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martedì 19 agosto 2014

AL COR GENTILE REMPAIRA SEMPRE AMORE

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
5 ch’adesso con’ fu ’l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ’l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
10 come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ’l sol la faccia gentil cosa;
15 poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
20 donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
25 Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
30 com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:
vile reman, né ’l sol perde calore;
dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
35 ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
40 e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
45 e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
50 che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
sïando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
55 ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
60 non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

Guido Guinizzelli

martedì 26 novembre 2013

CANTICO DELLE CREATURE



« Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate »




venerdì 7 settembre 2012

S'I FOSSE FUOCO

S'i' fosse fuoco

Cecco Angiolieri

XIII secolo


 S’i’ fosse fuoco, ardereï ’l mondo;

s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’ en profondo;



     s’i’ fosse papa, allor serei giocondo,
5


ché tutti cristïani imbrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, ben lo farei:
a tutti tagliarei lo capo a tondo.



     S’i’ fosse morte, andarei a mi’ padre;
s’i’ fosse vita, non starei con lui:
10


similemente faria da mi’ madre.



     S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le zop[p]e e vecchie lasserei altrui.

giovedì 6 settembre 2012

CHIARE, FRESCHE ET DOLCI ACQUE


Francesco Petrarca

N. CXXVI dal Canzoniere 
(Rerum vulgarium fragmenta)


Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
5
(con sospir’ mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior’ che la gonna
leggiadra ricoverse
co l’angelico seno;
10
aere sacro, sereno,
ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udïenza insieme
a le dolenti mie parole extreme.

S’egli è pur mio destino
15
e ’l cielo in ciò s’adopra,
ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,
qualche gratia il meschino
corpo fra voi ricopra,
et torni l’alma al proprio albergo ignuda.
20
La morte fia men cruda
se questa spene porto
a quel dubbioso passo:
ché lo spirito lasso
non poria mai in piú riposato porto
25
né in piú tranquilla fossa
fuggir la carne travagliata et l’ossa.

Tempo verrà anchor forse
ch’a l’usato soggiorno
torni la fera bella et mansüeta,
30
et là ’v’ella mi scorse
nel benedetto giorno,
volga la vista disïosa et lieta,
cercandomi; et, o pietà!,
già terra in fra le pietre
35
vedendo, Amor l’inspiri
in guisa che sospiri
sí dolcemente che mercé m’impetre,
et faccia forza al cielo,
asciugandosi gli occhi col bel velo.

40
Da’ be’ rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria,
45
coverta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch’oro forbito et perle
eran quel dí a vederle;
50
qual si posava in terra, et qual su l’onde;
qual con un vago errore
girando parea dir: Qui regna Amore.

Quante volte diss’io
allor pien di spavento:
55
Costei per fermo nacque in paradiso.
Cosí carco d’oblio
il divin portamento
e ’l volto e le parole e ’l dolce riso
m’aveano, et sí diviso
60
da l’imagine vera,
ch’i’ dicea sospirando:
Qui come venn’io, o quando?;
credendo d’esser in ciel, non là dov’era.
Da indi in qua mi piace
65
questa herba sí, ch’altrove non ò pace.

Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia,
poresti arditamente
uscir del boscho, et gir in fra la gente.

AMORE BEN VEIO CHE MI FAI TENIRE

Amor ben veio che mi fa tenire
Iacopo Mostacci
XIII secolo
Amor ben veio che mi fa tenire
manera [e] costumanza
d’aucello c’arditanza - lascia stare:
quando lo verno vede sol venire
ben mette ’n ubrianza
5

la gioiosa baldanza - di svernare,

e par che la stagione no li piacc[i]a,
chè la fredura inghiacc[i]a;
e poi, per primavera,
ricovera manera
10

e suo cantare in[n]ova e sua ragione.
Ed ogni cosa vuole sua stagione.
Amor, lo tempo che non m’era a grato
mi tolse lo cantare;
credendo megliorare - io mi ritenni.
15

Or canto, chè mi sento megliorato,
ca, per bene aspet[t]are,
sollazo ed allegrare - e gioi mi venni
per la piu dolze donna ed avenante
che mai amasse amante,
20

quella ch’è di bieltate
sovrana in veritate,
c’ognunque donna passa ed ave vinto,
e passa perle, smeraldo e giaquinto.
Madonna, s’io son dato in voi laudare
25

non vi paia losinga
c’amor tanto mi stringa - ch’io ci falli;
ch’io l’agio audito dire ed acertare
sovran’ è vostra singa
e bene siete dinga - senza falli,
30

e contolomi in gran bona ventura
si v’amo a dismisura;
e s’io ne son sì lic[c]o
ben me ne tegno ric[c]o
assai più ch’io non sao dire in parole.
35

Quegli è ric[c]o c’ave ciò che vuole.
Donna e l’Amore àn fatto compagnia
e teso un dolce laccio
per met[t]ere in sollacc[i]o - lo mio stato;
e voi mi siete, gentil donna mia,
40

colonna e forte braccio,
per cui sicuro giaccio - in ogne lato.
Gioioso e baldo canto d’alegra[n]za,
c’amor m’è scudo e lanza
e spada difendente
45

da ogni maldicente,
e voi mi siete, bella, roc[c]a e muro:
mentre vivo per voi starò sicuro.

