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giovedì 18 aprile 2019

LA STRANA STORIA DI VICEDOMINO, "PAPA PER UN SOLO GIORNO"


Il Cardinale Vicedomini è famoso per essere stato, probabilmente, "papa per un solo giorno". Sembra infatti che sia morte poche ore dopo la sua nomina. Secondo alcuni studiosi che avallano questa bizzarra teoria, il 5 settembre 1276, Vicedomini che già soffriva di una fortissima febbre accettò la sua elezione assumendo come nome pontificale Gregorio XI in onore dello zio. Tuttavia morì il giorno dopo senza che la sua elezione fosse ufficializzata. Secondo una seconda teoria, Vicedomini si sarebbe preso una notte per riflettere ma poi morì senza fare a tempo a sciogliere la riserva. Il racconto appena fatto è solamente una teoria non essendoci documenti della Chiesa che possano testimoniare ufficialmente il fatto. Tuttavia, se ci si vuole fermare in preghiera dinanzi a Vicedomini, basta recarsi nella Basilica di San Francesco alla Rocca a Viterbo in pieno centro storico.

lunedì 22 febbraio 2016

LA VIA JUBICA


Questa antica e millenaria strada, detta anche Chiubbica, è stata una strada di pellegrinaggio. Le fanno da mirabile cornice lungo il suo percorso bellezze monumentali, oltre che paesaggistiche, che narrano della sua storia: torri, chiese, castelli, borghi cinti di mura; tutti ben conservati emanano un fascino ammaliante.  

Le origini della via Jubica

La Jubica era una strada consolare il cui tracciato risale al I secolo a.C. e il suo etmo, come appare immediatamente, è di origine ebraica. Il termine Jobel indica il corno di montone (ariete) che veniva suonato per annunciare una solenne festa del popolo d’Israele, da tale termine sarebbe derivato Giubileo; secondo altre tesi il termine sarebbe Jobil che indica il richiamo come atto del tornare o ritornare come conversione; oppure il termine Jobal inteso come remissione dei peccati, mentre nella lingua latina il termine Jubilum che significa gioia: quindi nell’estensione cristiana Giubileo è anche un anno gioioso.

La via Jubica dal Primo Giubileo in poi

Così dal primo Giubileo della Chiesa Cattolica del 1300, indetto da Papa Bonifacio VIII, fino a quando Papa Sisto V fissò l’apertura dei festeggiamenti per l’anno Jubilare o Jubicale ogni venticinque anni. La via Jubica si snoda lungo la costa,  parallela al mare, fino a giungere e collegarsi con la via Appia e attraversando l’Appennino arrivare a Roma. La sua importanza per i pellegrini emerge evidente così che dal 1300 fu la via da percorrere per conseguire l’indulgenza plenaria.

Tale via consolare era usata un tempo come strada militare che consentiva lo spostamento di centurie in marcia e il transito di carri e macchine belliche oltre naturalmente dalla cavalleria. In seguito alla smilitarizzazione, l’uso della via Jubica per recarsi a Roma iniziò già dal periodo che segnò la fine delle persecuzioni dei cristiani. 

È tra le vie più antiche d’Europa, è documentata da testimonianze storiche e geografiche come la Tavola Antoniana e la Tavola Peutingeriana che riportano tutti i luoghi di posta, le stazioni termali e che rappresentano documenti che sono stati preziosi sia per la penetrazione militare che per la viabilità ad uso dei viaggiatori.

Come accennavamo la Jubica è una via costellata da tesori d’arte molti palesi altrettanti nascosti e ancora da scoprire e tutti ancora da valorizzare. Questo tracciato cui si innestano altre strade anche esse ricche di Santuari, di Cappelle, di Ricoveri, di Romitori, tutti luoghi idonei per ritemprare i pellegrini che percorrevano lunghe distanze.

Dove si trova la via Jubica?

Dove si trova la via Jubica o Chiubbica dato che essa non è riportata né citata neppure dalle più importanti enciclopedie? La via Jubica è quel tracciato che parte da Reggio Calabria e giunge fino a Taranto, nota ai più come Strada Statale 106 Jonica e che attraversa le città e i borghi più antichi e belli della Calabria. Purtroppo, divenuta inadeguata per il traffico notevole che si è sviluppato dal secondo dopo guerra, così da “meritarsi” il non poco lusinghiera appellativo di Strada della morte a causa dei frequenti e mortali incidenti stradali. 

Guardare al passato, per rivalutare l’antico e l’antichità, non come nostalgia di vecchia e tramontata gloria bensì come recupero di un passato, che ha ancora molto da offrire attraverso la riqualificazione e il godimento, di un itinerario che ha rappresentato il cammino dei cristiani nella storia.

Articolo di Antonio Fotia. Tutti i diritti riservati.

sabato 13 febbraio 2016

DICHIARAZIONE DI PAPA FRANCESCO E DEL PATRIARCA KIRILL


Riportiamo il testo della dichiarazione congiunta di papa Francesco e del patriarca di Mosca Kirill. Il testo, di enorme importanza storica potrebbe essere la degna conclusione di un periodo fortemente scismatico iniziato nel lontano 1054 in occasione del Grande Scisma. Anche se il documento non rappresenta un definitivo riavvicinamento è sicuramente un passo importantissimo in vista di un riavvicinamento delle due confessioni cristiane.

«La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13).

1. Per volontà di Dio Padre dal quale viene ogni dono, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, e con l’aiuto dello Spirito Santo Consolatore, noi, Papa Francesco e Kirill, Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, ci siamo incontrati oggi a L’Avana. Rendiamo grazie a Dio, glorificato nella Trinità, per questo incontro, il primo nella storia.
Con gioia ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per «parlare a viva voce» (2 Gv 12), da cuore a cuore, e discutere dei rapporti reciproci tra le Chiese, dei problemi essenziali dei nostri fedeli e delle prospettive di sviluppo della civiltà umana.

2. Il nostro incontro fraterno ha avuto luogo a Cuba, all’incrocio tra Nord e Sud, tra Est e Ovest. Da questa isola, simbolo delle speranze del “Nuovo Mondo” e degli eventi drammatici della storia del XX secolo, rivolgiamo la nostra parola a tutti i popoli dell’America Latina e degli altri Continenti.
Ci rallegriamo che la fede cristiana stia crescendo qui in modo dinamico. Il potente potenziale religioso dell’America Latina, la sua secolare tradizione cristiana, realizzata nell’esperienza personale di milioni di persone, sono la garanzia di un grande futuro per questa regione.

