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La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

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Le Leggende Medioevali

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sabato 28 marzo 2015

LA CRIPTA DEL CROCIFISSO DI UGENTO


La Cripta del Crocefisso  è una delle tante strutture a carattere religioso che sorsero nel meraviglioso Salento tra il XIII e XIV secolo rifacendosi a modelli del monachesimo orientale. Di particolare interesse è la decorazione del soffitto che rappresenta figure leggendarie come ad esempio l'idra o il grifone che sono simboli forieri di fortuna, e una serie di altri simboli che appartengono alla religione basti pensare che il ciclo più antico che risale al XIII secolo raffigura il Cristo Pantocratore, l'Annunciazione, una Vergine della Tenerezza, una madonna in trono e san Nicola che risale al XIV secolo. Sul soffitto vediamo anche scudi crociati, alcuni con una croce nera, a ricordo dei Teutonici, e altri con la croce rossa in riferimento ai Cavalieri Templari. La chiesa è ipogea e si trova a solo un chilometro dalla città di Ugento. Data la sua collocazione particolare, probabilmente era meta di pellegrinaggio per i pellegrini che arrivavano a Leuca presso il famoso Santuario di Santa Maria di Finibus Terrae. Tra il 2004 e il 2005, la Cripta ha subito lavori di scavo per quanto riguarda le sepolture che circondavano il perimetro della chiesa ipogea, non a caso proprio ad ovest dell'ingresso sono state scoperte otto tombe ad oltre tre metri di profondità poste sul piano di calpestio ricoperto dal tempo e dalle intemperie.

Per le fotografie degli interni , consultare il polo museale di ugento

Fonte immagine Wikipedia, Autore Lupiae (CC BY-SA 3.0)

venerdì 7 febbraio 2014

SCOPERTE FOSSE MEDIEVALI NEL LECCESE

Circa trenta scheletri sono stati rinvenuti nella chiesa dell'Annunciazione conosciuta come Cappella di San Martino costruita nel 1700. Guidati dall'archeologa Paola tagliente, gli operai hanno scoperto scheletri in ottimo stato di conservazione in fosse orizzontali rispetto all'entrata con sistemazione est-ovest. All'interno delle fosse sono state rinvenute anche altri resti intatti e monete che in antichità venivano messe sul volto del defunto. Probabilmente sono tombe di epoca medievale.

Il video che segue è tratto dal sito www.leccese.it


giovedì 4 luglio 2013

ABBAZIA DI SANTA MARIA DEL MITO

L'Abbazia di Santa Maria del Mito, nota anche con la desinenza de Amito, è un complesso abbaziale situato nel comune di Tricase, in provincia di Lecce. Posta fra le bellezze storico-artistiche più antiche di Tricase, è stata fondata tra l'VIII secolo e il IX secolo e, decaduta nei secoli, è ridotta oggi in stato di rudere. Non è nota la data esatta in cui l'abbazia di Santa Maria del Mito viene fondata, ma si sa che, tra l'VIII secolo e il IX secolo, sorgono nella zona numerose abbazie, cenobi, chiese e cappelle rurali, per la maggior parte fondate dai Basiliani. La fondazione dell'abbazia di Tricase, dunque, può essere verosimilmente attribuita a questo periodo e alla mano di questa comunità. Nel tempo, l'abbazia si evolve in un notevole centro di cultura e diventa una masseria totalmente autosufficiente, situata tra il feudo di Tricase e quello di Andrano. Nel Seicento la situazione del complesso è giù misera a causa delle scorrerie dei pirati e delle continue spartizioni e invasioni di terreni fra i feudi circostanti. Nei secoli successivi la situazione degrada sempre più, fino al completo abbandono della struttura.Dell'abbazia di Santa Maria del Mito resta molto poco, nell'ordine di ruderi e lacerti di murature. Meglio conservata è la colombaia, una torre per l'allevamento di colombi, situata a poca distanza dall'abbazia e ancora oggi in aperta campagna. La torre è alta quasi sette metri e misura quindici metri di perimetro. All'interno si snodano sei scale che arrivano fino in cima e che servivano per ispezionare tutta la superficie interna della torre.