FOLGORE DA SAN GIMIGNANO "SONETTI PER UN CAVALIERE"

Folgore da San Gimignano - Sonetti per l'armamento di un cavaliere (XIII secolo)

I - (Introduzione)

Ora si fa un donzello cavalieri;
e’ vuolsi far novellamente degno,
e pon sue terre e sue castell’a pegno
4per ben fornirsi di ciò ch’è mistieri:

annona, pane e vin dà a’ forestieri,
manze, pernici e cappon per ingegno;
donzelli e servidori a dritto segno,
8camere e letta, cerotti e doppieri;

e pens’a molti affrenati cavagli,
armeggiatori e bella compagnia,
11aste, bandiere, coverte e sonagli;

ed istormenti con gran baronia,
e giucolar per la terra guidàgli,
donne e donzelle per ciascuna via.

II - Prodezza

Ecco Prodezza, che tosto lo spoglia
e dice: "Amico, e’ convien che tu mudi,
per ciò ch’i’ vo’ veder li uomini nudi
4e vo’ che sappi non abbo altra voglia;

e lascia ogni costume che far soglia,
e nuovamente t’affatichi e sudi;
se questo fai, tu sarai de’ miei drudi
8pur che ben far non t’incresca né doglia".

E quando vede le membra scoperte,
immantinente sí le reca in braccio
11dicendo: "Queste carni m’hai offerte;

i’ le ricevo e questo don ti faccio,
acciò che le tue opere sien certe:
14che ogni tuo ben far già mai non taccio".

III - Umiltà

Umilità dolcemente il riceve,
e dice: "Punto non vo’ che ti gravi,
ch’e’ pur convien ch’io ti rimondi e lavi,
4e farotti piú bianco che la neve;

e intendi quel ched io ti dico breve,
ch’i’ vo’ portar dello tuo cor le chiavi,
ed a mio modo converrà che navi,
8ed io ti guiderò sí come meve.

Ma d’una cosa far tosto ti spaccia,
ché tu sai che soperbia m’è nimica:
11che piú con teco dimoro non faccia.

I’ ti sarabbo cosí fatta amica
ch’e’ converrà ch’a tutta gente piaccia;
14e cosí fa chi di me si notrica".

IV - Discrezïone

Discrezïone incontanente venne
e sí l’asciuga d’un bel drappo e netto,
e tostamente sí ’l mette in sul letto
4di lin, di seta, coverture e penne;

or ti ripensa: infino al dí vi ’l tenne
con canti, con sonare e con diletto;
accompagnollo, per farlo perfetto,
8di nuovi cavalier, che ben s’avvenne.

Poi disse: "Lieva suso immantinente,
ch’e’ ti convien rinascere nel mondo,
11e l’ordine che prendi tieni a mente".

Egli ha tanti pensier, che non ha fondo,
del gran legame dov’entrar si sente,
14e non può dire: "A questo mi nascondo".

V - Allegrezza

Giunge Allegrezza con letizia e festa,
tutta fiorita che pare un rosaio;
di lin, di seta, di drappo e di vaio
4allor li porta bellissima vesta,

vetta, cappuccio con ghirlanda in testa,
e sí adorno l’ha che pare un maio;
con tanta gente che trema il solaio;
8allor sí face l’opra manifesta.

E ritto l’ha in calze ed in pianelle,
borsa, cintura inorata d’argento,
11che stanno sotto la leggiadra pelle;

cantar, sonando ciascuno stormento,
mostrando lui a donne ed a donzelle
14e quanti sono a questo assembramento

PREGHIERA A CARLO MAGNO

Verba tui famuli, rex summe, adtende sereus,
respice et ad fletum cum pietate meum.
Sum miser, ut mereor, quantum vix ullus in orbe est;
semper inest luctus, tristis et hora nihi.
Septimus annus adest, ex quo nova causa dolores
multiplices generat et mea corda quatit.
Captivus vestris extunc germanus in oris
est meus, afflicto pectore, nudus, egens.
Illius in patria coniunx miseranda per omnes
mendicat plateas ore tremente cibos.
Quattuor hac turpi natos sustentat ab arte,
quos vix pannuciis praevalet illa tegi.
Eat mihi, quae prims Christo sacrata sub annis
excubat, egregia simplicitate soror:
haec sub sorte pari luctum sine fine retentans
privata est oculis iam prope flendo suis.
Quantulacunque fuit, direpta est nostra suppellex,
nec est, heu, miseris qui ferat ullus opem.
Coniunx est fratris rebus exclusa paternis,
iamque sumus servis rusticitate pares.
Nobilitas perit miseris, accessit egestas:
debuimus, fateor, asperiora pati.
Sed miserere, potens rector, miserere, precamur,
et tandem finem his, pic, pone malis !
Captivum patriae redde et civilibus arvis,
cum modicis rebus culmina redde simul,
mens nostra ut Christo laudes in saecla frequentet,
reddere qui solus praemia digna potest.

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