3. Incontrandoci lontano dalle antiche contese del “Vecchio Mondo”, sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3, 15).

4. Rendiamo grazie a Dio per i doni ricevuti dalla venuta nel mondo del suo unico Figlio. Condividiamo la comune Tradizione spirituale del primo millennio del cristianesimo. I testimoni di questa Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”.

5. Nonostante questa Tradizione comune dei primi dieci secoli, cattolici e ortodossi, da quasi mille anni, sono privati della comunione nell’Eucaristia. Siamo divisi da ferite causate da conflitti di un passato lontano o recente, da divergenze, ereditate dai nostri antenati, nella comprensione e l’esplicitazione della nostra fede in Dio, uno in tre Persone – Padre, Figlio e Spirito Santo. Deploriamo la perdita dell’unità, conseguenza della debolezza umana e del peccato, accaduta nonostante la Preghiera sacerdotale di Cristo Salvatore: «Perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola» (Gv 17, 21).

6. Consapevoli della permanenza di numerosi ostacoli, ci auguriamo che il nostro incontro possa contribuire al ristabilimento di questa unità voluta da Dio, per la quale Cristo ha pregato. Possa il nostro incontro ispirare i cristiani di tutto il mondo a pregare il Signore con rinnovato fervore per la piena unità di tutti i suoi discepoli. In un mondo che attende da noi non solo parole ma gesti concreti, possa questo incontro essere un segno di speranza per tutti gli uomini di buona volontà!

7. Nella nostra determinazione a compiere tutto ciò che è necessario per superare le divergenze storiche che abbiamo ereditato, vogliamo unire i nostri sforzi per testimoniare il Vangelo di Cristo e il patrimonio comune della Chiesa del primo millennio, rispondendo insieme alle sfide del mondo contemporaneo. Ortodossi e cattolici devono imparare a dare una concorde testimonianza alla verità in ambiti in cui questo è possibile e necessario. La civiltà umana è entrata in un periodo di cambiamento epocale. La nostra coscienza cristiana e la nostra responsabilità pastorale non ci autorizzano a restare inerti di fronte alle sfide che richiedono una risposta comune.

8. Il nostro sguardo si rivolge in primo luogo verso le regioni del mondo dove i cristiani sono vittime di persecuzione. In molti paesi del Medio Oriente e del Nord Africa i nostri fratelli e sorelle in Cristo vengono sterminati per famiglie, villaggi e città intere. Le loro chiese sono devastate e saccheggiate barbaramente, i loro oggetti sacri profanati, i loro monumenti distrutti. In Siria, in Iraq e in altri paesi del Medio Oriente, constatiamo con dolore l’esodo massiccio dei cristiani dalla terra dalla quale cominciò a diffondersi la nostra fede e dove essi hanno vissuto, fin dai tempi degli apostoli, insieme ad altre comunità religiose.

9. Chiediamo alla comunità internazionale di agire urgentemente per prevenire l’ulteriore espulsione dei cristiani dal Medio Oriente. Nell’elevare la voce in difesa dei cristiani perseguitati, desideriamo esprimere la nostra compassione per le sofferenze subite dai fedeli di altre tradizioni religiose diventati anch’essi vittime della guerra civile, del caos e della violenza terroristica.

10. In Siria e in Iraq la violenza ha già causato migliaia di vittime, lasciando milioni di persone senza tetto né risorse. Esortiamo la comunità internazionale ad unirsi per porre fine alla violenza e al terrorismo e, nello stesso tempo, a contribuire attraverso il dialogo ad un rapido ristabilimento della pace civile. È essenziale assicurare un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei paesi confinanti.
Chiediamo a tutti coloro che possono influire sul destino delle persone rapite, fra cui i Metropoliti di Aleppo, Paolo e Giovanni Ibrahim, sequestrati nel mese di aprile del 2013, di fare tutto ciò che è necessario per la loro rapida liberazione.

11. Eleviamo le nostre preghiere a Cristo, il Salvatore del mondo, per il ristabilimento della pace in Medio Oriente che è “il frutto della giustizia” (cfr Is 32, 17), affinché si rafforzi la convivenza fraterna tra le varie popolazioni, le Chiese e le religioni che vi sono presenti, per il ritorno dei rifugiati nelle loro case, la guarigione dei feriti e il riposo dell’anima degli innocenti uccisi.
Ci rivolgiamo, con un fervido appello, a tutte le parti che possono essere coinvolte nei conflitti perché mostrino buona volontà e siedano al tavolo dei negoziati. Al contempo, è necessario che la comunità internazionale faccia ogni sforzo possibile per porre fine al terrorismo con l’aiuto di azioni comuni, congiunte e coordinate. Facciamo appello a tutti i paesi coinvolti nella lotta contro il terrorismo, affinché agiscano in maniera responsabile e prudente. Esortiamo tutti i cristiani e tutti i credenti in Dio a pregare con fervore il provvidente Creatore del mondo perché protegga il suo creato dalla distruzione e non permetta una nuova guerra mondiale. Affinché la pace sia durevole ed affidabile, sono necessari specifici sforzi volti a riscoprire i valori comuni che ci uniscono, fondati sul Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo.

12. Ci inchiniamo davanti al martirio di coloro che, a costo della propria vita, testimoniano la verità del Vangelo, preferendo la morte all’apostasia di Cristo. Crediamo che questi martiri del nostro tempo, appartenenti a varie Chiese, ma uniti da una comune sofferenza, sono un pegno dell’unità dei cristiani. È a voi, che soffrite per Cristo, che si rivolge la parola dell’apostolo: «Carissimi, … nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della Sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare» (1 Pt 4, 12-13).

13. In quest’epoca inquietante, il dialogo interreligioso è indispensabile. Le differenze nella comprensione delle verità religiose non devono impedire alle persone di fedi diverse di vivere nella pace e nell’armonia. Nelle circostanze attuali, i leader religiosi hanno la responsabilità particolare di educare i loro fedeli in uno spirito rispettoso delle convinzioni di coloro che appartengono ad altre tradizioni religiose. Sono assolutamente inaccettabili i tentativi di giustificare azioni criminali con slogan religiosi. Nessun crimine può essere commesso in nome di Dio, «perché Dio non è un Dio di disordine, ma di pace» (1 Cor 14, 33).

