole" a Cristo imprimendo un fortissimo colpo al rito pagano.

Natale contro paganesimo ed eresie

Sempre Leone Magno trasformò il Natale in una festa atta non solo a sopprimere i culti pagani ma anche per combattere le eresie riguardanti la natura di Cristo (quella gnostica che separava il Dio uomo dal Dio Divino, quella ariana che poneva su un piano superiore la Natura di Cristo, quella monofisita che attestava come unica, la natura divina d Cristo, e quella nestoriana che vedeva uomo e Dio che convivevano in Cristo). 

I simboli del natale?

L'elemento cardine del Natale è il presepe il cui allestimento risale ai tempi di San Francesco d'Assisi, ma vi siete mai chiesti le origini dei singoli elementi che lo compongono? Il primo a descrivere la Natività è Luca il quale non specifica una stagione particolare per la nascita di Cristo ma evidenzia la presenza della mangiatoia. Il bue e l'asinello non compaiono nei Vangeli ma sono stati inseriti da Origene che riprese una profezia di Isaia secondo la quale “un bue ha riconosciuto il suo proprietario e un asino la mangiatoia del suo padrone”[1]; in realtà, Isaia non si riferiva a Cristo e il bue e l'asinello altro non è che la rappresentazione di pagani ed ebrei per rafforzare l'universalità della venuta in Terra del Cristo.

Dal VII secolo appare la mangiatoia, grazie a Pseudo Matteo [2], ma anche questa volta è una rielaborazione di una lettura di Isaia che vedeva Cristo nato in una grotta di pietra, metafora delle molte difficoltà della vita. Matteo, di contro, non specifica il numero dei Magi. Sarà ancora una volta Leone Magno a stabilirne il numero e i nomi: Melchiorre (re della luce), Baldassarre (Signore dell'Aurora) e Gaspare di cui si ignora ancora il significato. I doni che essi portavano erano l'oro (avvento di un re), incenso (avvento di una divinità) e la mirra che rappresentava il trionfo sulla morte essendo un unguento che veniva utilizzato per le imbalsamazioni. Grazie a San Francesco e all'allestimento del presepe nel 1223 tutti gli elementi descritti fino ad ora entrano nell'iconografia classica e tradizionale del Natale cristiano. 

Annotazioni

[1] Fonte Web: Sito Resorgentia.
[2] Il Vangelo dello pseudo-Matteo è uno dei vangeli apocrifi. Scritto in latino e risalente tra l'VIII e IX secolo, viene anche chiamato "Vangelo dell'infanzia di Matteo" o "Libro sulla nascita della Beata Vergine e sull'infanzia del Salvatore".

E l'albero di Natale? Non ti resta che leggere l'articolo a questo link!

venerdì 26 febbraio 2016

INIZIO DELLA DIFFUSIONE DEL PAGANESIMO IN CAMPAGNA


La diffusione del Cristianesimo nelle campagne politeiste del mondo tardoantico avviene tramite quello che Peter Brown definisce "modello a due piani", cioè con la compresenza, a volte foriera di attriti, tra i vecchi e il nuovo culto. Rapporto che, tra le masse, si contraddistingue con la ripresa di relitti paganeggianti, mentre, tra le élites acculturate, prende le forme di una religiosità ibrida.

Una spinta decisa alla diffusione del Cristianesimo si ha nel 313 con l'editto di Milano, con cui l'imperatore Costantino dichiara il nuovo culto "tollerato", e nel 380, con l'editto di Tessalonica, tramite il quale Teodosio acquisisce il Cristianesimo come religione di Stato. Ovviamente non parliamo di una cesura netta con le vecchie credenze, ma con l'inizio della convivenza e della sovrapposizione, come prima si ricordava, tra vecchi culti e nuovi riti. Quella che Santo Mazzarino chiama "rivoluzione cristiana", altro non sarebbe, dunque, che lo specchio religioso di una più ampia crisi socio-politica, dovuta alla violenta repressione delle masse, quando il latente pericolo della fine dell'Impero inizia ad identificarsi, nell'immaginario comune, con il concetto di fine del mondo.

In questo clima inizia a serpeggiare nelle folle l'idea che i princìpi cristiani, in quel momento ancora considerati fuori dalla legge, siano l'unica speranza per la salvezza. Da questa base, il passo per l'accettazione da parte delle classi alte di rango senatorio sarà breve, e passerà, in prima istanza, dalle donne, che, ad un certo punto, iniziano a rifiutarsi di sposarsi nell'ambito della loro classe sociale con uomini pagani, perdendo i propri privilegi; pratica tanto diffusa da determinare un intervento dell'imperatore Marco Aurelio per regolamentarla.

Sebbene tutto ciò possa sembrare di secondaria importanza, la conversione di uno schiavo al Cristianesimo determina una vera e propria rivoluzione sociale: questo non è più considerato, per la prima volta, instrumentum vocale, ma diventa un individuo, con una propria identità, e tutto ciò, in maniera inedita, darà la spinta per rimettere in discussione tutti i principi su cui si basava, da secoli, tutto l'impianto sociale di un impero tanto vasto da racchiudere in sé popoli estremamente diversi, ma che, per la prima volta, trovano un principio di identità saldissimo.

Rubrica a cura di Valentina D'Innocenzi. Tutti i diritti riservati.

Articoli di approfondimento




PAGANESIMO E CRISTIANESIMO: COMPRESENZE E SOVRAPPOSIZIONI


La sovrapposizione dei culti in età tardoantioca è dovuta anche, in prima istanza, alle poche pretese da parte della leadership ecclesiastica, riguardo la profondità della fede verso il culto, e dall'accettazione di pratiche non ortodosse, più vicine alle ritualità pagane. Tutto questo creava confusione sia sul piano pratico, sia sul piano della mentalità religiosa, infatti, a tale riguardo, si parla di acculturazione (cioè di scambio culturale) e non di indottrinamento vero e proprio. 

Inoltre, si creano, proprio per questo, due tipi di approcci narrativi, funzionali alla diffusione della religione cristiana: l'agiografia, diretta a chi ancora seguiva i culti pagani, e la pastorale, rivolta a chi, già convertito, resta ancora aggrappato ai vecchi riti, soprattutto in ambito rurale. Ovviamente, dato l'analfabetismo che caratterizzava i ceti più bassi, la tradizione è prettamente orale, ma questo non deve trarre in inganno, in quanto ciò non determina una minore accuratezza del  messaggio comunicato.

La lingua usata non è casuale: per rivolgersi alle masse contadine si usa il sermo rusticus, con il quale si raffigurano scene di grande impressione, ma si usano anche metodi di coinvolgimento emotivo, come particolari rappresentazione, quali, ad esempio, il culto di reliquie e immagini sacre, l'invito al pellegrinaggio, e la narrazione di storie edificanti e di vite di santi ed eremiti. 

Importante, per creare un coinvolgimento emotivo forte, è l'uso delle processioni: come ci dice Marie-Noel Colette, nel medioevo occidentale, queste hanno vari caratteri (penitenziale, lustrale, festivo), e rispondono a momenti straordinari (avvenimenti particolari) o ordinari, come le stazioni dei vespri, quotidiane, le processioni penitenziali del mercoledì e del venerdì, o le processioni ai fonti battesimali nelle veglie pasquali, ognuna con un proprio repertorio musicale, ad aumentare il coinvolgimento emotivo dei fedeli.