Fonte: Wikipedia

ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CERRATE

Situata sulla strada provinciale che collega Squinzano a Casalabate, l'Abbazia di Santa Maria di Cerrate, è uno dei più significativi esempi di romanico in Puglia. Il complesso è attualmente gestito dal Fondo Ambiente Italiano, che nel 2012 ne ha acquisito la proprietà, tramite una concessione trentennale, in seguito a un bando pubblico indetto dalla Provincia di Lecce. L'Abbazia di Santa Maria di Cerrate fu fondata alla fine del XII secolo da Tancredi d'Altavilla, Conte di Lecce. La leggenda vuole che in questo luogo sia apparsa a Tancredi la Madonna, fra le corna di un cervo, da cui il nome (Cerrate o Cervate). La località fu un importante polo religioso e culturale fino al Cinquecento, successivamente trasformata in masseria. Nel 1711 l’Abbazia venne saccheggiata dai pirati turchi e cadde in uno stato di abbandono, proseguito fino al restauro del 1965 curato dalla Provincia di Lecce. Il complesso rimase di proprietà dell'ente locale fino al 2012, anno in cui è passato al Fondo Ambiente Italiano.L’Abbazia è in stile di romanico e presenta in facciata un portale sormontato da un’arcata con altorilievi di eccezionale qualità che riproducono scene del Nuovo Testamento e un monaco in preghiera. L’interno dell’edificio era completamente decorato con affreschi databili a partire dal XIII secolo, oggi conservati nel Museo attiguo. L’Abbazia è in stile di romanico e presenta in facciata un portale sormontato da un’arcata con altorilievi di eccezionale qualità che riproducono scene del Nuovo Testamento e un monaco in preghiera. L’interno dell’edificio era completamente decorato con affreschi databili a partire dal XIII secolo, oggi conservati nel Museo attiguo.L'interno è a tre navate ed è coperto da un soffitto costituito da travi, canne e tegole. Del 1269 è il baldacchino posto sopra l'altare maggiore. Di notevole interesse sono gli affreschi duecenteschi e trecenteschi: nelle absidi (Cristo in gloria, Angeli e Santi); nei sottarchi (Santi), lungo le pareti (Vergine col Bambino e Santi). Durante i lavori di restauro furono staccati dalla chiesa alcuni affreschi e trasportati nel vicino museo nel quale sono tuttora esposti: (Dormitio Virginis, Annunciazione della Vergine, Miracolo della cerva, San Giorgio con la principessa, Sant'Anna e San Gioacchino con Maria Vergine, San Demetrio, San Michele e altri Santi).