14. Nell’affermare l’alto valore della libertà religiosa, rendiamo grazie a Dio per il rinnovamento senza precedenti della fede cristiana che sta accadendo ora in Russia e in molti paesi dell’Europa orientale, dove i regimi atei hanno dominato per decenni. Oggi le catene dell’ateismo militante sono spezzate e in tanti luoghi i cristiani possono liberamente professare la loro fede. In un quarto di secolo, vi sono state costruite decine di migliaia di nuove chiese, e aperti centinaia di monasteri e scuole teologiche. Le comunità cristiane portano avanti un’importante attività caritativa e sociale, fornendo un’assistenza diversificata ai bisognosi. Ortodossi e cattolici spesso lavorano fianco a fianco. Essi attestano l’esistenza dei fondamenti spirituali comuni della convivenza umana, testimoniando i valori del Vangelo.

15. Allo stesso tempo, siamo preoccupati per la situazione in tanti paesi in cui i cristiani si scontrano sempre più frequentemente con una restrizione della libertà religiosa, del diritto di testimoniare le proprie convinzioni e la possibilità di vivere conformemente ad esse. In particolare, constatiamo che la trasformazione di alcuni paesi in società secolarizzate, estranee ad ogni riferimento a Dio ed alla sua verità, costituisce una grave minaccia per la libertà religiosa. È per noi fonte di inquietudine l’attuale limitazione dei diritti dei cristiani, se non addirittura la loro discriminazione, quando alcune forze politiche, guidate dall’ideologia di un secolarismo tante volte assai aggressivo, cercano di spingerli ai margini della vita pubblica.

16. Il processo di integrazione europea, iniziato dopo secoli di sanguinosi conflitti, è stato accolto da molti con speranza, come una garanzia di pace e di sicurezza. Tuttavia, invitiamo a rimanere vigili contro un’integrazione che non sarebbe rispettosa delle identità religiose. Pur rimanendo aperti al contributo di altre religioni alla nostra civiltà, siamo convinti che l’Europa debba restare fedele alle sue radici cristiane. Chiediamo ai cristiani dell’Europa orientale e occidentale di unirsi per testimoniare insieme Cristo e il Vangelo, in modo che l’Europa conservi la sua anima formata da duemila anni di tradizione cristiana.

17. Il nostro sguardo si rivolge alle persone che si trovano in situazioni di grande difficoltà, che vivono in condizioni di estremo bisogno e di povertà mentre crescono le ricchezze materiali dell’umanità. Non possiamo rimanere indifferenti alla sorte di milioni di migranti e di rifugiati che bussano alla porta dei paesi ricchi. Il consumo sfrenato, come si vede in alcuni paesi più sviluppati, sta esaurendo gradualmente le risorse del nostro pianeta. La crescente disuguaglianza nella distribuzione dei beni terreni aumenta il sentimento d’ingiustizia nei confronti del sistema di relazioni internazionali che si è stabilito.

18. Le Chiese cristiane sono chiamate a difendere le esigenze della giustizia, il rispetto per le tradizioni dei popoli e un’autentica solidarietà con tutti coloro che soffrono. Noi, cristiani, non dobbiamo dimenticare che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio» (1 Cor 1, 27-29).

19. La famiglia è il centro naturale della vita umana e della società. Siamo preoccupati dalla crisi della famiglia in molti paesi. Ortodossi e cattolici condividono la stessa concezione della famiglia e sono chiamati a testimoniare che essa è un cammino di santità, che testimonia la fedeltà degli sposi nelle loro relazioni reciproche, la loro apertura alla procreazione e all’educazione dei figli, la solidarietà tra le generazioni e il rispetto per i più deboli.

20. La famiglia si fonda sul matrimonio, atto libero e fedele di amore di un uomo e di una donna. È l’amore che sigilla la loro unione ed insegna loro ad accogliersi reciprocamente come dono. Il matrimonio è una scuola di amore e di fedeltà. Ci rammarichiamo che altre forme di convivenza siano ormai poste allo stesso livello di questa unione, mentre il concetto di paternità e di maternità come vocazione particolare dell’uomo e della donna nel matrimonio, santificato dalla tradizione biblica, viene estromesso dalla coscienza pubblica.

21. Chiediamo a tutti di rispettare il diritto inalienabile alla vita. Milioni di bambini sono privati della possibilità stessa di nascere nel mondo. La voce del sangue di bambini non nati grida verso Dio (cfr Gen 4, 10).
Lo sviluppo della cosiddetta eutanasia fa sì che le persone anziane e gli infermi inizino a sentirsi un peso eccessivo per le loro famiglie e la società in generale.
Siamo anche preoccupati dallo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, perché la manipolazione della vita umana è un attacco ai fondamenti dell’esistenza dell’uomo, creato ad immagine di Dio. Riteniamo che sia nostro dovere ricordare l’immutabilità dei principi morali cristiani, basati sul rispetto della dignità dell’uomo chiamato alla vita, secondo il disegno del Creatore.

22. Oggi, desideriamo rivolgerci in modo particolare ai giovani cristiani. Voi, giovani, avete come compito di non nascondere il talento sotto terra (cfr Mt 25, 25), ma di utilizzare tutte le capacità che Dio vi ha dato per confermare nel mondo le verità di Cristo, per incarnare nella vostra vita i comandamenti evangelici dell’amore di Dio e del prossimo. Non abbiate paura di andare controcorrente, difendendo la verità di Dio, alla quale odierne norme secolari sono lontane dal conformarsi sempre.

23. Dio vi ama e aspetta da ciascuno di voi che siate Suoi discepoli e apostoli. Siate la luce del mondo affinché coloro che vi circondano, vedendo le vostre opere buone, rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli (cfr Mt 5, 14, 16). Educate i vostri figli nella fede cristiana, trasmettete loro la perla preziosa della fede (cfr Mt 13, 46) che avete ricevuta dai vostri genitori ed antenati. Ricordate che «siete stati comprati a caro prezzo» (1 Cor 6, 20), al costo della morte in croce dell’Uomo-Dio Gesù Cristo.

24. Ortodossi e cattolici sono uniti non solo dalla comune Tradizione della Chiesa del primo millennio, ma anche dalla missione di predicare il Vangelo di Cristo nel mondo di oggi. Questa missione comporta il rispetto reciproco per i membri delle comunità cristiane ed esclude qualsiasi forma di proselitismo.
Non siamo concorrenti ma fratelli, e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore, e ad avere «gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti» (Rm 15, 5). Non si può quindi accettare l’uso di mezzi sleali per incitare i credenti a passare da una Chiesa ad un’altra, negando la loro libertà religiosa o le loro tradizioni. Siamo chiamati a mettere in pratica il precetto dell’apostolo Paolo: «Mi sono fatto un punto di onore di non annunziare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui» (Rm 15, 20).