Questo esempio della processione è, quindi, in ultima analisi esplicativo della compresenza, in una lunga fase iniziale, dei due culti religiosi, se si pensa, ad esempio, che, molto spesso, i luoghi considerati come caratterizzati da potere divino in età pagana (alberi, sorgenti, pietre), in fase tardoantica, vengono ripresi dalla ritualità cristiana e assorbiti al nuovo culto.

Articolo di Valentina D'Innocenzi. Tutti i diritti riservati.

lunedì 22 febbraio 2016

LA VIA JUBICA


Questa antica e millenaria strada, detta anche Chiubbica, è stata una strada di pellegrinaggio. Le fanno da mirabile cornice lungo il suo percorso bellezze monumentali, oltre che paesaggistiche, che narrano della sua storia: torri, chiese, castelli, borghi cinti di mura; tutti ben conservati emanano un fascino ammaliante.  

Le origini della via Jubica

La Jubica era una strada consolare il cui tracciato risale al I secolo a.C. e il suo etmo, come appare immediatamente, è di origine ebraica. Il termine Jobel indica il corno di montone (ariete) che veniva suonato per annunciare una solenne festa del popolo d’Israele, da tale termine sarebbe derivato Giubileo; secondo altre tesi il termine sarebbe Jobil che indica il richiamo come atto del tornare o ritornare come conversione; oppure il termine Jobal inteso come remissione dei peccati, mentre nella lingua latina il termine Jubilum che significa gioia: quindi nell’estensione cristiana Giubileo è anche un anno gioioso.

La via Jubica dal Primo Giubileo in poi

Così dal primo Giubileo della Chiesa Cattolica del 1300, indetto da Papa Bonifacio VIII, fino a quando Papa Sisto V fissò l’apertura dei festeggiamenti per l’anno Jubilare o Jubicale ogni venticinque anni. La via Jubica si snoda lungo la costa,  parallela al mare, fino a giungere e collegarsi con la via Appia e attraversando l’Appennino arrivare a Roma. La sua importanza per i pellegrini emerge evidente così che dal 1300 fu la via da percorrere per conseguire l’indulgenza plenaria.

Tale via consolare era usata un tempo come strada militare che consentiva lo spostamento di centurie in marcia e il transito di carri e macchine belliche oltre naturalmente dalla cavalleria. In seguito alla smilitarizzazione, l’uso della via Jubica per recarsi a Roma iniziò già dal periodo che segnò la fine delle persecuzioni dei cristiani. 

È tra le vie più antiche d’Europa, è documentata da testimonianze storiche e geografiche come la Tavola Antoniana e la Tavola Peutingeriana che riportano tutti i luoghi di posta, le stazioni termali e che rappresentano documenti che sono stati preziosi sia per la penetrazione militare che per la viabilità ad uso dei viaggiatori.

Come accennavamo la Jubica è una via costellata da tesori d’arte molti palesi altrettanti nascosti e ancora da scoprire e tutti ancora da valorizzare. Questo tracciato cui si innestano altre strade anche esse ricche di Santuari, di Cappelle, di Ricoveri, di Romitori, tutti luoghi idonei per ritemprare i pellegrini che percorrevano lunghe distanze.

Dove si trova la via Jubica?

Dove si trova la via Jubica o Chiubbica dato che essa non è riportata né citata neppure dalle più importanti enciclopedie? La via Jubica è quel tracciato che parte da Reggio Calabria e giunge fino a Taranto, nota ai più come Strada Statale 106 Jonica e che attraversa le città e i borghi più antichi e belli della Calabria. Purtroppo, divenuta inadeguata per il traffico notevole che si è sviluppato dal secondo dopo guerra, così da “meritarsi” il non poco lusinghiera appellativo di Strada della morte a causa dei frequenti e mortali incidenti stradali. 

Guardare al passato, per rivalutare l’antico e l’antichità, non come nostalgia di vecchia e tramontata gloria bensì come recupero di un passato, che ha ancora molto da offrire attraverso la riqualificazione e il godimento, di un itinerario che ha rappresentato il cammino dei cristiani nella storia.

Articolo di Antonio Fotia. Tutti i diritti riservati.

sabato 13 febbraio 2016

DICHIARAZIONE DI PAPA FRANCESCO E DEL PATRIARCA KIRILL


Riportiamo il testo della dichiarazione congiunta di papa Francesco e del patriarca di Mosca Kirill. Il testo, di enorme importanza storica potrebbe essere la degna conclusione di un periodo fortemente scismatico iniziato nel lontano 1054 in occasione del Grande Scisma. Anche se il documento non rappresenta un definitivo riavvicinamento è sicuramente un passo importantissimo in vista di un riavvicinamento delle due confessioni cristiane.

«La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13).

1. Per volontà di Dio Padre dal quale viene ogni dono, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e con l’aiuto dello Spirito Santo Consolatore, noi, Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, ci siamo incontrati oggi a L’Avana. Rendiamo grazie a Dio, glorificato nella Trinità, per questo incontro, il primo nella storia.
Con gioia ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per «parlare a viva voce» (2 Gv 12), da cuore a cuore, e discutere dei rapporti reciproci tra le Chiese, dei problemi essenziali dei nostri fedeli e delle prospettive di sviluppo della civiltà umana.

2. Il nostro incontro fraterno ha avuto luogo a Cuba, all’incrocio tra Nord e Sud, tra Est e Ovest. Da questa isola, simbolo delle speranze del “Nuovo Mondo” e degli eventi drammatici della storia del XX secolo, rivolgiamo la nostra parola a tutti i popoli dell’America Latina e degli altri Continenti.
Ci rallegriamo che la fede cristiana stia crescendo qui in modo dinamico. Il potente potenziale religioso dell’America Latina, la sua secolare tradizione cristiana, realizzata nell’esperienza personale di milioni di persone, sono la garanzia di un grande futuro per questa regione.

3. Incontrandoci lontano dalle antiche contese del “Vecchio Mondo”, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15).

4. Rendiamo grazie a Dio per i doni ricevuti dalla venuta nel mondo del suo unico Figlio. Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”.

5. Nonostante questa Tradizione comune dei primi dieci secoli, cattolici e ortodossi, da quasi mille anni, sono privati della comunione nell’Eucaristia. Siamo divisi da ferite causate da conflitti di un passato lontano o recente, da divergenze, ereditate dai nostri antenati, nella comprensione e l’esplicitazione della nostra fede in Dio, uno in tre Persone – Padre, Figlio e Spirito Santo. Deploriamo la perdita dell’unità, conseguenza della debolezza umana e del peccato, accaduta nonostante la Preghiera sacerdotale di Cristo Salvatore: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 21).

6. Consapevoli della permanenza di numerosi ostacoli, ci auguriamo che il nostro incontro possa contribuire al ristabilimento di questa unità voluta da Dio, per la quale Cristo ha pregato. Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli. In un mondo che attende da noi non solo parole ma gesti concreti, possa questo incontro essere un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà!

7. Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato, vogliamo unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo. Ortodossi e cattolici devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario. La civiltà umana è entrata in un periodo di cambiamento epocale. La nostra coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune.

8. Il nostro sguardo si rivolge in primo luogo verso le regioni del mondo dove i cristiani sono vittime di persecuzione. In molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa i nostri fratelli e sorelle in Cristo vengono sterminati per famiglie, villaggi e città intere. Le loro chiese sono devastate e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente, constatiamo con dolore l’esodo massiccio dei cristiani dalla terra dalla quale cominciò a diffondersi la nostra fede e dove essi hanno vissuto, fin dai tempi degli apostoli, insieme ad altre comunità religiose.

9. Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente. Nell’elevare la voce in difesa dei cristiani perseguitati, desideriamo esprimere la nostra compassione per le sofferenze subite dai fedeli di altre tradizioni religiose diventati anch’essi vittime della guerra civile, del caos e della violenza terroristica.

10. In Siria e in Iraq la violenza ha già causato migliaia di vittime, lasciando milioni di persone senza tetto né risorse. Esortiamo la comunità internazionale ad unirsi per porre fine alla violenza e al terrorismo e, nello stesso tempo, a contribuire attraverso il dialogo ad un rapido ristabilimento della pace civile. È essenziale assicurare un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei paesi confinanti.
Chiediamo a tutti coloro che possono influire sul destino delle persone rapite, fra cui i Metropoliti di Aleppo, Paolo e Giovanni Ibrahim, sequestrati nel mese di aprile del 2013, di fare tutto ciò che è necessario per la loro rapida liberazione.

11. Eleviamo le nostre preghiere a Cristo, il Salvatore del mondo, per il ristabilimento della pace in Medio Oriente che è “il frutto della giustizia” (cfr Is 32, 17), affinché si rafforzi la convivenza fraterna tra le varie popolazioni, le Chiese e le religioni che vi sono presenti, per il ritorno dei rifugiati nelle loro case, la guarigione dei feriti e il riposo dell’anima degli innocenti uccisi.
Ci rivolgiamo, con un fervido appello, a tutte le parti che possono essere coinvolte nei conflitti perché mostrino buona volontà e siedano al tavolo dei negoziati. Al contempo, è necessario che la comunità internazionale faccia ogni sforzo possibile per porre fine al terrorismo con l’aiuto di azioni comuni, congiunte e coordinate. Facciamo appello a tutti i paesi coinvolti nella lotta contro il terrorismo, affinché agiscano in maniera responsabile e prudente. Esortiamo tutti i cristiani e tutti i credenti in Dio a pregare con fervore il provvidente Creatore del mondo perché protegga il suo creato dalla distruzione e non permetta una nuova guerra mondiale. Affinché la pace sia durevole ed affidabile, sono necessari specifici sforzi volti a riscoprire i valori comuni che ci uniscono, fondati sul Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.

12. Ci inchiniamo davanti al martirio di coloro che, a costo della propria vita, testimoniano la verità del Vangelo, preferendo la morte all’apostasia di Cristo. Crediamo che questi martiri del nostro tempo, appartenenti a varie Chiese, ma uniti da una comune sofferenza, sono un pegno dell’unità dei cristiani. È a voi, che soffrite per Cristo, che si rivolge la parola dell’apostolo: «Carissimi, … nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della Sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1 Pt 4, 12-13).

13. In quest’epoca inquietante, il dialogo interreligioso è indispensabile. Le differenze nella comprensione delle verità religiose non devono impedire alle persone di fedi diverse di vivere nella pace e nell’armonia. Nelle circostanze attuali, i leader religiosi hanno la responsabilità particolare di educare i loro fedeli in uno spirito rispettoso delle convinzioni di coloro che appartengono ad altre tradizioni religiose. Sono assolutamente inaccettabili i tentativi di giustificare azioni criminali con slogan religiosi. Nessun crimine può essere commesso in nome di Dio, «perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14, 33).

14. Nell’affermare l’alto valore della libertà religiosa, rendiamo grazie a Dio per il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni. Oggi le catene dell’ateismo militante sono spezzate e in tanti luoghi i cristiani possono liberamente professare la loro fede. In un quarto di secolo, vi sono state costruite decine di migliaia di nuove chiese, e aperti centinaia di monasteri e scuole teologiche. Le comunità cristiane portano avanti un’importante attività caritativa e sociale, fornendo un’assistenza diversificata ai bisognosi. Ortodossi e cattolici spesso lavorano fianco a fianco. Essi attestano l’esistenza dei fondamenti spirituali comuni della convivenza umana, testimoniando i valori del Vangelo.

15. Allo stesso tempo, siamo preoccupati per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica.

16. Il processo di integrazione europea, iniziato dopo secoli di sanguinosi conflitti, è stato accolto da molti con speranza, come una garanzia di pace e di sicurezza. Tuttavia, invitiamo a rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane. Chiediamo ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana.

17. Il nostro sguardo si rivolge alle persone che si trovano in situazioni di grande difficoltà, che vivono in condizioni di estremo bisogno e di povertà mentre crescono le ricchezze materiali dell’umanità. Non possiamo rimanere indifferenti alla sorte di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali che si è stabilito.

18. Le Chiese cristiane sono chiamate a difendere le esigenze della giustizia, il rispetto per le tradizioni dei popoli e un’autentica solidarietà con tutti coloro che soffrono. Noi, cristiani, non dobbiamo dimenticare che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).

19. La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.

20. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.

21. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10).
Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale.
Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.

22. Oggi, desideriamo rivolgerci in modo particolare ai giovani cristiani. Voi, giovani, avete come compito di non nascondere il talento sotto terra (cfr Mt 25, 25), ma di utilizzare tutte le capacità che Dio vi ha dato per confermare nel mondo le verità di Cristo, per incarnare nella vostra vita i comandamenti evangelici dell’amore di Dio e del prossimo. Non abbiate paura di andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale odierne norme secolari sono lontane dal conformarsi sempre.

23. Dio vi ama e aspetta da ciascuno di voi che siate Suoi discepoli e apostoli. Siate la luce del mondo affinché coloro che vi circondano, vedendo le vostre opere buone, rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (cfr Mt 5, 14, 16). Educate i vostri figli nella fede cristiana, trasmettete loro la perla preziosa della fede (cfr Mt 13, 46) che avete ricevuta dai vostri genitori ed antenati. Ricordate che «siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6, 20), al costo della morte in croce dell’Uomo-Dio Gesù Cristo.

24. Ortodossi e cattolici sono uniti non solo dalla comune Tradizione della Chiesa del primo millennio, ma anche dalla missione di predicare il Vangelo di Cristo nel mondo di oggi. Questa missione comporta il rispetto reciproco per i membri delle comunità cristiane ed esclude qualsiasi forma di proselitismo.
Non siamo concorrenti ma fratelli, e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore, e ad avere «gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti» (Rm 15, 5). Non si può quindi accettare l’uso di mezzi sleali per incitare i credenti a passare da una Chiesa ad un’altra, negando la loro libertà religiosa o le loro tradizioni. Siamo chiamati a mettere in pratica il precetto dell’apostolo Paolo: «Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui» (Rm 15, 20).

