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lunedì 22 dicembre 2014

ERASMO DA NARNI DETTO "GATTAMELATA"

Una grande figura come quella del condottiero Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, evoca immediatamente il celebre monumento di Donatello sul piazzale della Basilica a Padova e l’altrettanto famoso ritratto del Giorgione oggi agli Uffizi che ricorda la Serenissima Repubblica di Venezia che lo volle come Capitano generale, e che gelosamente custodì la sua armatura fatta di 134 pezzi alta 206 centimetri per 122 di torace e settantaquattro di spalle, pesante quarantanove chili e il suo bastone di comando, nel palazzo ducale.

Erasmo da Narni nacque nel 1370 nella omonima cittadina di Narni, in Umbria: il condottiero passato alla storia con l’alquanto curioso soprannome di Gattamelata, potrebbe indurci a pensare ad un personaggio infido e malfidato come era prassi dei soldati mercenari del XV secolo. Questo nomignolo, in realtà, venne fuori dalla deformazione di un’assonanza, perché era figlio di Maria Gattelli e di un fornaio che, tra l’altro non gli perdonò mai di aver scelto la carriera militare. Secondo il biografo Giovanni Eroli, invece, gli venne attribuito il nomignolo di Gattamelata per la "dolcezza dè suoi modi congiunta a grande furberia, di cui giovossi molto in guerra a uccellare e corre in agguato i mal cauti nemici e pel suo parlare accorto e mite dolce e soave”. Secondo studi recenti quest’appellativo potrebbe derivare dal cimiero che il condottiero indossava durante le battaglie che aveva la forma di una gatta color del miele. Erasmo esordì nella vita militare sotto Ceccolo Broglia e in seguito al servizio di Braccio da Montone al servizio prima di Firenze e poi di Venezia, cui rimase sempre fedele. Partecipò ad importanti azioni quali la repressione della Rivolta di Bologna contro i Canedoli, in qualità di emissario di Filippo Maria Visconti, e alla grande campagna nella Lombardia orientale e nel Veneto (1437-1439). In questa campagna il Gattamelata attuò un'abile tattica difensiva, che si concluse con la riconquista di Verona nel 1439. Il suo carattere tranquillo piacque molto al pontefice Martino V, che lo prese e al suo servizio nel 1427, per ripulire l'Umbria, l'Emilia e la Romagna dai signorotti troppo irrequieti nel suo tentativo di recuperare le terre sottratte al dominio della Chiesa durante lo scisma. Le tormentate vicende di quegli anni si finirono definitivamente nella battaglia dell'Aquila del giugno 1424. I Bracceschi, alleati di Alfonso d'Aragona, assediavano la città, e contro di essi si mossero prima Muzio Attendolo Sforza e poi il figlio Francesco, sempre per conto di Giovanna II. Prima dello scontro decisivo Braccio, il 25 maggio, pensò di dividere le proprie forze in quindici squadre, una delle quali era affidata a Erasmo che convocò in consiglio tutti i suoi ufficiali. La tradizione vuole che proprio il non aver ascoltato il parere di Erasmo fu fatale al condottiero perugino, che rifiutò la proposta di assaltare subito gli alloggiamenti dei nemici e di sorvegliare le alture circostanti, la città per evitarne l'imminente rafforzamento. Braccio volle attendere invece lo scontro in campo aperto che gli fu poi fatale: vi trovò, infatti, la morte, mentre il Gattamelata fuggiva assieme a Niccolò Piccinino dalla parte di Ocre.Sempre col Piccinino, e con Oddo, figlio di Braccio, Erasmo riunì le restanti compagnie braccesche e le condusse al servizio di Firenze, impegnata contro il duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Il sodalizio fu breve: morto Oddo, e mutato fronte il Piccinino (suo acerrimo rivale), E. accettò direttamente la condotta nell'esercito di Niccolò della Stella, capitano generale della Repubblica fiorentina. Il quasi sessantenne Gattamelata portò con sé l'amico Brandolino Brandolini di Bagnocavallo, iniziando un’attività che durò sette anni e che non presentò particolari pericoli. Al nuovo papa Eugenio IV però un condottiero così non va; per la marca d'Ancona scorrazza Francesco Sforza, dalla Romagna cala Niccolò Piccinino, e in Umbria c'è Niccolò della Stella, il pontefice scappa in Toscana e non paga le milizie del Gattamelata, lo farà di contro Venezia, alla quale piace il suo temperamento tranquillo. Nel 1430, nella nuova guerra contro il Visconti, all'abbandono del comando da parte del Gonzaga, Venezia affidò al Gattamelata il comando unico, la grande dote di questo condottiero giunto in tarda età al comando supremo, fu quella di non avere ambizioni politiche, e di essere fedele allo stato in cui serve. Da Brescia tentò delle sortite per superare l'accerchiamento cui era sottoposto dal Piccinino, per arrivare a Verona, non ci riuscì ma nel settembre del 1438 circumnavigando il Garda e arrivando a Rovereto. Il Gattamelata ebbe subito però il problema di foraggiare la città assediata: e fu allora che il condottiero ebbe l’idea di far risalire l'Adige a cinque triremi e venticinque barche, caricandoli sui muli e facendoli arrivare a Rovereto. Con l'ingaggio di Francesco Sforza nei primi mesi del 1439, le cose per Venezia migliorarono anche perché nell'inverno del 1439 il Gattamelata fu colpito da due attacchi di apoplessia sul lago di Garda, con un burchiello il settantenne capitano fu portato a Verona. Migliorò ma non poté più combattere e, infatti, la Serenissima gli tolse il comando generale. Visse gli ultimi anni in modo tranquillo percependo il soldo della condotta sebbene sia stato in seguito chiamato a far parte della nobiltà veneta, con privilegi e poteri dei nobili. Alla fine del 1442 si ritirò a Padova, dove morì il 16 gennaio 1443 e venne sepolto nella basilica del Santo con solenni funerali di stato, alla presenza del doge.