25. Speriamo che il nostro incontro possa anche contribuire alla riconciliazione, là dove esistono tensioni tra greco-cattolici e ortodossi. Oggi è chiaro che il metodo dell’“uniatismo” del passato, inteso come unione di una comunità all’altra, staccandola dalla sua Chiesa, non è un modo che permette di ristabilire l’unità. Tuttavia, le comunità ecclesiali apparse in queste circostanze storiche hanno il diritto di esistere e di intraprendere tutto ciò che è necessario per soddisfare le esigenze spirituali dei loro fedeli, cercando nello stesso tempo di vivere in pace con i loro vicini. Ortodossi e greco-cattolici hanno bisogno di riconciliarsi e di trovare forme di convivenza reciprocamente accettabili.

26. Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica ed umanitaria. Invitiamo tutte le parti del conflitto alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per costruire la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale, ad astenersi dal partecipare allo scontro e a non sostenere un ulteriore sviluppo del conflitto.

27. Auspichiamo che lo scisma tra i fedeli ortodossi in Ucraina possa essere superato sulla base delle norme canoniche esistenti, che tutti i cristiani ortodossi dell’Ucraina vivano nella pace e nell’armonia, e che le comunità cattoliche del Paese vi contribuiscano, in modo da far vedere sempre di più la nostra fratellanza cristiana.

28. Nel mondo contemporaneo, multiforme eppure unito da un comune destino, cattolici e ortodossi sono chiamati a collaborare fraternamente nell’annuncio della Buona Novella della salvezza, a testimoniare insieme la dignità morale e la libertà autentica della persona, «perché il mondo creda» (Gv 17, 21). Questo mondo, in cui scompaiono progressivamente i pilastri spirituali dell’esistenza umana, aspetta da noi una forte testimonianza cristiana in tutti gli ambiti della vita personale e sociale. Dalla nostra capacità di dare insieme testimonianza dello Spirito di verità in questi tempi difficili dipende in gran parte il futuro dell’umanità.

29. In questa ardita testimonianza della verità di Dio e della Buona Novella salvifica, ci sostenga l’Uomo-Dio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, che ci fortifica spiritualmente con la sua infallibile promessa: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno» (Lc 12, 32)!
Cristo è fonte di gioia e di speranza. La fede in Lui trasfigura la vita umana, la riempie di significato. Di ciò si sono potuti convincere, attraverso la loro esperienza, tutti coloro a cui si possono applicare le parole dell’apostolo Pietro: «Voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2, 10).

30. Pieni di gratitudine per il dono della comprensione reciproca espresso durante il nostro incontro, guardiamo con speranza alla Santissima Madre di Dio, invocandola con le parole di questa antica preghiera: “Sotto il riparo della tua misericordia, ci rifugiamo, Santa Madre di Dio”. Che la Beata Vergine Maria, con la sua intercessione, incoraggi alla fraternità coloro che la venerano, perché siano riuniti, al tempo stabilito da Dio, nella pace e nell’armonia in un solo popolo di Dio, per la gloria della Santissima e indivisibile Trinità!

Francesco
Vescovo di Roma
Papa della Chiesa Cattolica    

Kirill
Patriarca di Mosca
e di tutta la Russia.

Fonte immagine: Askanews.it

venerdì 1 gennaio 2016

IL CONCILIO DI CLERMONT

CouncilofClermont.jpgIl Concilio di Clermont (Concilium Claromontanum) è un sinodo locale che si è tenuto a Clermont (Francia) dal 19 al 28 novembre 1095, con la partecipazione di circa 300 tra vescovi e abati presieduti da papa Urbano II. Nei 32 canoni promulgati sono inclusi vari provvedimenti: la scomunica del re Filippo I; la giurisdizione di Tours sulla Bretagna; la "tregua di Dio" (armistizio imposto in periodi dell'anno); il divieto di ordinazione episcopale di laici; la gratuità dei funerali; il divieto di coabitazione di donne con chierici (cf. celibato); l'astinenza da carne in quaresima; impone la comunione sotto le due specie; vieta l'imprigionamento di vescovi. Il concilio è noto soprattutto per il discorso o appello tenuto dal papa in vista della liberazione della terrasanta e in aiuto ai cristiani d'oriente, che ebbe come conseguenza la prima crociata.

Papa Urbano II tenne il 27 novembre del 1095 un discorso al Concilio di Clermont-Ferrand, in cui riprese i progetti di Gregorio VII, incitando il popolo francese alla crociata per strappare la Terra Santa dalle mani degli Arabi. La Francia, disse, era già sovraffollata e le terre sante di Canaan erano stracolme di latte e miele. Urbano chiese ai francesi di volgere le loro spade a favore del servizio di Dio, e l'assemblea replicò Dieu le veult! ("Dio lo vuole!").

La situazione politica dopo il 1075 era peggiorata, con la caduta di Antiochia nel 1085, e l'arrivo degli Arabi al Mar Egeo. Urbano aveva ricevuto una richiesta d'aiuto da parte dell'imperatore Alessio, nel marzo del 1095, durante il concilio di Piacenza, dove la crociata venne probabilmente decisa. Era rimasto anche profondamente turbato dai racconti allarmistici dei pellegrini e dei rifugiati cristiani, che erano stati allontanati per via della guerra, perdendo i loro beni.

In realtà, l'importanza di questo discorso è stata fortemente ridimensionata dalla storiografia più recente, che ha cercato di inserirlo nel più ampio contesto della situazione europea del secolo XI.
Un evento di tale impatto sulla "lunga durata" della storia come le Crociate ha senz'altro cause meno immediate e contingenti: al primo posto vi è l'impetuoso slancio di crescita demografica, economica e sociale che l'Occidente stava attraversando da almeno due secoli, e che lo portavano a cercare nuovi sbocchi e nuove terre da conquistare.

Lo stesso discorso di Urbano è stato tramandato solo da cronisti che scrivevano a distanza di anni e conoscendo già, quindi, gli sviluppi futuri: possibile dunque che abbiano colorato le loro versioni di intenti bellici che in origine non erano presenti. Sembra infatti che l'intento principale del pontefice fosse un invito alla pace e alla cessazione degli innumerevoli micro-conflitti che vedevano protagonista la nobiltà feudale del periodo, sul modello dei coevi movimenti delle "paci di Dio" promosse dagli uomini di Chiesa. Come penitenza per il sangue versato, Urbano II invitava ad un pellegrinaggio di espiazione verso la Terra santa (e questo termine, peregrinatio, iter, sarà infatti quello usato in origine per indicare il fenomeno: la parola latina cruciata comparirà solo molto più tardi, nel XIII secolo, quando ormai la Chiesa si sarà impadronita del fenomeno e del suo apparato simbolico per sfruttarlo a scopi diversi).