25. Speriamo che il nostro incontro possa anche contribuire alla riconciliazione, là dove esistono tensioni tra greco-cattolici e ortodossi. Oggi è chiaro che il metodo dell’“uniatismo” del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità. Tuttavia, le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini. Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili.

26. Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto.

27. Auspichiamo che lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche esistenti, che tutti i cristiani ortodossi dell’Ucraina vivano nella pace e nell’armonia, e che le comunità cattoliche del Paese vi contribuiscano, in modo da far vedere sempre di più la nostra fratellanza cristiana.

28. Nel mondo contemporaneo, multiforme eppure unito da un comune destino, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la dignità morale e la libertà autentica della persona, «perché il mondo creda» (Gv 17, 21). Questo mondo, in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’umanità.

29. In questa ardita testimonianza della verità di Dio e della Buona Novella salvifica, ci sostenga l’Uomo-Dio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, che ci fortifica spiritualmente con la sua infallibile promessa: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno» (Lc 12, 32)!
Cristo è fonte di gioia e di speranza. La fede in Lui trasfigura la vita umana, la riempie di significato. Di ciò si sono potuti convincere, attraverso la loro esperienza, tutti coloro a cui si possono applicare le parole dell’apostolo Pietro: «Voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2, 10).

30. Pieni di gratitudine per il dono della comprensione reciproca espresso durante il nostro incontro, guardiamo con speranza alla Santissima Madre di Dio, invocandola con le parole di questa antica preghiera: “Sotto il riparo della tua misericordia, ci rifugiamo, Santa Madre di Dio”. Che la Beata Vergine Maria, con la sua intercessione, incoraggi alla fraternità coloro che la venerano, perché siano riuniti, al tempo stabilito da Dio, nella pace e nell’armonia in un solo popolo di Dio, per la gloria della Santissima e indivisibile Trinità!

Francesco
Vescovo di Roma
Papa della Chiesa Cattolica    

Kirill
Patriarca di Mosca
e di tutta la Russia.

Fonte immagine: Askanews.it

martedì 24 novembre 2015

MAOMETTO VOLEVA PROTEGGERE I CRISTIANI - UNA LETTERA SEMBRA CONFERMARLO

In questi giorni di preoccupazione a causa degli attentati di Parigi ci siamo chiesti più volte cosa pensasse Maometto dei Cristiani; la risposta a questa domanda è in una lettera scritta dal Profeta custodita nel Monastero di Santa Caterina in Sinai. Il monastero è famoso perché raccoglie una notevole quantità di testi antichi tanto che è seconda solamente alla Biblioteca Apostolica Vaticana con ben 3500 volumi scritti in greco, copto, arabo, armeno, siriaco e centinaia di altre lingue. Il documento testimonia come Maometto stesso volesse offrire protezione ai cristiani e ai loro luoghi di culto più importanti a titolo di ringraziamento verso i monaci cristiani di Santa Caterina che lo difesero durante gli attacchi dei suoi nemici. Il monastero è, peraltro, un luogo sacro sia per i cristiani, sia per gli ebrei e sia per i musulmani tanto che ospita proprio una moschea (mai aperta al culto perché non diretta verso La Mecca) dedicata ai musulmani che facevano visita a questo affascinante e sacro luogo di preghiera. 

La lettera fu sequestrata dagli ottomani nel 1517 a seguito della conquista dell'Egitto e portata a Istanbul presso il sultano Selim I. L'originale è conservata gelosamente al Museo Topkapi di Istanbul ed è stata analizzati da alcuni eminenti esperti locali che ne hanno attestato l'inconfutabile veridicità.

Questa è una lettera che è stata rilasciata da Mohammed, Ibn Abdullah, il Messaggero, il Profeta, il fedele, che viene inviata a tutte le persone come una parola da parte di Dio per tutte le sue creature. In verità Dio è l’Eccelso, il Saggio. Questa lettera è indirizzata agli ambasciatori dell’Islam, come alleanza data ai seguaci del Nazareno (Gesù ndr) in Oriente e Occidente, a quelli vicini e lontani, agli arabi e agli stranieri, al noto e all’ignoto. Questa lettera contiene il giuramento dato loro, e chi disobbedisce ciò che vi è scritto, sarà considerato un disobbediente e un trasgressore a quella Fede alla quale egli è comandato. Egli sarà considerato come uno che ha corrotto il giuramento di Dio, o il Suo testamento, che ha respinto la Sua Autorità, disprezzato la Sua religione, e si è fatto meritevole della Sua maledizione, sia fosse un sultano o qualsiasi altro credente dell’Islam.  
Ogni volta che monaci, fedeli e pellegrini si riuniscono, sia in una montagna o valle, o tana, o luogo frequentato, o semplice, o la chiesa, o in luoghi di culto, in verità Dio è su di loro e li protegge, e protegge le loro proprietà e la loro morale, anche da me stesso, dai miei amici e dai miei assistenti, perché sono dei soggetti sotto la mia protezione. Io li esento da tale atti che li possano turbare; degli oneri che sono pagati da altri come un giuramento di fedeltà. Essi non devono dare nulla del loro reddito, ma ciò che piace loro, non devono essere offesi, o disturbati, o costretti o obbligati. I loro giudici non devono essere modificati o impedito loro di realizzare i propri uffici, né i monaci disturbati nell’esercizio del loro ordine religioso, o la gente di clausura essere arrestati da dimora nelle loro celle. A nessuno è permesso di saccheggiare i pellegrini, o distruggere o rovinare una delle loro chiese, o case di culto, o di prendere una qualsiasi delle cose contenute all’interno di queste case e portarlo alle case dell’Islam. Colui che toglie da essa, sarà uno che ha corrotto il giuramento di Dio, e, in verità, disobbedisce al Suo Messaggero.
Le tasse non dovranno essere messe sui loro giudici, sui monaci, e quelli la cui occupazione è il culto di Dio; né qualsiasi altra cosa potrà essere presa da loro, che si tratti di un bene, una tassa o un diritto ingiusto. In verità io conservano la loro compattezza, ovunque si trovino, in mare o sulla terra, in Oriente o Occidente, da nord o da sud, perché sono sotto la mia protezione e il mio testamento dà loro la mia sicurezza contro tutte le cose che vanno aborrite. Nessuna tassa o decime devono essere ricevuti da coloro che si dedicano al culto di Dio in montagna, o da chi coltiva la Terra Santa. Nessuno ha il diritto di interferire con i loro affari, o portare qualsiasi azione contro di loro. In verità questo è per altra cosa e non per loro; piuttosto, nelle stagioni delle colture, che dovrebbe essere data una Kadah per ogni Ardab di grano (circa cinque quintali e mezzo ndr) come fondo per loro, e nessuno ha il diritto di dire loro che questo è troppo, o chiedere loro di pagare alcuna imposta. Per quanto riguarda chi possiede proprietà, i ricchi e i commercianti, le tasse che possono essere prese da loro non devono superare i dodici Dirham a testa all’anno. 
Non può essere imposto a chiunque di intraprendere un viaggio, o di essere costretto ad andare in guerra o usare armi per i musulmani, chiunque deve combattere per la loro ragione, non quella di altri. Il seguace dell’islam non deve fare nessuna disputa o discutere con loro, ma accordarsi secondo il verso registrato nel Corano. Essi non devono essere costretti a portare armi o pietre; ma i musulmani devono proteggerli e difenderli contro gli altri. Qualora una donna cristiana è sposata con un musulmano, tale matrimonio non deve avvenire se non dopo il suo consenso, e a lei non deve essere impedito di andare nella sua chiesa per la preghiera. Le loro chiese devono essere onorate e non devono esserci impedimenti nella costruzione di luoghi di preghiera o la riparazione dei loro conventi. 
Spetta a ognuno della nazione dell’Islam non contraddire e a rispettare questo giuramento fino al Giorno della Resurrezione e della fine del mondo.

