Pagine

Visita il Primo Museo Didattico Templare Permanente in Italia!

Scopri la storia dei Templari con il Primo Museo Didattico Templare Permanente in Italia sito a Viterbo!

Vuoi visitare Viterbo?

Se vuoi visitare Viterbo, l'Appartamento uso turistico di Emiliano e Rosita è il punto ideale per la tua vacanza!

La Grande Storia dei Cavalieri Templari

Creati per difendere la Terrasanta a seguito della Prima Crociata i Cavalieri Templari destano ancora molto interesse: scopriamo insieme chi erano e come vivevano i Cavalieri del Tempio

La Grande Leggenda dei Cavalieri della Tavola Rotonda

I personaggi e i fatti più importanti del ciclo arturiano e della Tavola Rotonda

Le Leggende Medioevali

Personaggi, luoghi e fatti che hanno contribuito a conferire al Medioevo un alone di mistero che lo rende ancora più affascinante ed amato. Dal Ponte del Diavolo ai Cavalieri della Tavola Rotonda passando per Durlindana, la leggendaria spada di Orlando e i misteriosi draghi...

Visualizzazione post con etichetta Josephuss. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Josephuss. Mostra tutti i post

domenica 21 ottobre 2012

IL MISTERO DEL RE FERITO

"Come fosti disgraziato quando non facesti quelle domande! Sarebbe stato un tal piacere per il buon re invalido che avrebbe ritrovato l'uso delle sue gambe e sarebbe ridivenuto capace di governare la sua terra." (Chretien de Troyes, Perceval)"

Sono diversi i racconti di epoca medievale in cui si narra di un re, solitamente connotato da una grande importanza, che in seguito ad alcune vicende è rimasto ferito oppure risulta gravemente ammalato. Secondo la leggenda, lo stesso re Artù - che sarebbe ferito o addirittura in uno stato simile alla morte - riposerebbe nella mitica isola di Avalon, in attesa di far nuovamente ritorno nel mondo.
Nel Perceval di Chretién de Troyes questo sovrano è il "Re Pescatore", uno strano personaggio - reso invalido da una ferita all'anca - che il protagonista del romanzo incontra per la prima volta proprio su una barca, mentre è intento a pescare. Dopo una breve discussione il re invita Perceval nel suo castello, situato non molto lontano, dove si terrà una cena sontuosa. I due prendono posto a tavola, ma prima che vengano servite le pietanze fa il suo ingresso in sala il "corteo del Graal": inizialmente entra un valletto, che porta con sé una lancia splendente, dalla cui punta scendono delle gocce di sangue. Perceval osserva meravigliato questa scena, e in cuor suo vorrebbe chiedere al padrone di casa che cosa rappresenti la lancia sanguinante. Gli vengono tuttavia in mente le sagge parole del suo maestro di cavalleria, che lo aveva messo in guardia dal parlar troppo, e decide dunque di tacere. Poco dopo fanno il loro ingresso altri valletti, che reggono dei grandi candelabri d'oro, e infine appare una bellissima fanciulla che nelle mani tiene "un Graal", fatto d'oro e di pietre preziose. Il Graal sembra risplendere di luce propria, ed anzi illumina la sala di un chiarore così grande "che le candele impallidirono come le stelle o la luna quando si leva il sole". Ancora una volta Perceval vorrebbe sapere di più del Graal e del suo significato ma, nonostante ció, rimane in assoluto silenzio. Dopo la cena il re e Perceval decidono di andare a dormire. Al suo risveglio il protagonista trova però il castello completamente deserto, e anche provando a chiamare a gran voce il Re Pescatore e i suoi valletti non ottiene alcuna risposta. Monta allora sul suo cavallo ed esce dal portone del palazzo che al suo passaggio si chiude, apparentemente da solo. Prosegue il suo cammino, e lungo la strada incontra una ragazza (che si rivelerà essere sua cugina) alla quale racconta la sua ultima avventura. La giovane ascolta la storia, ma lo rimprovera aspramente di non aver chiesto nulla del Graal, perchè se lo avesse fatto il Re Pescatore sarebbe miracolosamente guarito, ed assieme a lui sarebbe tornato a risplendere anche il suo regno, caduto in rovina da quando il re è stato ferito.