Inoltre, in particolare, è problematica la collocazione di una presunta lettera dell'imperatore bizantino Alessio I Comneno al papa per richiedere aiuto in favore dei Cristiani d'Oriente (e giunta mentre il papa celebrava il Concilio di Piacenza del 1095). La veridicità della stessa è storiograficamente contrastata, quanto quella della precedente missiva inviata dallo stesso imperatore, per le medesime ragioni, al Conte di Fiandra.

In realtà, con i vari regni musulmani posti ai suoi confini Bisanzio aveva, da tempo, trovato un accettabile modus vivendi. Aveva invece ben più da temere dai Franchi: solo pochi anni prima, infatti, aveva dovuto fronteggiare un tentativo massiccio di invasione da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo; difficile, dunque, che i vertici dell'impero auspicassero un passaggio in massa di truppe occidentali attraverso il loro territorio. Più probabile, invece, che questa sia stata una giustificazione trovata a posteriori dai sostenitori della spedizione.

Fonte: Cathopedia

venerdì 18 dicembre 2015

DA SAN PIETRO A CASTELGANDOLFO IN TRENO


Da settembre 2015 la Stazione Vaticana ha aperto al pubblico: turisti e pellegrini potranno arrivare, grazie alla collaborazione tra Vaticano e Ferrovie dello Stato, a Castel Gandolfo che ora è diventata un museo pur mantenendo la sua identità di sede estiva per il Pontefice. L'obiettivo di Papa Francesco è quello di unire i "Due Vaticani" dando grande spazio a Castel Gandolfo che unisce cultura, arte e natura.

Secondo Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, "Le ville pontificie, per secoli inaccessibile segreta dimora estiva dei Papi di Roma - ha commentato Paolucci - dal 12 settembre sono aperte al pubblico e ci si arriva con il treno, il più popolare, il più democratico fra i mezzi di trasporto. È un fatto che stringe in emblema con plastica evidenza la politica di Papa Francesco; un Papa che ha rinunciato alla sua residenza estiva per aprirla alla gente. Se non è questo un segno dei tempi! ... Io, da storico dell'arte, direttore dei Musei Vaticani, penso all'emozione e allo stupore dei visitatori quando nel parco di villa Barberini vedranno il geometrico splendore dei giardini all'italiana, quando entreranno nel criptoportico di Domiziano e avranno l'impressione di essere dentro una stampa delle rovine di Piranesi, quando, dalla terrazza della villa di Castel Gandolfo vedranno l'occhio azzurro del lago dopo aver percorso la Galleria che raccoglie i ritratti dei romani Pontefici. Penso all'emozione e allo stupore, ma anche alla gratitudine che ciascuno dei visitatori proverà per questo imprevisto regalo del Papa". (Fonte: Repubblica.it)

Il biglietto del treno e delle ville, oltre ai biglietti per il Museo del Palazzo Apostolico si possono acquistare dal sito dei Musei Vaticani con la possibilità di scegliere il tour preferito.

La storia della Ferrovia Vaticana

La stazione dei papi è lunga 862 metri e collega lo scalo della stazione di San Pietro attraverso una galleria. Inaugurata nel 1933 dopo quattro anni di lavoro, solamente quattro volte ha avuto l'onore di ospitare il pontefice:

- 11 Aprile 1959: Traslazione salma di Pio X a Venezia
- 4 Ottobre 1962: Giovanni XXIII partì alla volta di Loreto e Assisi
- 24 Gennaio 2002: Giovanni Paolo II partì per Assisi per la Giornata di preghiera comune per la Pace.
- 27 Ottobre 2011: Benedetto XVI partì per Assisi

Un tour sicuramente suggestivo da fare proprio in questi giorni di atmosfera giubilare e natalizia per vivere la storia della Chiesa, del Cristianesimo e del paesaggio da veri e propri protagonisti in un vero e proprio viaggio nel tempo. 

martedì 24 novembre 2015

MAOMETTO VOLEVA PROTEGGERE I CRISTIANI - UNA LETTERA SEMBRA CONFERMARLO

In questi giorni di preoccupazione a causa degli attentati di Parigi ci siamo chiesti più volte cosa pensasse Maometto dei Cristiani; la risposta a questa domanda è in una lettera scritta dal Profeta custodita nel Monastero di Santa Caterina in Sinai. Il monastero è famoso perché raccoglie una notevole quantità di testi antichi tanto che è seconda solamente alla Biblioteca Apostolica Vaticana con ben 3500 volumi scritti in greco, copto, arabo, armeno, siriaco e centinaia di altre lingue. Il documento testimonia come Maometto stesso volesse offrire protezione ai cristiani e ai loro luoghi di culto più importanti a titolo di ringraziamento verso i monaci cristiani di Santa Caterina che lo difesero durante gli attacchi dei suoi nemici. Il monastero è, peraltro, un luogo sacro sia per i cristiani, sia per gli ebrei e sia per i musulmani tanto che ospita proprio una moschea (mai aperta al culto perché non diretta verso La Mecca) dedicata ai musulmani che facevano visita a questo affascinante e sacro luogo di preghiera. 

La lettera fu sequestrata dagli ottomani nel 1517 a seguito della conquista dell'Egitto e portata a Istanbul presso il sultano Selim I. L'originale è conservata gelosamente al Museo Topkapi di Istanbul ed è stata analizzati da alcuni eminenti esperti locali che ne hanno attestato l'inconfutabile veridicità.