venerdì 19 giugno 2015

ESTRATTO LETTERA ENCICLICA "LAUDATO SI’" DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE [DOWNLOAD DAL SITO DELLO STATO DEL VATICANO]

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[Download documento integrale] 1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

Niente di questo mondo ci risulta indifferente

3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva “e a tutti gli uomini di buona volontà”. Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta. Nella mia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere. In questa Enciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune.

4. Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971, il beato Papa Paolo VI si riferì alla problematica ecologica, presentandola come una crisi che è «una conseguenza drammatica» dell’attività incontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Parlò anche alla FAO della possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica», sottolineando «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».

5. San Giovanni Paolo II si è occupato di questo tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo». Successivamente invitò ad una conversione ecologica globale. Ma nello stesso tempo fece notare che si mette poco impegno per «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologia umana». La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.

6. Il mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovato l’invito a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente».
Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana». Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura». Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi».

Uniti da una stessa preoccupazione

7. Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non possiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a cuore a tutti noi. Per citare solo un esempio particolarmente significativo, voglio riprendere brevemente parte del contributo del caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con il quale condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale.

8. Il Patriarca Bartolomeo si è riferito particolarmente alla necessità che ognuno si penta del proprio modo di maltrattare il pianeta, perché «nella misura in cui tutti noi causiamo piccoli danni ecologici», siamo chiamati a riconoscere «il nostro apporto, piccolo o grande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente». Su questo punto, egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e stimolante, invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati». Perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio».

9. Allo stesso tempo Bartolomeo ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. E’ un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. E’ liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». Noi cristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. E’ nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».

San Francesco d’Assisi

10. Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E’ il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.

11. La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione». La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella». Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.

12. D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.

Il mio appello

13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.

14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.

15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana.

16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti. [Continua Dal sito del Vaticano]

domenica 11 gennaio 2015

IL CORANO (TESTO IN ITALIANO IN PDF)


Il Corano è il testo sacro dell'Islam la cui etimologia significa "lettura". Per i musulmani, il Corano è il messaggio rivelato da Dio a Maometto tramite un angelo. Il corano è diviso in 114 capitoletti, dette sure, suddivise in 6236 versi per un totale di ben 77934 parole: il numero varia però in base alla redazione posta in essere in ambienti sciiti. Ogni sura, con l'eccezione della nona, comincia con: "Nel nome di Dio, il clemente, il misericordioso".





L'ISLAM

File:Maome.jpg

Data la portate sociale e culturale della religione islamica, Sguardo Sul Medioevo ha deciso di offrire a tutti i lettori una pagina speciale dove si parlerà di questa affascinante e per certi versi oscura religione che si presta a vari livelli di interpretazione. Cercheremo in qualche modo di far chiarezza su chi è il musulmano, su Allah e su Maometto cercando, naturalmente, di fornire quei caratteri essenziali che ci consentono anche di formare una migliore integrazione culturale.

Pagina in costruzione, se volete collaborare, mandatemi i vostri articoli!

CINQUE PILASTRI DELL'ISLAM

L'islam consiste nella fede e nella pratica basata sui cinque pilasti dell'islam, ossia i cinque precetti principali è il musulmano è tenuto ad osservare in quanto atti per compiacere Allah. Alcuni seguaci dell'islam che appartengono ai Kharigiti inseriscono anche un sesto pilastro, lo sforzo interiore ossia la Jihad.
Gli obblighi sono:

- La testimonianza di fede (الشهادة Shahada)
- Le preghiere rituali (الصلاة Salah o, in lingua persiana, Namāz)
- L'elemosina (الزكاة Zakat)
- Il digiuno durante il mese di Ramadan (الصوم Ṣawm o Siyam)
- Il pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita per tutti quelli che siano in grado di affrontarlo (الحج Hajj)

La testimonianza di fede

Secondo il testo sacro dell'Islam, il Corano, "Non esiste divinità all'infuori di Dio (Allah), e Maometto il Suo profeta". La testimonianza di fede si chiama tayyab ed è una frase che ogni musulmano ripete tutti i giorni: naturalmente accettando questo precetto è ovvio come "Muḥammad non è padre di nessuno dei vostri uomini, egli è l'Inviato di Allāh e il sigillo dei profeti. Allāh ha piena conoscenza di tutte le cose". [Corano 33:40]

La preghiera quotidiana - Salat

Il musulmano deve pregare cinque volte al giorno in diverse fasi della giornata

Al mattino (al-fajr)
A mezzogiorno (al-ẓuhr)
A metà pomeriggio (al-ʿaṣr)
Al tramonto (al-maghrib)
Un'ora e mezza dopo il tramonto (al-ʿisha)

Gli uomini devono riunirsi in moschea (ma è concesso se la persona è malata di pregare in casa) le donne no. Obbligatorio per gli uomini ma non per le donne è la preghiera di mezzogiorno. Si può pregare ovunque anche mentre si lavora o si è a scuola mettendo una stuoia a terra rivolta verso la Mecca. Prima di procedere alla preghiera, il fedele deve purificarsi con acqua pure (oppure terra pulita) mani, naso, bocca, braccia, orecchie, testa, caviglia e piedi. Se il lavaggio è effettuato con acqua il musulmano è in stato di purità rituale (tahara) come se si fosse purificato per tutti i peccati commessi tra le due preghiere. . Quando si usa la terra (e quindi si fa il tayammum) la pulizia è temporanea solo per la preghiera indipendentemente se ha commesso un atto impuro. La salat (la preghiera quotidiana) è recitata in arabo e comprende la testimonianza di fede in Allah e la missione profetica del profeta Maometto che richiede la benedizione dei cieli.  Si recita la prima sura detta al-Fatiha e alcune parti del corano. Tutta la preghiera si recita su varie posizioni, in piedi, inchinati, inginocchiati e prostrati e il tutto termina voltandosi a sinistra e destra dicendo "La pace sia su di te e dentro di te".