Fonte: Wikipedia

giovedì 6 giugno 2013

IL MOSAICO DELLA CATTEDRALE DI OTRANTO

Il Mosaico della Cattedrale di Santa Maria Annunziata di Otranto ricopre il pavimento delle tre navate ed è opera del monaco Pantaleone compiuta, su commissione del Vescovo di Otranto, fra il 1163 e il 1165 d.c. Esso rappresenta uno dei più importanti cicli musivi del medioevo italiano. Questa opera, originale e conservata nella quasi totalità delle sue parti, offre uno spaccato della cultura dell'alto Medioevo e ci presenta un percorso in un labirinto teologico di cui, a volte, sfugge la vera interpretazione iconologica. L'opera ha come figura centrale l'Albero della vita, lungo il quale si dipanano le principali rappresentazioni. Al vertice dell'albero, vi è l'immagine del Peccato Originale e cioè la cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell'Eden con il serpente del peccato che insidia Eva. Questo "episodio", centrale per la narrazione del mosaico, è preceduto in alto, nell'area del presbiterio da diverse figure, racchiuse in sedici medaglioni, che rimandano ad animali o figure umane mitiche (con un significato allegorico non sempre chiaro all'osservatore contemporaneo): un Toro, un Behemot, un Leviatano che inghiotte una lepre, un Dromedario rampante, un Elefante con stella a cinque punte, una Lonza con volpe insanguinata, un'Antilope, un Centauro, un Cervo ferito, un Unicorno (quest'ultimo, si ritiene, affiancato dalla raffigurazione di Pantaleone), la Regina di Saba, il Re Salomone, una Sirena, un Leopardo e un Ariete. Fra alcuni medaglioni sono anche presenti figure animali, fra cui un asino che suona la lira. Nell'abside, sono presenti gli "episodi" del libro di Giona, ma anche una scena di caccia al cinghiale. Si rappresenta poi Sansone che lotta contro un leone, un gigantesco drago alato che stritola fra le sue spire un cervo, due scimmie che mangiano frutta, un essere umano con testa d'asino, altre tre figure umane. Ritornando poi al presbiterio, al punto in cui Adamo ed Eva assumono il frutto del peccato, si discende l'Albero della Vita così seguendo la narrazione voluta da Pantaleone. Aspetto questo, degno di nota, in quanto si sarebbe potuto supporre che la "cronologia" della narrazione partisse dalle radici dell'albero per svilupparsi verso l'alto lungo il suo tronco. Invece, accade il contrario: il racconto si dipana verso il basso discendendo il tronco, con i rami e foglie che si sviluppano intorno ad ogni figura, come se l'albero, crescendo, avesse portato verso l'alto, gli eventi accaduti al momento della sua prima nascita e sviluppo. Al di sotto del presbiterio, oltre un'area danneggiata, attualmente priva della decorazione musiva, il mosaico riprende dunque con l'episodio di Adamo ed Eva, prima nascosti da Dio (nella parte sinistra della navata) e poi, a destra, cacciati, da parte di un cherubino, fuori dal Paradiso Terrestre, la cui porta è custodita da un uomo con un bastone. Aspetto sorprendente è che le due figure bibliche di Adamo ed Eva, mentre escono dal Paradiso Terrestre sono seguite da uno dei protagonisti del ciclo bretone e cioè Re Artù, a cavallo di un caprone e fronteggiate da un animale che appare un grosso felino. Andando a destra, si sviluppa poi la vicenda di Caino e Abele. Procedendo verso il basso, vi sono dodici medaglioni che raffigurano il ciclo dei mesi, il loro nome, i segni zodiacali corrispondenti e le varie attività che l'uomo svolge sulla terra, una volta cacciato dall'Eden, come, ad esempio, la raccolta del grano, la produzione del vino, l'aratura dei terreni, il pascolo, la caccia al cinghiale, l'allevamento dei maiali, ma anche scene di ozio, come un uomo nudo che si pulisce i piedi, oppure una donna molto elegante seduta su uno sgabello. Si osserva poi la rappresentazione del Diluvio Universale e delle gesta di Noè e, sotto, sulla parte destra della navata, della costruzione della Torre di Babele. Compaiono poi altre figure fantastiche: un animale con quattro corpi e una testa umana, un drago, la dea Diana che uccide un cervo con la freccia, un centauro, una scena di combattimento fra due uomini dotati di mazze e scudi, con accanto un cavallo, altre figure zoomorfe e antropomorfe di diverse dimensioni. Fra queste, si trovano anche immagini di particolare interesse: una scacchiera; Re Alessandro Magno che ascende al cielo sopra due grifoni; due cavalieri nudi che suonano l'olifante. Alle radici dell'albero, sono poi raffigurati due grandi elefanti. Nella navata sinistra della Cattedrale, si sviluppa un'ulteriore parte del mosaico, in cui fra i rami di un altro Albero, si osservano figure zoomorfe, mitiche ed umane. Fra queste ultime un Atlante che sembra reggere un Sole policromo e un uomo indicato come Samuele. Nella navata destra, ancora un Albero, questa volta del Giudizio Universale, divide l'area in due parti: quella a sinistra relativa al Paradiso e dunque alla Redenzione e quella a destra dedicata all'Inferno e dunque alla Dannazione. Nella prima, si osservano un cervo; i tre Patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe, che, secondo l'iconografia bizantina, accolgono gli uomini eletti al Paradiso; sotto, uomini, piante e animali forse nel giardino dell'Eden. Nell'area della Dannazione, si trovano Satana che accoglie i dannati; altri uomini condannati ai morsi dei serpenti o alle pene delle fiamme; le tre Erinni; un diavolo che regge una bilancia, probabilmente per giudicare i dannati; Caronte; altre figure di dannati.