Questa è una lettera che è stata rilasciata da Mohammed, Ibn Abdullah, il Messaggero, il Profeta, il fedele, che viene inviata a tutte le persone come una parola da parte di Dio per tutte le sue creature. In verità Dio è l’Eccelso, il Saggio. Questa lettera è indirizzata agli ambasciatori dell’Islam, come alleanza data ai seguaci del Nazareno (Gesù ndr) in Oriente e Occidente, a quelli vicini e lontani, agli arabi e agli stranieri, al noto e all’ignoto. Questa lettera contiene il giuramento dato loro, e chi disobbedisce ciò che vi è scritto, sarà considerato un disobbediente e un trasgressore a quella Fede alla quale egli è comandato. Egli sarà considerato come uno che ha corrotto il giuramento di Dio, o il Suo testamento, che ha respinto la Sua Autorità, disprezzato la Sua religione, e si è fatto meritevole della Sua maledizione, sia fosse un sultano o qualsiasi altro credente dell’Islam.  
Ogni volta che monaci, fedeli e pellegrini si riuniscono, sia in una montagna o valle, o tana, o luogo frequentato, o semplice, o la chiesa, o in luoghi di culto, in verità Dio è su di loro e li protegge, e protegge le loro proprietà e la loro morale, anche da me stesso, dai miei amici e dai miei assistenti, perché sono dei soggetti sotto la mia protezione. Io li esento da tale atti che li possano turbare; degli oneri che sono pagati da altri come un giuramento di fedeltà. Essi non devono dare nulla del loro reddito, ma ciò che piace loro, non devono essere offesi, o disturbati, o costretti o obbligati. I loro giudici non devono essere modificati o impedito loro di realizzare i propri uffici, né i monaci disturbati nell’esercizio del loro ordine religioso, o la gente di clausura essere arrestati da dimora nelle loro celle. A nessuno è permesso di saccheggiare i pellegrini, o distruggere o rovinare una delle loro chiese, o case di culto, o di prendere una qualsiasi delle cose contenute all’interno di queste case e portarlo alle case dell’Islam. Colui che toglie da essa, sarà uno che ha corrotto il giuramento di Dio, e, in verità, disobbedisce al Suo Messaggero.
Le tasse non dovranno essere messe sui loro giudici, sui monaci, e quelli la cui occupazione è il culto di Dio; né qualsiasi altra cosa potrà essere presa da loro, che si tratti di un bene, una tassa o un diritto ingiusto. In verità io conservano la loro compattezza, ovunque si trovino, in mare o sulla terra, in Oriente o Occidente, da nord o da sud, perché sono sotto la mia protezione e il mio testamento dà loro la mia sicurezza contro tutte le cose che vanno aborrite. Nessuna tassa o decime devono essere ricevuti da coloro che si dedicano al culto di Dio in montagna, o da chi coltiva la Terra Santa. Nessuno ha il diritto di interferire con i loro affari, o portare qualsiasi azione contro di loro. In verità questo è per altra cosa e non per loro; piuttosto, nelle stagioni delle colture, che dovrebbe essere data una Kadah per ogni Ardab di grano (circa cinque quintali e mezzo ndr) come fondo per loro, e nessuno ha il diritto di dire loro che questo è troppo, o chiedere loro di pagare alcuna imposta. Per quanto riguarda chi possiede proprietà, i ricchi e i commercianti, le tasse che possono essere prese da loro non devono superare i dodici Dirham a testa all’anno. 
Non può essere imposto a chiunque di intraprendere un viaggio, o di essere costretto ad andare in guerra o usare armi per i musulmani, chiunque deve combattere per la loro ragione, non quella di altri. Il seguace dell’islam non deve fare nessuna disputa o discutere con loro, ma accordarsi secondo il verso registrato nel Corano. Essi non devono essere costretti a portare armi o pietre; ma i musulmani devono proteggerli e difenderli contro gli altri. Qualora una donna cristiana è sposata con un musulmano, tale matrimonio non deve avvenire se non dopo il suo consenso, e a lei non deve essere impedito di andare nella sua chiesa per la preghiera. Le loro chiese devono essere onorate e non devono esserci impedimenti nella costruzione di luoghi di preghiera o la riparazione dei loro conventi. 
Spetta a ognuno della nazione dell’Islam non contraddire e a rispettare questo giuramento fino al Giorno della Resurrezione e della fine del mondo.

giovedì 5 novembre 2015

L'OBOLO DI SAN PIETRO

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L'Obolo di San Pietro è un'offerta in denaro fatta dai fedeli al pontefice a sostegno della sua missione. L'origine dell'Obolo risale all'VIII secolo quando gli anglosassoni appena convertitisi al Cristianesimo si sentivano intimamente legati alla figura del papa tanto da volerlo sostenere economicamente. Nacque, pertanto, il Denarius Sancti Petri (Elemosina a San Pietro).

Ma a chi va questo obolo?

I recenti scandali di Vatileaks hanno fatto luce sulla faccenda: lo scrittore e conduttore televisivo Gianluigi Nuzzi, nel suo ultimo libro edito da Chiarelettere "Via Crucis" afferma che su 10 euro donati solamente 2 entrano nelle "tasche del pontefice"...

venerdì 19 giugno 2015

ESTRATTO LETTERA ENCICLICA "LAUDATO SI’" DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE [DOWNLOAD DAL SITO DELLO STATO DEL VATICANO]

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[Download documento integrale] 1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».

2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

Niente di questo mondo ci risulta indifferente

3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva “e a tutti gli uomini di buona volontà”. Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta. Nella mia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere. In questa Enciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune.

4. Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971, il beato Papa Paolo VI si riferì alla problematica ecologica, presentandola come una crisi che è «una conseguenza drammatica» dell’attività incontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Parlò anche alla FAO della possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica», sottolineando «l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo».

5. San Giovanni Paolo II si è occupato di questo tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo». Successivamente invitò ad una conversione ecologica globale. Ma nello stesso tempo fece notare che si mette poco impegno per «salvaguardare le condizioni morali di un’autentica ecologia umana». La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e «tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato». Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.

6. Il mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovato l’invito a «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente».
Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana». Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura». Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi».

Uniti da una stessa preoccupazione

7. Questi contributi dei Papi raccolgono la riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non possiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a cuore a tutti noi. Per citare solo un esempio particolarmente significativo, voglio riprendere brevemente parte del contributo del caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con il quale condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale.

8. Il Patriarca Bartolomeo si è riferito particolarmente alla necessità che ognuno si penta del proprio modo di maltrattare il pianeta, perché «nella misura in cui tutti noi causiamo piccoli danni ecologici», siamo chiamati a riconoscere «il nostro apporto, piccolo o grande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente». Su questo punto, egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e stimolante, invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati». Perché «un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio».

9. Allo stesso tempo Bartolomeo ha richiamato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. E’ un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. E’ liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza». Noi cristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. E’ nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».

San Francesco d’Assisi

10. Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E’ il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.

11. La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione». La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella». Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.

12. D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode.

Il mio appello

13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.

14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.

15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale cristiana.