L'elemosina legale - Zakat

Altro principio fondamentale dell'islam è il credere che tutte le cose appartengano a Dio e solo i meritevoli possono godere di benessere. Ogni appartenente all'islam calcola la sua elemosina legale secondo quanto dispone e, più in generale, viene concesso il 2,5% delle entrate in eccesso a quelle necessarie per soddisfare i principali bisogni. Ogni musulmano potrebbe anche versare di più per ottenere una ricompensa divina maggiore

Il digiuno nel mese del Ramadam - Sawn

L'osservanza al digiuno, obbliga il musulmano a non mangiare, non bere, non a vere rapposrti sessuali e viene osservato per tutto il giorno per i 29/30 giorni del Ramadam. Solo gli imbuberi, le donne mestruate, in allattamento, malati o donne incinte sono esentate da tale obbligo. Durante il Ramadam i musulmani pregano o ascoltano il testo letto da persone altamente specializzate in moschea o in tutti i luoghi che si "trasformano" in moschea. Il digiuno ha come obiettivo quello di disciplinarsi, rafforzando la pazienza e l'autocontrollo e anche per capire cosa prova chi soffre di fame.

Il pellegrinaggio alla Mecca - Haji

Di grandissima importanza è il pellegrinaggio a La Mecca, a cui ogni musulmano deve sottoporsi almeno una volta nella vita solamente se si è in grado di sostenere lo sforzo sia fisico che economico. Il pellegrino indossa una divisa apposita interamente bianca senza colori distintivi dato che durante il pellegrinaggio si è tutti uguali e non vi sono distinzioni si alcun tipo. Giunti a La Mecca inizia il giro in senso anti orario nei pressi della Ka'ba un costruzione coperta da un drappo nero situato al centro della grande spianata. Dopo aver percorso il tragitto tra Safa e Marwà per sette volte con un passo affrettato molto importante è la sosta a Arafa unitamente al sacrificio di animali e al taglio dei capelli, con cui finisce la cerimonia. Data la pericolosità del viaggio e i continui incidenti, è stato deciso un pellegrinaggio "minore" che avviene in giorni diversi da quelli stabiliti per il pelleginaggio "maggiore". Importante e facoltativo è anche la visita della Moschea di Maometto a Medina.

venerdì 26 dicembre 2014

SANTO STEFANO, IL PRIMO PROTOMARTIRE

Santo Stefano in un'opera di Giotto
Tratto dal Martirologio Romano: «Festa di santo Stefano, protomartire, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel ministero, fu anche il primo tra i discepoli del Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove, lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù, affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra del Padre» 

Devozioni particolari: Invocato per la buona morte e contro mal di testa e calcoli

Stefano morì a Gerusalemme nel 36 e fu tra i sette diaconi scelti dai cristiani per diffondere la fede cristiana. E' venerato tuttora sia dalla chiesa Cattolica sia dalla Chiesa Ortodossa e fu il primo cristiano a morire per la propria fede, per aver diffuso le parole del Vangelo. Del suo martirio se ne parla negli Atti degli Apostoli, avvenuto non divorato dai leoni nel Colosseo, come sovente si sente dire, ma per lapidazione proprio davanti a Paolo di Tarso che ancora non aveva avuto il dono della confessione. Santo Stefano si festeggia il 26 dicembre, questo perchè proprio nei giorni che seguivano la nascita del figlio di Dio si collocavano coloro i quali si erano avvicinati proprio a Cristo grazie al martirio, i comites Christi. Non abbiamo notizie sulla giovinezza di Stefano, si pensa possa essere stato greco dato che ai tempi Gerusalemme era un coacervo di culture, razze e religioni e lo stesso nome, Stefano, significa in greco Coronato. Come detto, gli Atti degli Apostoli, ci aiutano a disegnare i suoi ultimi giorni di vita (capitoli 6 e 7). Qualche giorno dopo la Pentecoste aumentarono il numero dei discepoli e con loro anche i dissidi tra gli ebrei greci e quelli di lingua ebraica perchè secondo gli ebrei greci le vedove venivano trascurate nell'assistenza quotidiana. I dodici apostoli riunirono tutti i discepoli affermando che non era corretto togliere tempo a Dio e alla preghiera, pertanto il compito fu assegnato a sette di loro affinchè gli apostoli si dedicassero alla preghiera. Vennero nominati Stefano, Procoro, Nicanore, Timone, Filippo, Parmenas e Nicola di Antiochia, nasce in questa fase il ministero diaconale. Intorno al 36, alcuni gruppi di ebrei ellenistici aizzarono il popolo accusando Stefano di bestemmiare contro Dio e Mosè. Gli anziani e gli scribi lo trascinarono davanti ai saggi del Sinedrio e fu accusato anche con l'aiuto di falsi testimoni.Il diacono fu portato fuori il tribunale dai presenti che lo linciarono e mentre il dolore lo stava attanagliando, Stefano pregava dicendo: "Signore Gesù, accogli il mio spirito, non imputare loro di questo peccato". Il corpo del protomartire fu seppellito ma a Gerusalemme si scatenò una furente persecuzione contro i cristiani comandata da Saulo. Questo drammatico accadimento sancì la scissione tra chiesa e sinagoga con i primi che si espandevano grazie alla diffusione importante del Vangelo mentre i secondi difendevano i propri valori tradizionali. Come possiamo essere sicuri della data di morte di Stefano? Sappiamo che non fu ucciso tramite crocifissione (come facevano i romani) ma per lapidazione e quindi possiamo collocare il periodo del fatto nel momento in cui Ponzio Pilato, che era divenuto nemico della popolazione durante la rivolta del monte Garizim, fu deposto e la carica amministrativa era ancora vacante. A comandare la zona era, ovviamente, il Sinedrio che usava come esecuzione della sentenza di condanna a morte proprio la lapidazione. Cosa ne è stato delle reliquie del santo? In questo caso bussiamo alla porta della leggenda ma la testimonianza più viva risale a Sant'Agostino il quale attestò che subito dopo il ritrovamento di Santo Stefano a Gerusalemme iniziarono una serie di miracoli nei luoghi che avevano visto la presenza del martire. Ci parla, infatti, della Memoria di Santo Stefano che nacque quando un marinaio, che assistette alla lapidazione, testimoniò la fede ed il coraggio dell'uomo. I suoi miracoli avvenivano anche solo toccando le reliquie o addirittura la terra. Le reliquie furono razziate dall'esercito crociato nel XIII secolo portandole in Europa senza però essere mai riuscite ad identificarle dai molti falsi: a Roma, ad esempio, nel XVIII secolo erano venerai il cranio a San Paolo fuori le mura, un braccio a Sant'Ivo alla Sapienza e l'altro a San Luigi dei Francesi.

File:Bernardo Daddi - The Martyrdom of St Stephen - WGA05868.jpg

ATTI DEGLI APOSTOLI
(6-7-8)

Atti - Capitolo 6   

L'istituzione dei sette

[1]In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. [2]Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. [3]Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. [4]Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». [5]Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. [6]Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.

[7]Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.