"Qui il re del Graal appare evidentemente come colui che, constatando la propria impotenza, come pescatore di uomini cerca l'eletto, l'eroe". (Juius Evola, Il Mistero del Graal)

Per quanto riguarda il significato simbolico di questo personaggio, bisogna prima di tutto porre l'attenzione sul suo particolare nome (di Re-Pescatore). Come abbiamo visto, questo re, pur essendo ferito, pratica realmente la pesca. Il titolo di Pescatore potrebbe però simbolicamente far riferimento al sacerdozio: nei Vangeli si può leggere che Cristo disse ai suoi Apostoli "vi farò pescatori di uomini". Si può notare anche che una delle principali insegne del Romano Pontefice è proprio l'"anello del pescatore", chiamato altrimenti "anello piscatorio": si tratta di un anello d'oro che presenta un bassorilievo raffigurante S. Pietro (che di mestiere faceva appunto il pescatore) mentre pesca su una barca.

Il Re del Graal sarebbe quindi un Re-Sacerdote, equiparabile in questo alla leggendaria figura del Prete Gianni. Inoltre questo personaggio (in cui si uniscono sacerdozio e regalità), rappresenta veramente la Tradizione nella sua essenza, che in effetti è come se fosse "ferita": allo stato attuale delle cose si manifesta cioè come apparentemente mutila ed impossibilitata di esprimersi in tutta la sua pienezza, proprio come un re che - a causa delle sue ferite - non può governare pienamente il suo regno. Non si tratta però di una situazione irreversibile, perché c'è sempre la possibilità che qualcuno, particolarmente qualificato e dotato della giusta predisposizione d'animo, "chieda del Graal", lo cerchi, e che in questo modo possa operarsi la miracolosa guarigione.

Fonte: http://josephussblog.blogspot.it/



lunedì 15 ottobre 2012

CHIESA CATTOLICA ED ALCHIMIA


Non è molto semplice dire quali rapporti ci siano stati tra la scienza alchemica e la religione cattolica, anche perché nel corso del tempo questi rapporti hanno subito grandi cambiamenti, almeno sul piano formale. Inizialmente l'alchimia era abbastanza tollerata e i sospetti degli inquisitori erano rivolti per lo più nei confronti degli alchimisti poveri; si riteneva infatti che questi ultimi, a differenza di quelli ricchi, avrebbero potuto cedere più facilmente alla tentazione di evocare il demonio per operare la trasmutazione del piombo in oro, nel caso in cui non ci fossero riusciti con la loro arte. Per il resto però l'alchimia era una scienza di cui si occupavano diverse persone considerate dotte e, tra queste, anche alcuni uomini di Chiesa. Persino chi provò a dimostrare la falsità o l'infondatezza dell'alchimia dovette tuttavia ammettere che "non pure i Filosofi, ma i Teologi ancora e i Santi l'approvano per vera e l'insegnano per buona" (1). Una leggenda di epoca medioevale narra addirittura che San Domenico, grazie all'ispirazione divina, riuscì a scoprire il segreto della Pietra Filosofale, segreto che sarebbe stato tramandato poi ad Alberto Magno e a San Tommaso. Certamente questa è soltanto una storia, anche se al dire il vero non sembra essere totalmente priva di fondamento. Alberto Magno dimostra infatti di avere una conoscenza, almeno generale, in materia di Alchimia, soprattutto nel suo trattato Sui Minerali (De Mineralibus). Nel nono capitolo del terzo libro di quest'opera si domanda anche se sia possibile trasmutare i metalli nell'una o nell'altra specie, rispondendosi affermativamente. Altrove lascia invece intendere che secondo lui, tra gli alchimisti, esistono dei veri saggi - Alchimicorum Sapientes - (2)
Per quanto riguarda S. Tommaso la questione è un po' più complessa, dal momento che egli è stato fatto passare alla storia come grande alchimista. Il reverendo Padre Gabriel de Castaigni, dottore in teologia e abate di Sou, scrisse nelle sue Oeuvres tant medicinales que Chymiques: "Ma che diremo dunque di quel grande Dottore Angelico San Tommaso d'Aquino dell'ordine dei Venerabili Padri Predicatori, che egli stesso faceva questa santa opera dell'oro potabile [l'Alchimia]?". In effetti a San Tommaso sono stati attribuiti numerosi libri che trattano di alchimia, i più famosi dei quali sono l'Aurora consurgens, il Trattato della Pietra Filosofale, e il Trattato sull'Arte Alchemica dato a Frate Reginaldo. Alla luce di un'analisi filologica più attenta, però, queste opere sono risultate quasi tutte apocrife e scritte anche parecchi decenni dopo la morte del Doctor Angelicus. Tuttavia non mancano in assoluto dei riferimenti all'Alchimia nei testi (autentici) di San Tommaso. Nella Summa Theologiae egli infatti si pone la seguente questione: è lecito vendere l'oro che è stato ricavato mediante un processo alchemico? L'Aquinate risponde di sì, ma alla sola condizione che l'oro così ricavato abbia esattamente le stesse caratteristiche qualitative dell'oro normale: "Se però con l'alchimia si ricavasse dell'oro vero non sarebbe illecito venderlo" (3). Nell'opera In IV Meteorologicorum expositio (in una parte del testo che però alcuni non attribuiscono a S. Tommaso, ma ad un altro frate domenicano rimasto anonimo) si può leggere: "gli stessi alchimisti, per mezzo dell'autentica arte dell'Alchimia (arte che tuttavia è difficile a causa delle occulte operazioni della virtù celeste chiamata minerale; e queste operazioni, proprio perché sono occulte, difficilmente possono essere imitate da noi per mezzo dei suddetti principi o di ciò che si origina da essi) ottengono talvolta un'autentica generazione dei metalli per mezzo di un'appropriata applicazione del calore, che è l'agente naturale."
Tuttavia nel 1317 l'Alchimia fu duramente condannata da papa Giovanni XXII, con la bollaSpondent pariter. Questa bolla prevedeva pene pecuniarie per i laici che praticavano l'Alchimia; i sacerdoti rei dello stesso crimine avrebbero inoltre perso "i privilegi dell'abito". A dire il vero però sembra che il documento si scagliasse soprattutto contro gli alchimisti che "promettono ciò che non possono dare", contro le truffe e le contraffazioni delle monete. Non si può poi fare a meno di notare come questa condanna sia stata emanata solo qualche anno dopo la fine dell'ordine dei cavalieri Templari... Come se, in quel periodo, l'occidente cristiano avesse voluto tagliare tutti i legami con gli aspetti più "iniziatici" della tradizione. Ma, comunque sia, Roma ha parlato e la causa è finita.