Fonte: Wikipedia

Immagine tratta da Wikipedia, Autore: Yoruno

LA CATTEDRALE DI OTRANTO

La cattedrale, edificata sui resti di un villaggio messapico, di una domus romana e di un tempio paleocristiano, fu fondata nel 1068 dal vescovo normanno Guglielmo. È una sintesi di diversi stili architettonici comprendendo elementi bizantini, paleocristiani e romanici. Fu consacrata il 1º agosto 1088 durante il papato di Urbano II dal legato pontificio Roffredo, arcivescovo di Benevento.
Nell'agosto 1480, la cattedrale fu teatro di una terribile carneficina; i Turchi espugnarono la città dopo alcuni giorni d'assedio ed entrarono nella chiesa sterminando il clero e i civili che vi si erano rifugiati. Venne trasformata in moschea e furono distrutti tutti gli affreschi risalenti al XIII secolo. Nel 1481, dopo la liberazione di Otranto ad opera delle truppe di Alfonso V di Aragona, fu fortemente rimaneggiata. La facciata medievale a doppio spiovente è stata oggetto di numerosi rimaneggiamenti susseguitisi nei secoli. All'indomani delle devastazioni inflitte nel corso dell'occupazione turca del 1480, fu edificato il grande rosone a 16 raggi con fini trafori gotici di forma circolare convergenti al centro, secondo i canoni dell'arte gotico-araba. Nel 1674 fu aggiunto il portale barocco, composto da due mezze colonne scanalate per lato che sorreggono l'architrave con lo stemma dell'arcivescovo Gabriel Adarzo de Santander retto da due angeli. Ai lati della facciata si aprono due monofore.
Un altro portale minore è presente sul lato sinistro della basilica; fu edificato tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo da Nicolò Fernando per volontà dell'arcivescovo Serafino da Squillace che fece scolpire la propria figura sulla struttura. L'interno possiede una pianta a tre navate absidate, scandite da dodici archi sorretti da quattordici colonne di granito con capitelli differenti. Nel 1693 l'Arcivescovo Francesco Maria De Aste fece costruire l'arco trionfale e nel 1698 coprì la navata centrale e il presbiterio con un soffitto a lacunari lignei con dorature su fondo nero e bianco. Nel presbiterio è collocato l'altare maggiore con il settecentesco paliotto in argento che riporta la raffigurazione dell'Annunciazione.
Gli affreschi parietali rimanenti evidenziano tracce bizantine, come l'immagine della Madonna col Bambino nella navata destra. Lungo le navate laterali, coperte da un soffitto a tavole dipinte realizzato nel 1827 dall'arcivescovo Andrea Mansi, sono visibili sei altari dedicati alla Resurrezione di Gesù, a San Domenico di Guzman, alla Madonna Assunta (a destra), alla Pentecoste, alla Visitazione della Beata Vergine Maria e a Sant'Antonio da Padova (a sinistra). Nella navata sinistra è presente il battistero barocco commissionato dall'arcivescovo Michele Orsi intorno alla metà del XVIII secolo. Nella stessa navata si notano il monumento sepolcrale di Francesco Maria de Aste, deceduto nel 1719, e il mausoleo del metropolita Gaetano Cosso, morto nel 1655.
La navata destra termina nella Cappella dei Martiri, edificata per ordine di Ferdinando I di Napoli e ricostruita a spese pubbliche nel 1711. In essa sono conservati i resti mortali dei Santi martiri di Otranto, gli ottocento abitanti di Otranto massacrati e decapitati dai Turchi sul Colle della Minerva il 14 agosto 1480 per non aver voluto rinnegare la fede cristiana. Le reliquie dei martiri sono deposte in sette grandi armadi e dietro il marmoreo altare è conservato il "sasso del martirio" sul quale, secondo la tradizione, avvenne la decapitazione. Di grande impatto scenico è il mosaico pavimentale che si sviluppa lungo le navate, il presbiterio e l'abside. Fu commissionato dal primo arcivescovo latino della città, Gionata, e fu eseguito tra il 1163 e il 1165 da un gruppo di artisti capeggiati da Pantaleone, un monaco basiliano del Monastero di San Nicola di Casole.
Il programma iconografico del mosaico ripercorre, attraverso scene dall'Antico Testamento, dai cicli cavallereschi e dal bestiario medievale, disposte lungo lo sviluppo dell'Albero della vita, l'esperienza umana dal peccato alla salvezza. La cripta, che si snoda nell'area sottostante dell'abside, del presbiterio e di parte dell'aula, risale al XI secolo ed è una miniatura della celebre Cisterna di Teodosio o della Moschea di Cordova. Possiede tre absidi semicircolari e si caratterizza per le quarantotto campate intervallate da oltre settanta tra colonne, semicolonne e pilastri. La particolarità è nella diversità degli elementi di sostegno, provenienti da edifici antichi e altomedievali, dal vario repertorio figurativo. Di grande pregio gli affreschi superstiti che abbracciano un arco cronologico dal Medioevo al Cinquecento. La torre campanaria fu edificata nelle immediate vicinanze della Cattedrale nel XII secolo, sotto la dominazione normanna. La monumentale struttura si presenta a pianta quadrata, con un robusto alzato ingentilito da quattro finestre con arco a tutto sesto. Gli archi, le cornici, i listelli e le mensole, che decorano l'esterno, richiamano gli stessi motivi, cari all'architettura militare, visibili sulle mura e sulle torri di difesa della città. I materiali impiegati nella costruzione sono il carparo e il calcare bianco compatto, materiali tipici del territorio salentino.
L'attuale torre costituiva, molto probabilmente, il basamento di una struttura più alta, con funzioni di avvistamento e segnalazione. La posizione sopraelevata, dominante la città e lo specchio d'acqua antistante, consentiva di dare l'allarme in caso di pericolo. Questa destinazione funzionale, comune in passato, giustifica la posizione distaccata all'edificio sacro. Le numerose campane bronzee, di cui è dotata la torre, furono fuse nel corso dei secoli per volontà di committenti ecclesiastici diversi.