16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti. [Continua Dal sito del Vaticano]

martedì 26 maggio 2015

LUOGHIMISTERIOSI.IT PROPONE UN'INTERVISTA DOPPIA SULLA SACRA SINDONE

Intervista doppia sulla Sindone: a confronto i due massimi esperti sul telo che avrebbe coperto il corpo di Gesù. Luigi Garlaschelli (Docente di Chimica all'Università di Pavia) contro Giulio Fanti (Docente di Meccaniche e Termiche Università di Padova).
Un ringraziamento speciale a Isabella della Vecchia del sito Luoghimisteriosi.it che ci ha permesso di poter condividere questo interessante documentario-intervista.
www.luoghimisteriosi.it


sabato 23 maggio 2015

LA MISTERIOSA ELEZIONE DI GIUSEPPE SIRI...TRA VATICANO E UNIONE SOVIETICA

Un retroscena clamoroso del conclave del 1958 quello che elesse papa Montini è uscito dopo la scadenza del termine della classificazione grazie al Freedom of Information Act il 28 febbraio 1994; secondo alcuni documenti il 26 ottobre del 1958 fu eletto pontefice Giuseppe Siri, Arcivescovo di Genova, che prese il nome pontificale di Gregorio XVII ma solamente due giorni dopo, su pressione di alcuni cardinali francesi, fu costretto a dimettersi perchè, secondo i servizi segreti, una sua elezione avrebbe comportando l'uccisione di alcuni vescovi nel mondo comunista. La prima persona a leggere questo scottante dossier fu Paul L. Williams, un consulente della Federal Boreau Investigation che nel 2003 pubblicò il libro "The Vatican Exposed: Money, Murder, and the Mafia". Nel testo, l'autore afferma che tutto iniziò nell'anno 1954 quando Pio XII fu avvisato dal Conte Della Torre (che allora occupava l'importante ruolo di Editore dell'Osservatorio Romano) di simpatie comunista del cardinale Angelo Maria Roncalli, che di lì a 4 anni divenne Giovanni XXIII. Naturalmente la notizia raggiunse immediatamente via Veneto, sede dell'Ambasciata americana a Roma e proprio qui alcuni agenti della Cia iniziarono a cercare eventuali simpatie "rosse" di Roncalli. Secondo Williams, Pio XII per evitare che la chiesa prendesse una deriva modernista, nominò "in pectore" il cardinale Giuseppe Siri come suo successore in quanto anticomunista e tradizionalista. Siamo al giorno del conclave, 26 ottobre 1958...secondo il dossier della Cia, Siri raggiunse al terzo ballottaggio i voti necessari per essere eletto papa con tanto di fumata bianca...o forse no? Il papa non si affacciava e la gente a San Pietro temeva di aver frainteso il colore del fumo (allora non si usava festeggiare con le campane il nuovo pontefice), dubbi dissipati quando il segretario del conclave Santaro confermò l'avvenuta elezione. La stessa Radio Vaticana nutriva forti dubbi (nonostante un primo annuncio positivo alle ore 17:55: «Il nuovo papa è stato eletto. Fra poco il cardinale primo diacono, Canali, apparirà a darne l'annuncio. Un fumo bianco, denso, voluminoso, ricopre il tetto della Sistina, ormai non c'è più dubbio che il papa sia fatto»), così come anche il giornale texano The Houston Post parlavano addirittura di "falso responso". In realtà il papa era stato eletto ma la pressione dei francesi intimoriti da una eventuale rappresaglia comunista nell'est europa aveva indotto Siri a dimettersi immediatamente per far posto ad un papa di transizione indicato di Tedeschini che però era troppo malato. I voti andarono a Roncalli che divenne Papa Giovanni XII. Secondo il francese Remy, Siri fu vicinissimo ad una rielezione il 21 giugno del 1963 ma nuovamente alcuni membri del collegio cardinalizio fecero osservare che in caso di elezione del genovese la chiesa avrebbe avuto serissimi problemi oltre la Cortina di Ferro. Lo stesso Remy cercò di estorcere qualche dichiarazione a Siri: "Egli stette per lunghi attimi in silenzio, quindi alzò gli occhi al cielo con un senso di sofferenza e dolore, unì le mani e, pesando le parole con gravità, disse: ‘Sono legato dal segreto' - racconta Remy - Quindi, dopo un lungo silenzio, pesante per tutti noi, disse ancora: ‘Sono legato dal segreto. Questo segreto è orribile. Potrei scrivere libri sui diversi conclavi. Cose molto serie sono accadute in quelle occasioni. Ma non posso dire nulla".(cit. Il Giornale 6 Aprile 2005)
C'è un "però" in questa enigmatica faccenda: Benny Lai nel suo libro Il Papa non eletto: Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa, afferma che lo stesso Siri era ben visto dal governo di Mosca quando contattò un famoso pediatra del Gaslini per curare il figlio di Timofeev, console Dell'URSS a Genova. Siri fu usato anche come intermediario tra Mosca e Roma per instaurare un dialogo atto a migliorare i rapporti tra le due realtà. Siri venne addirittura avvolto con tutti gli onori in una visita a Leningrado nel 1974...dove sta la verità?

Articolo di Emiliano Amici

martedì 12 maggio 2015

CONTRAPPOSIZIONE TRA PAPA E IMPERATORI: LE TEORIE DEI SOLI


Quella della Teoria dei due soli è una teoria politica medievale che conferiva pari dignità all'autorità imperiale e a quella papale in contrapposizione alla Teoria del Sole e della Luna sostenendo che il papa e l'imperatore erano autorevoli in ambiti diversi, il papa a livello spirituale e l'imperatore a livello politico. Conseguentemente cade la pretesa del papa di essere l'unico tramite attraverso il quale Dio conferiva al sovrano il potere su uno stato dato che l'autorità dei sovrani è legittima per se stessa. Come è facile immaginare, la teoria ha trovato grande successo in ambienti antipapali e ghibellini tanto che Dante la spiega egregiamente sia nel De Monarchia (III libro) sia nella Divina Commedia:

« 'l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l'unghie fesse »
(Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XVI)

Il pastore che procede (il papa) può ruminare (quindi, interpretare la Sacre Scritture) ma non ha le unghie separate (il che sta a significare che non ha una mano adatta a governare). La teoria nasce per avere uno stato non assoggettato alle ingerenze della Chiesa e fu la base per tutte quelle monarchie nazionali in cui i sovrani si sarebbero sentiti indipendenti dal dettame papale. Ed è curioso come un uomo del Medioevo, come Dante decide proprio di staccarsi così pesantemente dalla visione Medievale del Sole e della Luna.