L'arresto di Stefano

[8]Stefano intanto, pieno di grazia e di fortezza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo. [9]Sorsero allora alcuni della sinagoga detta dei «liberti» comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e dell'Asia, a disputare con Stefano, [10]ma non riuscivano a resistere alla sapienza ispirata con cui egli parlava. [11]Perciò sobillarono alcuni che dissero: «Lo abbiamo udito pronunziare espressioni blasfeme contro Mosè e contro Dio». [12]E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. [13]Presentarono quindi dei falsi testimoni, che dissero: «Costui non cessa di proferire parole contro questo luogo sacro e contro la legge. [14]Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè».

[15]E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

Atti - Capitolo 7   

Il discorso di Stefano

[1]Gli disse allora il sommo sacerdote: «Queste cose stanno proprio così?». [2]Ed egli rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era ancora in Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, [3]e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e và nella terra che io ti indicherò. [4]Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte del padre, Dio lo fece emigrare in questo paese dove voi ora abitate, [5]ma non gli diede alcuna proprietà in esso, neppure quanto l'orma di un piede, ma gli promise di darlo in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui, sebbene non avesse ancora figli. [6]Poi Dio parlò così: La discendenza di Abramo sarà pellegrina in terra straniera, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. [7]Ma del popolo di cui saranno schiavi io farò giustizia, disse Dio: dopo potranno uscire e mi adoreranno in questo luogo. [8]E gli diede l'alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l'ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. [9]Ma i patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero schiavo in Egitto. Dio però era con lui [10]e lo liberò da tutte le sue afflizioni e gli diede grazia e saggezza davanti al faraone re d'Egitto, il quale lo nominò amministratore dell'Egitto e di tutta la sua casa. [11]Venne una carestia su tutto l'Egitto e in Canaan e una grande miseria, e i nostri padri non trovavano da mangiare. [12]Avendo udito Giacobbe che in Egitto c'era del grano, vi inviò i nostri padri una prima volta; [13]la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e fu nota al faraone la sua origine. [14]Giuseppe allora mandò a chiamare Giacobbe suo padre e tutta la sua parentela, settantacinque persone in tutto. [15]E Giacobbe si recò in Egitto, e qui egli morì come anche i nostri padri; [16]essi furono poi trasportati in Sichem e posti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato e pagato in denaro dai figli di Emor, a Sichem.

[17]Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, [18]finché salì al trono d'Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. [19]Questi, adoperando l'astuzia contro la nostra gente, perseguitò i nostri padri fino a costringerli a esporre i loro figli, perché non sopravvivessero. [20]In quel tempo nacque Mosè e piacque a Dio; egli fu allevato per tre mesi nella casa paterna, poi, [21]essendo stato esposto, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come figlio. [22]Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere. [23]Quando stava per compiere i quarant'anni, gli venne l'idea di far visita ai suoi fratelli, i figli di Israele, [24]e vedendone uno trattato ingiustamente, ne prese le difese e vendicò l'oppresso, uccidendo l'Egiziano. [25]Egli pensava che i suoi connazionali avrebbero capito che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. [26]Il giorno dopo si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e si adoperò per metterli d'accordo, dicendo: Siete fratelli; perché vi insultate l'un l'altro? [27]Ma quello che maltrattava il vicino lo respinse, dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice sopra di noi? [28]Vuoi forse uccidermi, come hai ucciso ieri l'Egiziano? [29]Fuggì via Mosè a queste parole, e andò ad abitare nella terra di Madian, dove ebbe due figli.

[30]Passati quarant'anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. [31]Mosè rimase stupito di questa visione; e mentre si avvicinava per veder meglio, si udì la voce del Signore: [32]Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Esterrefatto, Mosè non osava guardare. [33]Allora il Signore gli disse: Togliti dai piedi i calzari, perché il luogo in cui stai è terra santa. [34]Ho visto l'afflizione del mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli; ed ora vieni, che ti mando in Egitto. [35]Questo Mosè che avevano rinnegato dicendo: Chi ti ha nominato capo e giudice?, proprio lui Dio aveva mandato per esser capo e liberatore, parlando per mezzo dell'angelo che gli era apparso nel roveto. [36]Egli li fece uscire, compiendo miracoli e prodigi nella terra d'Egitto, nel Mare Rosso, e nel deserto per quarant'anni. [37]Egli è quel Mosè che disse ai figli d'Israele: Dio vi farà sorgere un profeta tra i vostri fratelli, al pari di me. [38]Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l'angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. [39]Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, lo respinsero e si volsero in cuor loro verso l'Egitto, [40]dicendo ad Aronne: Fà per noi una divinità che ci vada innanzi, perché a questo Mosè che ci condusse fuori dall'Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto. [41]E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono sacrifici all'idolo e si rallegrarono per l'opera delle loro mani. [42]Ma Dio si ritrasse da loro e li abbandonò al culto dell'esercito del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti:

[43]Mi avete forse offerto vittime e sacrifici
per quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele?
Avete preso con voi la tenda di Mòloch,
e la stella del dio Refàn,
simulacri che vi siete fabbricati per adorarli!
Perciò vi deporterò al di là di Babilonia.

[44]I nostri padri avevano nel deserto la tenda della testimonianza, come aveva ordinato colui che disse a Mosè di costruirla secondo il modello che aveva visto. [45]E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè se la portarono con sé nella conquista dei popoli che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. [46]Questi trovò grazia innanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per il Dio di Giacobbe; [47]Salomone poi gli edificò una casa. [48]Ma l'Altissimo non abita in costruzioni fatte da mano d'uomo, come dice il Profeta:

[49]Il cielo è il mio trono
e la terra sgabello per i miei piedi.
Quale casa potrete edificarmi, dice il Signore,
o quale sarà il luogo del mio riposo?
[50]Non forse la mia mano ha creato tutte queste cose?

[51]O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. [52]Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e uccisori; [53]voi che avete ricevuto la legge per mano degli angeli e non l'avete osservata».

[54]All'udire queste cose, fremevano in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui.

Lapidazione di Stefano. Saulo persecutore

[55]Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra [56]e disse: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». [57]Proruppero allora in grida altissime turandosi gli orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, [58]lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. [59]E così lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». [60]Poi piegò le ginocchia e gridò forte: «Signore, non imputar loro questo peccato». Detto questo, morì.

Atti - Capitolo 8   

[1]Saulo era fra coloro che approvarono la sua uccisione. In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria. [2]Persone pie seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. [3]Saulo intanto infuriava contro la Chiesa ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in prigione.

[4]Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.

IL DISCORSO DI SANT'ANGOSTINO

Sant'Agostino, Discorso 322 del martedì dopo Pasqua del 425; si riportano le seguenti frasi:
"...nel mio peregrinare raggiunsi pure Ancona, città dell'Italia, dove il Signore opera molti miracoli per l'intercessione del gloriosissimo martire Stefano." "Quando santo Stefano veniva lapidato erano pure presenti alcune persone innocenti, soprattutto coloro che già avevano creduto in Cristo. Si dice che una pietra gli avesse raggiunto un gomito e, rimbalzata di lì, fosse finita davanti ad un uomo religioso. Questi la prese e la conservò. Quell'uomo era marinaio di professione; un caso fortuito, proprio del navigare, lo sospinse sul lido di Ancona e gli venne rivelato che quella pietra doveva essere lì riposta. Quello assecondò la rivelazione e fece ciò che gli era stato ordinato: da questo fatto vi si edificò una cappella in onore di santo Stefano... essendo stato quello il luogo della rivelazione, là doveva restare la pietra rimbalzata dal gomito del Martire, in quanto, in greco, "gomito" suona ankòn. Ma a renderci bene informati siano proprio coloro che sanno quanti miracoli avvengono in quel luogo. Tali miracoli cominciarono a verificarsi colà solo dopo che fu rinvenuto il corpo di santo Stefano" "Informatevi e scoprirete quanti miracoli avvengono in Uzala..."

giovedì 25 dicembre 2014

LA NASCITA DI GESU' DAL VANGELO DI LUCA


1:26 Quando Elisabetta fu al sesto mese, Dio mandò l'angelo Gabriele a Nàzaret, un villaggio della Galilea.