Articolo di Roberta Fameli. Tutti i diritti riservati.



BIBLIOGRAFIA
  • * Joachim Poeschke, Reiterbilder und Wertesymbolik in der Frührenaissance – Zum Gattamelata-Monument Donatellos, in: Joachim Poeschke, Thomas Weigel, Britta Kusch-Arnhold (Hgg.), Praemium Virtutis III – Reiterstandbilder von der Antike bis zum Klassizismus. Rhema-Verlag, Münster 2008, ISBN 978-3-930454-59-4
  • * Raphael Beuing: Reiterbilder der Frührenaissance – Monument und Memoria. Rhema-Verlag, Münster 2010, ISBN 978-3-930454-88-4
  • * Atti del convegno: "La chiesa di Santa Maria Maggiore e i domenicani a Narni" Narni 2010, Morphema Editrice

mercoledì 6 agosto 2014

GIOTTO: BIOGRAFIA ED OPERE PIU' IMPORTANTI


Giotto di Bondone è stato uno dei più celebri pittori e architetti del Medioevo anche se, in realtà, conosciamo ben poco della sua vita e della sua formazione che da sempre è stata oggetto di discussione tra gli studiosi. Secondo molti esperti la sua data di nascita è da collocarsi intorno al 1267  come sostiene il Puccinella verseggiatura che fece della "Cronica" di Giovanni Villani secondo altri, invece, la sua data di nascita è collocabile nel 1276, secondo la cronologia che ne offrì il Vasari, nella biografia dedicata all'artista. Tuttavia la data fornita dal Vasari è da ritenersi  inattendibile qualora si dia  per certo che Giotto aveva  almeno vent’anni nel  1290, cioè nel momento in cui ha iniziato i lavori nella Basilica Superiore di San Francescod’Assisi.Nacque a Colle di Vespignano, attualmente Vicchio nel Mugello da una famiglia di contadini che, come molte altre, si era trasferita  a Firenze e  aveva affidato il figlio alla bottega del  pittore Cenni di Pepi, detto Cimabue, iscritto alla corporazione dell’Arte della Lana.Fin da bambino Giotto dimostrò una forte inclinazione per l’arte che il padre intuì osservando alcune pecore ritratte dal figlio.Il Vasari, invece, racconta come Giotto fosse capace di disegnare una perfetta circonferenza senza bisogno del compasso, la famosa "O" di Giotto. Altrettanto leggendario è l'episodio di uno scherzo fatto da Giotto a Cimabue dipingendo su una tavola una mosca: essa era così realistica che Cimabue tornato a lavorare sulla tavola cercasse di scacciarla. A quel punto Cimabue gli disse che aveva superato lui medesimo e poteva aprire bottega anche da solo. In realtà, sul fatto che Cimabue sia stato effettivamente maestro di Giotto ci sono ben pochi indizi. Dal punto di vista artistico le opere di Giotto segnarono un punto fondamentale per lo sviluppo dell’arte italiana ed europea visto che lo stile bidimensionale, tipico dell’arte bizantina, è abbandonato a favore della tridimensionalità. La prima tavola dipinta da Giotto è la Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa (Firenze, oggi al Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte). Per altri studiosi, invece, quest’opera sarebbe successiva al cantiere di Assisi ed anche alla Croce di Santa Maria NovellaLa novità del linguaggio iconografico di questa tavola  si può comprendere meglio facendo un confronto con gli esempi fiorentini che lo avevano preceduto, come il Coppo di Marcovaldo e Cimabue.L’artista, che possiamo annoverare,tra i precursori del Rinascimento, realizzò nel corso della sua vita“grandi cicli pittorici”. Tra il 1288 e il 1292, per esempio,dipinse nella Basilica superiore di Assisi gli affreschi “Storie dell'Antico Testamento”, e le “Storie del Nuovo Testamento”nei quali si possono notare influssi bizantini e del maestro Cimabue. Nel 1297,  Giotto realizzò gli affreschi della Cappella di San Nicola nella Basilica Inferiore con l' Annunciazione sulla parete d'ingresso e le due scene dei Miracoli post mortem di San Francesco e della Morte e Resurrezione del Fanciullo di Suessa, che mostrano  affinità tecniche ed esecutive con la Cappella degli Scrovegni mentre si differenziano dal ciclo Francescano.