La Teoria del Sole e della luna vedeva il papa come la fonte del potere di tutti i regnanti e, insieme alla Donazione di Costantino, era un caposaldo delle teorie teocratiche dei papi. Secondo i "due soli" il papa e l'imperatore del Sacro Romano Impero sarebbero stati equivalenti al Sole e la Luna pertanto il Sole, che emette luce propria e rappresenta il Vicario di Cristo, illumina la Luna, quindi, l'imperatore. La Chiesa, ritenuta l'unico tramite tra Cielo e umanità, sarebbe stata l'unica fonte legittima del potere e la più grande autorità del mondo. Il SRI sarebbe stato affidato dal pontefice all'imperatore con la possibilità, addirittura, di riappropriarsene. Il massimo sostenitore della teoria è Innocenzo III che consentì alla Chiesa di arrivare all'acme del suo potere temporale. 

domenica 12 aprile 2015

TESTO BOLLA DI INDIZIONE GIUBILEO "MISERICORDIAE VULTUS"

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1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.

2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.

L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza.

La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa.

4. Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre.

Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore … La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» . Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità … L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio … Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette … Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità» .

Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha ricevuto e di responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza del Signore Risorto che continua a sostenere il nostro pellegrinaggio. Lo Spirito Santo che conduce i passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia guida e sostegno del Popolo di Dio per aiutarlo a contemplare il volto della misericordia .

5. L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi.

6. «È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza» . Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano quanto la misericordia divina non sia affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: «O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono» . Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso.

“Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Antico Testamento per descrivere la natura di Dio. Il suo essere misericordioso trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza dove la sua bontà prevale sulla punizione e la distruzione. I Salmi, in modo particolare, fanno emergere questa grandezza dell’agire divino: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia» (103,3-4). In modo ancora più esplicito, un altro Salmo attesta i segni concreti della misericordia: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi» (146,7-9). E da ultimo, ecco altre espressioni del Salmista: «[Il Signore] risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. … Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi» (147,3.6). Insomma, la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono.

7. “Eterna è la sua misericordia”: è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio. In forza della misericordia, tutte le vicende dell’antico testamento sono cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre. Non è un caso che il popolo di Israele abbia voluto inserire questo Salmo, il “Grande hallel” come viene chiamato, nelle feste liturgiche più importanti.

Prima della Passione Gesù ha pregato con questo Salmo della misericordia. Lo attesta l’evangelista Matteo quando dice che «dopo aver cantato l’inno» (26,30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi. Mentre Egli istituiva l’Eucaristia, quale memoriale perenne di Lui e della sua Pasqua, poneva simbolicamente questo atto supremo della Rivelazione alla luce della misericordia. Nello stesso orizzonte della misericordia, Gesù viveva la sua passione e morte, cosciente del grande mistero di amore che si sarebbe compiuto sulla croce. Sapere che Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana  preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”.

8. Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.

Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto.

9. Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.

Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. Costui, chiamato dal padrone a restituire una grande somma, lo supplica in ginocchio e il padrone gli condona il debito. Ma subito dopo incontra un altro servo come lui che gli era debitore di pochi centesimi, il quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si rifiuta e lo fa imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35).

La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo.

Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.

10. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia». Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza.

11. Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che san Giovanni Paolo II ha offerto con la sua seconda Enciclica Dives in misericordia, che all’epoca giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema che veniva affrontato. Due espressioni in particolare desidero ricordare. Anzitutto, il santo Papa rilevava la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura dei nostri giorni: «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia … Ed è per questo che, nell’odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio» .

Inoltre, san Giovanni Paolo II così motivava l’urgenza di annunciare e testimoniare la misericordia nel mondo contemporaneo: «Essa è dettata dall’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo l’intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo immenso. Il mistero di Cristo … mi obbliga a proclamare la misericordia quale amore misericordioso di Dio, rivelato nello stesso mistero di Cristo. Esso mi obbliga anche a richiamarmi a tale misericordia e ad implorarla in questa difficile, critica fase della storia della Chiesa e del mondo» [10]. Tale suo insegnamento è più che mai attuale e merita di essere ripreso in questo Anno Santo. Accogliamo nuovamente le sue parole: «La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice» [11].

12. La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Nel nostro tempo, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre.

La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia.

13. Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del Signore: Misericordiosi come il Padre. L’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che dice: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). È un programma di vita tanto impegnativo quanto ricco di gioia e di pace. L’imperativo di Gesù è rivolto a quanti ascoltano la sua voce (cfr Lc 6,27). Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita.

14. Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi.

Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità.

Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: «O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto» (Sal 70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti.

15. In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.

È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

Non possiamo sfuggire alle parole del Signore e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» [12].

16. Nel Vangelo di Luca troviamo un altro aspetto importante per vivere con fede il Giubileo. Racconta l’evangelista che Gesù, un sabato, ritornò a Nazaret e, come era solito fare, entrò nella Sinagoga. Lo chiamarono a leggere la Scrittura e commentarla. Il passo era quello del profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore» (61,1-2). “Un anno di misericordia”: è questo quanto viene annunciato dal Signore e che noi desideriamo vivere. Questo Anno Santo porta con sé la ricchezza della missione di Gesù che risuona nelle parole del Profeta: portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è chiamata ad offrire. Ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8).

17. La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere meditate nelle settimane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con le parole del profeta Michea possiamo anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei un Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato, che non serbi per sempre la tua ira, ma ti compiaci di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e avrai pietà del tuo popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati (cfr 7,18-19).

Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (58,6-11).

L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV Domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore.

Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia.

18. Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole dell’Apostolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (Eb 2,17).

Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16).

19. La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire.

Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. E’ un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Corruptio optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza.

Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia.

20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio.

Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone.

Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non il sacrificio» (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.

Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: «Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16).

21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: «Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi» (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: «È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia»[13]. È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno.

Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova.

22. Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata. Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr Mt 5,48), ma sentiamo forte il peso del peccato. Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato.

La Chiesa vive la comunione dei Santi. Nell’Eucaristia questa comunione, che è dono di Dio, si attua come unione spirituale che lega noi credenti con i Santi e i Beati il cui numero è incalcolabile (cfr Ap 7,4). La loro santità viene in aiuto alla nostra fragilità, e così la Madre Chiesa è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri. Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente. Indulgenza è sperimentare la santità della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo, perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio. Viviamo intensamente il Giubileo chiedendo al Padre il perdono dei peccati e l’estensione della sua indulgenza misericordiosa.

23. La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte.

Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione.

24. Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore.

Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria. Questo ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverseremo la Porta Santa per sperimentare i frutti della misericordia divina.

Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù.

La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore.

25. Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene.

In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6).

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 aprile, Vigilia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, dell’Anno del Signore 2015, terzo di pontificato.

Franciscus

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