Fonte Wikipedia

Immagine tratta da Wikipedia, Autore Lupiae

martedì 4 giugno 2013

IL CASTELLO DI OTRANTO


File:Otranto castello.jpgIl Castello di Otranto è la fortezza dell'omonima città sita in Puglia, in provincia di Lecce. Il castello, che diede il nome al primo romanzo gotico della storia, è in stretta relazione con la cinta muraria della cittadina con cui forma un unico apparato difensivo. Importante testa di ponte verso l'Oriente, la città di Otranto è stata munita fin dall'antichità di sistemi di difesa ed opere fortificate, aggiornate nel corso dei secoli dalle dominazioni che vi si sono avvicendate. L'assedio subito dalla città nel 1067 danneggiò gravemente il fortilizio che fu riparato e potenziato qualche anno più tardi per volere di Roberto il Guiscardo. Della ricostruzione promossa nel 1228 da Federico II di Svevia rimangono invece tracce evidenti della torre del corpo mediano cilindrico, inglobata nel bastione a punta di lancia, e nella cortina muraria di nord-est. Un'analisi dei sotterranei lascia supporre che il Castello fosse impostato su una pianta con nucleo centrale quadrangolare, scandita agli angoli da torri cilindriche. Dopo il Sacco di Otranto del 1480, anno in cui tutto il Meridione d'Italia fu oggetto dell'attacco turco, il Castello dovette essere ricostruito, cosa che fece Alfonso d'Aragona duca di Calabria. Alla fine del secolo, quando la città fu data in pegno ai veneziani, la struttura fu ulteriormente potenziata con l'aggiunta di artiglierie e bombarde. Della fase aragonese rimangono solo un torrione e parte delle mura. L'aspetto attuale del fortilizio si deve infatti ai Viceré spagnoli, che ne fecero un vero e proprio capolavoro di architettura militare: opere di difesa straordinaria furono attuate nel 1535 da Don Pedro di Toledo, di cui rimane lo stemma sul portale d'ingresso e sulla cortina esterna. I due bastioni poligonali aggiunti nel 1578 sul versante rivolto al mare, inglobarono il preesistente bastione aragonese. Alla metà del secolo successivo il leccese G. F. Saponaro fu incaricato di rafforzare ulteriormente il Castello. Questo si presenta oggi a pianta pentagonale, circondato da un ampio fossato e scandito da quattro torri, tre circolari in carparo e una con la punta protesa verso il mare; sul quinto lato, scoperto, si apre il ponte levatoio. La fortezza otrantina ispirò il primo romanzo gotico della storia, Il castello di Otranto, di Horace Walpole (1764).