Articolo di Josephuss (http://http://josephussblog.blogspot.it)

----------
Note:

(1) Benedetto Varchi, Questione sull'alchimia, 1544

(2) Alberto Magno, De quindecim problematibus, XIII

(3) Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, II-II, Quaestio 77, art. 2

lunedì 17 settembre 2012

I TEMPLARI E LA DUPLICE GUERRA

"Così dunque, per una singolare ed ammirabile combinazione sono, a vedersi, più miti degli agnelli e feroci dei leoni, a tal punto che esito se sia meglio chiamarli monaci o piuttosto cavalieri. Ma, forse, potrei chiamarli più esattamente in entrambi i modi, poiché ad essi non manca né la dolcezza del monaco né la fermezza del cavaliere."
San Bernardo di Chiaravalle, De laude novae militiae

Già a partire dall’anno 1128 l'Ordine dei cavalieri Templari si costituì con una particolare caratteristica: i suoi appartenenti erano infatti, al tempo stesso, sia monaci che guerrieri. Anche questo fatto permise ai Poveri Fratelli di essere ampiamente accettati all’interno della Chiesa, cosa che non sempre avvenne con tutti gli altri cavalieri. San Bernardo, che all’epoca era abate di Chiaravalle, oltre alla regola dell’Ordine scrisse per esso un particolare “Elogio della nuova cavalleria”. Qui venivano lodati i Templari per la loro religiosità, che li distingueva da tutt’altro genere di cavalleria: una cavalleria profana, che non aveva nulla a che fare con i valori cristiani, e che era composta per lo più da delinquenti in cerca di beni materiali e gloria terrena. San Beranrdo scriveva, facendo un gioco di parole, che questa “cavalleria secolare” in realtà non era una milizia ma una malizia....e che questi "cavalieri" non militavano affatto per Dio, ma per il diavolo. I Templari, al contrario, erano un ordine religioso, combattevano per la loro fede e per la gloria di Dio, non per conquistare una fama personale. Ma c'è dell'altro. I Templari erano nettamente superiori a tutti gli altri cavalieri perché la guerra che combattevano era in realtà da intendersi in senso duplice, proprio perché duplice era la natura stessa dell'Ordine: guerriera e monastica. Infatti esisteva una guerra esteriore, combattuta con la spada contro gli infedeli; ma questa guerra andava considerata quasi come una manifestazione di un'altro tipo di "guerra", ben più importante della prima, e che si svolgeva nell'interiorità. Una guerra combattuta contro le passioni, contro i "demoni", e, in generale, contro gli elementi che allontanavano da Dio. Lo stesso San Bernardo scriveva riferendosi ai Templari: "Essi combattono una duplice battaglia, sia contro la carne e il sangue, sia contro gli spiriti maligni del mondo invisibile". Se l’armatura esterna, utilizzata per difendersi dai colpi del nemico, era fatta di metallo, l’armatura “interna” era invece costituita dalla Fede del cavaliere: “Quando giunge la battaglia essi si armano dentro con la fede e fuori col ferro”.