Il primo capolavoro fiorentino è la grande Croce di Santa Maria Novella, citata in un documento del 1312 da Ricuccio di Puccio del Mugnaio e anche dal Ghiberti nella quale notiamo una nuova sensibilità religiosa che restituisce al Cristo la sua dimensione terrena. Solo l'aureola ci ricorda la sua natura divina, ma mostra le sembianze di un uomo umile e sofferente, con il quale l'osservatore potesse immedesimarsi.Fino al 1300 c'è un vuoto di alcuni anni nella produzione di Giotto, secondo  alcuni critici  potrebbe dipendere dal fatto che fosse stato chiamato a Roma dal Papa in occasione del giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII.Dopo il 1300 dipinse il Polittico di Badia (Galleria degli Uffizi) e, in virtù della fama diffusa in tutta l'Italia, venne chiamato a lavorare a Rimini e Padova.L'attività riminese si attesta intorno al 1299:a Rimini, dove rimane solo Crocifisso del Tempio Malatestiano,ebbe inizio, infatti, la diffusione del linguaggio giottesco che influenzò profondamente le scuole pittoriche regionali.  Del soggiorno padovano sono perduti gli affreschi della Basilica di Sant'Antonio e del Palazzo della Ragione che furono però realizzati in un secondo soggiorno. Gli affreschi superstiti della Basilica di Sant'Antonio (Stigmate di San Francesco, Martirio di Francescani a Ceuta, Crocifissione e Teste di Profeti) sono, per quel poco che è possibile intuire, frutto del lavoro dei collaboratori.
Gli affreschi perduti del Palazzo della Ragione (commissionati da Pietro d'Abano), terminati nel 1309, sono citati in un libello del 1340, la Visio Aegidii Regis Patavi del notaio Giovanni da Nono, che li descrive entusiasticamente, sostenendo  che il soggetto astrologico del ciclo pittorico era tratto dal Lucidator, un testo molto diffuso nel XIV secolo che spiegava i temperamenti umani in funzione degli influssi degli astri. Resta invece intatto il ciclo di affreschi con “Storie di Anna e Gioacchino, di Maria”di “Gesù, Allegorie dei Vizi e delle Virtù” e “ Giudizio Universale della Cappella di Enrico Scrovegni dipinta tra il 1303 e il 1305. Il ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura e un metro di paragone per le opere di dubbia attribuzione.Giotto dipinse l'intera superficie con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirato da un teologo agostiniano di raffinata competenza, recentemente identificato in Alberto da Padova. Nella cappella, la pittura di Giotto dimostrò una piena maturità espressiva. Le figure sono solide e voluminose e rese ancora più decise dalle variazioni cromatiche.Nel Museo civico di Padova è conservata una Croce dipinta proveniente dall'altare della Cappella degli Scrovegni, raffinatissima per la ricchezza decorativa dei colori smaltati oltre che per il realismo nella figura del Cristo e nell'atteggiamento sofferente di Maria e di San Giovanni nelle pale  laterali.Tra il 1306 ed il 1311 fu di nuovo ad Assisi per eseguire gli affreschi della zona del transetto della Basilica inferiore che comprendono: le “Storie dell'infanzia di Cristo, le “Allegorie francescane sulle vele”, e la “Cappella della Maddalena. In realtà la mano del maestro è quasi assente a causa delle numerose commissioni. La storia è tratta dalla Legenda aurea di Jacopo da Varazze.Le Allegorie francescane occupano le vele della volta del transetto: Povertà, Castità, Obbedienza, la Gloria di San Francesco e le scene del ciclo della Vita di Cristo sono disposte lungo le pareti e le volte del transetto destro
Dal 1328 fino al 1333 i D’Angiò di Napoli affidarono a Giotto l’esecuzione di alcune opere tra le quali la “Morte della Vergine” nella Chiesa di San Lorenzo, e opere ormai perdute in Castel nuovo e a Santa Chiara. Alcuni documenti del 1334 attestano il ritorno a Firenze questa volta in veste di architetto, al quale gli sono affidati da parte dei dodici Probiviri di del Comune di Firenze la progettazione e la direzione di tutte le opere architettoniche della città, tra le quali il progetto del campanile del Duomo di Santa Maria del Fiore. Prima della morte fu incaricato dai Visconti di Milano di eseguire alcune opere oggi perdute. L’ultima opera fiorentina terminata dagli aiuti è la Cappella del Podestà del Bargello, dove è presente un ciclo di affreschi, oggi in cattivo stato di conservazione, che raffigura Storie della Maddalena e Il Giudizio Universale.

Morì a Firenze nel 1337.

Articolo di Roberta Fameli. Tutti i diritti riservati

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