Fonte: Wikipedia

Immagine tratta da Wikipedia, Autore: Attilios

lunedì 20 maggio 2013

ABBAZIA DI SANTA MARIA DEL MITO

L'Abbazia di Santa Maria del Mito, nota anche con la desinenza de Amito, è un complesso abbaziale situato nel comune di Tricase, in provincia di Lecce. Posta fra le bellezze storico-artistiche più antiche di Tricase, è stata fondata tra l'VIII secolo e il IX secolo e, decaduta nei secoli, è ridotta oggi in stato di rudere. Non è nota la data esatta in cui l'abbazia di Santa Maria del Mito viene fondata, ma si sa che, tra l'VIII secolo e il IX secolo, sorgono nella zona numerose abbazie, cenobi, chiese e cappelle rurali, per la maggior parte fondate dai Basiliani. La fondazione dell'abbazia di Tricase, dunque, può essere verosimilmente attribuita a questo periodo e alla mano di questa comunità. Nel tempo, l'abbazia si evolve in un notevole centro di cultura e diventa una masseria totalmente autosufficiente, situata tra il feudo di Tricase e quello di Andrano. Nel Seicento la situazione del complesso è giù misera a causa delle scorrerie dei pirati e delle continue spartizioni e invasioni di terreni fra i feudi circostanti. Nei secoli successivi la situazione degrada sempre più, fino al completo abbandono della struttura. Dell'abbazia di Santa Maria del Mito resta molto poco, nell'ordine di ruderi e lacerti di murature. Meglio conservata è la colombaia, una torre per l'allevamento di colombi, situata a poca distanza dall'abbazia e ancora oggi in aperta campagna. La torre è alta quasi sette metri e misura quindici metri di perimetro. All'interno si snodano sei scale che arrivano fino in cima e che servivano per ispezionare tutta la superficie interna della torre.

Fonte: Wikipedia

giovedì 9 maggio 2013

ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CERRATE

Situata sulla strada provinciale che collega Squinzano a Casalabate, l'Abbazia di Santa Maria di Cerrate, è uno dei più significativi esempi di romanico in Puglia. Il complesso è attualmente gestito dal Fondo Ambiente Italiano, che nel 2012 ne ha acquisito la proprietà, tramite una concessione trentennale, in seguito a un bando pubblico indetto dalla Provincia di Lecce. L'Abbazia di Santa Maria di Cerrate fu fondata alla fine del XII secolo da Tancredi d'Altavilla, Conte di Lecce. La leggenda vuole che in questo luogo sia apparsa a Tancredi la Madonna, fra le corna di un cervo, da cui il nome (Cerrate o Cervate). La località fu un importante polo religioso e culturale fino al Cinquecento, successivamente trasformata in masseria. Nel 1711 l’Abbazia venne saccheggiata dai pirati turchi e cadde in uno stato di abbandono, proseguito fino al restauro del 1965 curato dalla Provincia di Lecce. Il complesso rimase di proprietà dell'ente locale fino al 2012, anno in cui è passato al Fondo Ambiente Italiano. L’Abbazia è in stile di romanico e presenta in facciata un portale sormontato da un’arcata con altorilievi di eccezionale qualità che riproducono scene del Nuovo Testamento e un monaco in preghiera. L’interno dell’edificio era completamente decorato con affreschi databili a partire dal XIII secolo, oggi conservati nel Museo attiguo. La chiesa romanica ha un prospetto monocuspidale animato da una serie di archetti che fa comprendere la spartizione interna della struttura. La facciata presenta un piccolo rosone al centro, una monofora per lato e un duecentesco portale nel cui intradosso son figurati i rilievi dell'Annunciazione della Vergine, della Visita a Santa Elisabetta, dei Magi e della Fuga in Egitto.
Lungo il lato sinistro del tempio, fa bella mostra di sé un portico, risalente al XIII secolo, impreziosito da colonne cilindriche e poligonali che reggono dei capitelli figurati. Di fronte al portico è presente un pozzo ornamentale del XVI secolo. L'interno è a tre navate ed è coperto da un soffitto costituito da travi, canne e tegole. Del 1269 è il baldacchino posto sopra l'altare maggiore. Di notevole interesse sono gli affreschi duecenteschi e trecenteschi: nelle absidi (Cristo in gloria, Angeli e Santi); nei sottarchi (Santi), lungo le pareti (Vergine col Bambino e Santi). Durante i lavori di restauro furono staccati dalla chiesa alcuni affreschi e trasportati nel vicino museo nel quale sono tuttora esposti: (Dormitio Virginis, Annunciazione della Vergine, Miracolo della cerva, San Giorgio con la principessa, Sant'Anna e San Gioacchino con Maria Vergine, San Demetrio, San Michele e altri Santi).