Si ringrazia per l'articolo http://josephussblog.blogspot.it

RE ARTU' IN SICILIA

Secondo una leggenda medievale, a noi giunta in versioni differenti, re Artù non riposerebbe nella mitica isola di Avalon, ma vivrebbe nascosto in Sicilia, e più precisamente all’interno dell’Etna. Il primo scrittore a riferirci questa leggenda è Gervasio da Tilbury (1155-1234), il quale narra che, un giorno, il cavallo del vescovo di Catania fuggì al palafreniere che lo aveva in custodia. Il ragazzo cominciò a cercarlo in lungo e in largo, giungendo così sulla sommità dell’Etna; all’interno del vulcano trovò uno stretto sentiero, che lo condusse “ad una campagna assai spaziosa e gioconda, e piena d’ogni delizia; e qui, in un palazzo di mirabile fattura, trovò Artù adagiato sopra un letto regale”. Il re, saputo il motivo per cui il palafreniere era giunto fin lì, gli fece portare il cavallo perché lo restituisse al vescovo; inoltre gli raccontò che molti anni prima aveva combattuto una violenta battaglia contro il nipote Mordred e che, essendo stato ferito, si era rifugiato in Sicilia. Abbastanza simile (anche se con qualche variazione) è la versione esposta dall’abate Cesario di Heisterbach. Si può ritrovare un riferimento a questa leggenda anche in una poesia siciliana del XIII secolo (riportata da Arturo Graf), nella quale due cavalieri dicono esplicitamente che Artù potrebbe trovarsi all'interno dell'Etna. 


"Cavalieri siamo di Bretagna 


Ke vengnamo de la montagna,
ke ll'omo apella Mongibello [l'Etna]. 
Assai vi semo stati ad ostello 
per apparare ed invenire
la veritade di nostro sire,
lo re Artù k'avemo perduto
e non sapemo ke sia venuto.
Or ne torniamo in nostra terra
Ne lo reame d'Inghilterra."

Questi racconti possono apparire decisamente strani, e in effetti stupisce un po' vedere come un personaggio appartenente al ciclo bretone e così "nordico" come Artù, venga catapultato nella calda terra di Trinacria. Ma stupisce ancor di più che questo re, che tradizionalmente viene presentato come "solare", positivo, e la cui storia è legata addirittura al santo Graal, sia collocato all'interno di un vulcano. Infatti molte leggende antiche consideravano i vulcani come delle "bocche" spalancate verso l'inferno, anche perché, nel medioevo cristiano, il fuoco e lo zolfoche i crateri sprigionano dovevano richiamare alla mente il fuoco che non si estingue dellaGeenna, o lo stagno di fuoco e zolfo dove, secondo l'Apocalisse (Ap. 20:10), viene gettato il diavolo assieme alla bestia e al falso profeta. Insomma, le colate laviche, le grandi fiammate, le esplosioni e le esalazioni tossiche, da un punto di vista simbolico, possono essere ben associate all'"inferno", luogo dove non ci aspetteremmo di trovare Artù.