1:27 L'angelo andò da una fanciulla che era fidanzata con un certo Giuseppe, discendente del re Davide. La fanciulla si chiamava Maria.
1:28 L'angelo entrò in casa e le disse: «Ti saluto, Maria! Il Signore è con te: egli ti ha colmata di grazia».
1:29 Maria fu molto impressionata da queste parole e si domandava che significato poteva avere quel saluto.
1:30 Ma l'angelo le disse: «Non temere, Maria! Tu hai trovato grazia presso Dio.
1:31 Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù.
1:32 Egli sarà grande e Dio, l'onnipotente, lo chiamerà suo Figlio. Il Signore no farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre,
1:33 ed egli regnerà per sempre sul popolo d'Israele. Il suo regno non finirà mai».
1:34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile questo, dal momento che io sono vergine?».
1:35 L'angelo rispose: «Lo Spirito Santo verrà su di te, e l'onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il tuo bambino sarà santo, Figlio di Dio.
1:36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, alla sua età aspetta un figlio. Tutti pensavano che non potesse avere bambini, eppure è già al sesto mese.
1:37 Nulla è impossibile a Dio!».
1:38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto». Poi l'angelo la lasciò.
2:1 In quel tempo l'imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di tutti gli abitanti dell'impero romano.
2:2 Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
2:3 Tutti andavano a far scrivere il loro nome nei registri, e ciascuno nel proprio luogo d'origine.
2:4 Anche Giuseppe andò: partì da Nàzaret, in Galilea, e salì a Betlemme, la città del re Davide, in Giudea. Essendo un lontano discendente del re Davide,
2:5 egli con Maria, sua sposa, che era incinta, doveva farsi scrivere là.
2:6 Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire;
2:7 ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto.
2:8 In quella stessa regione c'erano anche dei pastori. Essi passavano la notte all'aperto per fare la guardia al loro gregge.
2:9 Un angelo del Signore si presentò a loro, e la gloria del Signore li avvolse di luce, così che essi ebbero una grande paura.
2:10 L'angelo disse: «Non temete! Io vi porto una bella notizia, che procurerà una grande gioia a tutto il popolo:
2:11 oggi, nella città di Davide, è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore.
2:12 Lo riconoscerete così: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia».
2:13 Subito apparvero e si unirono a lui molti altri angeli. Essi lodavano Dio con questo canto:
2:14 «Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini che egli ama». Poi gli angeli si allontanarono dai pastori e se ne tornarono in cielo.
2:15 Intanto i pastori dicevano gli uni agli altri: «Andiamo fino a Betlemme per vedere quello che è accaduto e che il Signore ci ha fatto sapere».
2:16 Giunsero in fretta a Betlemme e là trovarono Maria, Giuseppe e il bambino che dormiva nella mangiatoia.
2:17 Dopo averlo visto, dissero in giro ciò che avevano sentito di questo bambino.
2:18 Tutti quelli che ascoltarono i pastori si meravigliarono delle cose che essi raccontavano.
2:19 Maria, da parte sua, custodiva gelosamente il ricordo di tutti questi fatti, e li meditava dentro di sé.
2:20 I pastori, sulla via del ritorno, lodavano Dio e lo ringraziavano per quello che avevano sentito e visto, perché tutto era avvenuto come l'angelo aveva loro detto.

LA NASCITA DI GESU' DAL VANGELO DI MATTEO


The Inspiration of Saint Matthew by Caravaggio.jpg
1:18 Ecco come è nato Gesù Cristo. Maria, sua madre, era fidanzata con Giuseppe; essi non vivevano ancora assieme, ma lo Spirito Santo agì in Maria ed ella si trovò incinta.
1:19 Ormai Giuseppe stava per sposarla. Egli voleva fare ciò che era giusto, ma non voleva denunciarla di fronte a tutti. Allora decise di rompere il fidanzamento, senza dir niente a nessuno.
1:20 Ci stava ancora pensando, quando una notte in sogno gli apparve un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, discendente di Davide, non devi aver paura di sposare Maria, la tua fidanzata: il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo.
1:21 Maria partorirà un figlio e tu gli metterai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo da tutti i peccati».
1:22 E così si avverò quello che il Signore aveva detto per mezzo del profeta Isaia:
1:23 Ecco, la vergine sarà incinta partorirà un figlio ed egli sarà chiamato Emmanuele. Questo nome significa: «Dio è con noi».
1:24 Quando Giuseppe si svegliò, fece come l'angelo di Dio gli aveva ordinato e prese Maria in casa sua.
1:25 E senza che avessero avuto fin'allora rapporti matrimoniali, Maria partorì il bambino e Giuseppe gli mise nome Gesù.
2:1 Gesù nacque a Betlemme, una città nella regione della Giudea, al tempo del re Erode. Dopo la sua nascita, arrivarono a Gerusalemme alcuni uomini sapienti che venivano dall'oriente
2:2 e domandarono: «Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo».
2:3 Queste parole misero in agitazione tutti gli abitanti di Gerusalemme, e specialmente il re Erode. Il quale appena lo seppe,
2:4 radunò tutti i capi dei sacerdoti e i maestri della legge e domandò: «In quale luogo deve nascere il Messia?».
2:5 Essi risposero: «A Betlemme, nella regione della Giudea, perché nella Bibbia è scritto:
2:6 Tu Betlemme, del paese di Giudea, non sei certo la meno importante tra le città della Giudea, perché da te uscirà un capo che guiderà il mio popolo, Israele».
2:7 Allora il re Erode chiamò in segreto quei sapienti venuti da lontano e si fece dire, con esattezza, quando era apparsa la stella.
2:8 Poi li mandò a Betlemme dicendo: «Andate e cercate con ogni cura il bambino. Quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, così anch'io andrò a onorarlo».
2:9 Ricevute queste istruzioni da parte del re, essi partirono. In viaggio, apparve ancora a quei sapienti la stella che avevano visto in oriente,
2:10 ed essi furono pieni di grandissima gioia. La stella si muoveva davanti a loro fino a quando non arrivò sopra la casa dove si trovava il bambino: là si fermò.
2:11 Essi entrarono in quella casa e videro il bambino e sua madre, Maria. Si inginocchiarono e adorarono il bambino. Poi aprirono i bagagli e gli offrirono regali: oro, incenso e mirra.

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