Fonte: Wikipedia

Immagine tratta da Wkipedia, Autore:  Istvanka

martedì 16 aprile 2013

CHIESA DEI SANTI NICCOLO' E CATALDO

La chiesa dei Santi Niccolò e Cataldo è una chiesa medievale di Lecce. Insieme all'attiguo monastero fu fondata nel 1180 dal normanno Tancredi d'Altavilla. Tancredi donò il complesso ai monaci Benedettini, ai quali seguirono nel 1494, per volere di Alfonso II di Napoli, i padri Olivetani che rimasero sino al 1807. La facciata mostra sia la severità del romanico pugliese che l'esuberanza del barocco. Nel 1716 gli Olivetani intrapresero infatti un radicale intervento di ristrutturazione dell'edificio. La facciata venne rifatta da Giuseppe Cino in puro Barocco leccese conservando, di quella originaria, solamente il pregevole portale e il rosone. Il prospetto fu arricchito da dieci statue lapidee e da un monumentale fastigio di coronamento in cui svetta lo stemma degli olivetani, costituito da una croce e dai rami d'ulivo. I fianchi della chiesa si allungano, a destra, nel cinquecentesco chiostro dovuto a Gabriele Riccardi, adorno del seicentesco baldacchino sovrastante il pozzo posto su quattro colonne tortili, e, a sinistra, nell'area ottocentesca del cimitero. Su quest'ultimo lato è possibile osservare la teoria degli archetti pensili che corre lungo i muri della chiesa, il campanile a vela con la meridiana e la cupola. L'interno è diviso in tre navate da pilastri quadrilobati con semicolonne addossate. La navata centrale è coperta da una volta a botte mentre quelle laterali hanno una copertura con volta a crociera ogivale. In corrispondenza del transetto si innalza una cupola ellittica impostata su un tamburo ottagonale. In origine la superficie interna era ricoperta interamente da affreschi; nel XVII secolo quelli sulle colonne e sulle pareti furono imbiancati o ricoperti da altari, quelli della volta furono intonacati o ridipinti con decorazioni in stile pompeiano. Nella cupola sono raffigurati l'Incoronazione ed il Transito della Vergine. Nelle navate laterali sono presenti alcuni altari attribuiti a Mauro Manieri, tra cui quello intitolato ai Santi Benedetto, Bernardo Tolomei e Francesca Romana e quello dei Santi Niccolò e Cataldo. Entrambi gli altari espongono una tela settecentesca del pittore napoletano Giovan Battista Lama. Di pregevole valore artistico sono la statua di san Nicola benedicente, nella navata sinistra, e due acquasantiere, tutte opere realizzate nel XVI secolo e attribuite a Gabriele Riccardi. Al XVII secolo risalgono il monumento sepolcrale del poeta epico leccese Ascanio Grandi e gli affreschi del coro (1619).

Fonte: Wikipedia

Immagine di Toobaz rilasciata con Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported

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