Non bisogna però dimenticare che, se l'Etna nel suo aspetto malefico è un vulcano, nel suo aspetto positivo è in realtà un monte (alto oltre 3300 metri!), tanto che gli stessi abitanti di Catania, in dialetto, lo chiamano proprio a Muntagna (la montagna). Secondo il poeta greco Pindaro questa montagna era addirittura "la colonna del Cielo", ed è chiaro che qui si riferiva al suo aspetto "benefico". Inoltre, tornando alla leggenda di partenza, si può notare anche che l'interno dell'Etna viene descritto come un luogo accogliente, ricco e felice (una campagna assai spaziosa e gioconda, e piena d’ogni delizia), tutt'altro che infernale. Questa descrizione si addice perfettamente pure a molti altri luoghi simbolici, come il Regno del Prete Gianni e il Paradiso Terrestre (che non a caso, secondo la visione di Dante, si trova in cima al monte del Purgatorio) o le "Isole Fortunate". Se rimaniamo fedeli al mito, senza cercare quindi di identificare l'isola di Avalon con una determinata località, possiamo dire che anche quest'ultimo luogo ha le stesse caratteristiche di "inaccessibilità" (o accessibilità per pochi), e di prosperità. Si dice ad esempio che l'isola sia circondata da altissime onde impraticabili, oltre che da una fittissima nebbia, e che al suo interno ci siano alberi dai frutti dorati e fiumi di vino. Il misterioso e simbolico paese nascosto dentro all'Etna funge allora da equivalente di Avalon, e gli elementi simbolici ci suggeriscono come questa equivalenza sia lecita, non arbitraria. Con buona pace degli inglesi, qualcosa di "arturiano"  forse lo abbiamo anche noi italiani.

Si ringrazia per l'articolo http://josephussblog.blogspot.it

SULL'ORIENTAZIONE RITUALE

Nel cristianesimo, fin dai primi secoli, ha sempre avuto una grandissima importanza quella che può essere chiamata "l'orientazione rituale", cioè la "direzione" verso la quale i fedeli si rivolgevano per pregare e per partecipare ai riti sacri. Come è noto, le chiese di epoca Medioevale erano orientate nella direzione Est-Ovest, e avevano sempre l'abside rivolta verso Est. Chiaramente la motivazione di questo orientamento è prima di tutto di carattere simbolico: ad Est infatti sorge il Sole, la cui luce ("visibile") può essere considerata un simbolo della luce "invisibile" e spirituale. Inoltre, come scrive Jean Hani ne Il simbolismo del Tempio cristiano, questa disposizione fa sì che la porta principale d'ingresso sia situata ad Ovest, a ponente, "nel punto di minore luminosità, che simboleggia il mondo profano o, ancora, la regione dei morti. Entrando verso la porta e avanzando verso il santuario si va incontro alla luce; è una marcia sacrale [...] come un cammino che rappresenta la  «via di salvezza» che conduce verso la «regione dei vivi», «la città dei santi» dove brilla il sole divinino". Bisogna tener presente anche che tradizionalmente ad Oriente viene sempre posto il Paradiso terrestre, luogo sia materiale che spirituale al quale, grazie a questa orientazione, ci si ricollega simbolicamente. Anche San Tommaso dice che uno dei motivi per cui "noi adoriamo verso Oriente" è che stando ai Settanta, il Paradiso terrestre era collocato ad Oriente, come se cercassimo di ritornarvi con la preghiera (Summa Theoligiae II - II, quaestio 84, art. 3). Sempre San Tommaso spiega inoltre che il Paradiso terrestre viene collocato ad Oriente perché questa è tradizionalmente la parte più nobile del mondo: "Essendo l'Oriente la parte destra del Cielo, come scrive il Filosofo, ed essendo la destra più nobile della sinistra, era conveniente che il Paradiso terrestre fosse collocato nella parte orientale" (Summa Theologiae, I, quaestio 102, art. 1). Si può notare ancora che Cristo stesso, che è "la luce del mondo", è chiamato dal profeta Zaccaria "Oriente", e sempre da Oriente è atteso il suo ritorno. E se in quest'ottica l'Oriente ha un'accezione positiva, l'Occidente diviene inevitabilmente la "parte oscura". Non è certo un caso dunque se, secondo le interpretazioni più tradizionali di alcuni testi antichi, è ad Occidente - e più precisamente nel continente Atlantideo - che apparve per la prima volta la "contro-iniziazione". Non sarebbe nemmeno un caso il fatto che il Paese che può essere considerato "il più occidentale di tutti" - gli Stati Uniti d'America - sia anche quello che è nato senza una tradizione sacra... ed anzi è il luogo dove, più di ogni altro, si sono diffusi i più grandi abomini pseudo-spirituali.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...