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Sguardo Sul Medioevo Brescia.
APPROFONDIMENTO DI MATTEO BRAGA
Nel mio lavoro di tesi di laurea specialistica sul romanico bresciano mi sono imbattuto nello studio di questa chiesetta che, non si sa bene il perché, dato che per la città è molto importante, è poco studiata.
La chiesa deve la sua denominazione ad un evento miracoloso. Nel IX secolo, durante la traslazione dei corpi dei santi patroni della città di Brescia, Faustino e Giovita, dalla primitiva sepoltura in San Faustino ad Sanguinem (identificata con l’odierna Chiesa di Sant’Angela Merici) alla chiesa di Santa Maria in Silva (identificata con l’odierna San Faustino Maggiore), il solenne corteo che li accompagnava dovette sostare all’altezza di Porta Bruciata (così chiamata per un incendio del 1184) dove trasudarono sangue. La tradizione tramandataci vuole che tale chiesa fosse stata eretta a spese del conte Namo di Baviera, personaggio ritenuto immaginario, del quale non si è trovata traccia nella documentazione storica in grado da dimostrarne l’esistenza. Lo troviamo nominato in alcuni brani del ciclo carolingio, ma la sua figura è principalmente legata al ruolo che ebbe, sempre secondo la leggenda, all’origine del Tesoro delle Sante Croci conservato nel Duomo Vecchio di Brescia. La leggenda ci racconta che proprio grazie a questo evento miracoloso il conte si convertì al cristianesimo e donò alla città di Brescia anche la reliquia della Santa Croce (di cui ci rimane un quadro in Duomo Vecchio). In realtà, già nell’VIII secolo, presso la porta Milanese (prima che adottasse il nome di Porta Bruciata per l’incendio citato) esisteva un antico sacello (che era stato costruito sopra un antico tempio romano dedicato a Diana) che assunse nel secolo successivo l’intitolazione a San Faustino in Riposo, proprio in memoria di questa leggendaria sosta. Tuttavia l’edificio attuale non sarebbe precedente al XII secolo e quindi forse costruito in epoca successiva al gravissimo incendio del 1184. Lo studio è reso difficile perché ci sono poche fonti documentarie del periodo. Nell’Ottocento lo studioso bresciano Odorici cita una pergamena del 1144 conservata presso la Biblioteca Queriniana di Brescia dove si parlava di una “chiesucciola” chiamata San Faustino “quod dicitur de castro”, ma purtroppo anche da studi recenti (Guerrini e Panazza) non è chiaro se si tratti della stessa piccola rotonda di Porta Bruciata. Come detto, i maggiori due studiosi del secolo scorso Guerrini e Panazza sono gli unici ad aver in qualche modo cercato di studiare e descrivere questa chiesetta.
Paolo Guerrini, in un articolo pubblicato sulla rivista “Brixia Sacra” (che ancora oggi è edita) del 1923 intitolato “I Santi Faustino e Giovita nella storia, nella leggenda e nell’arte”, descrive l’evento miracoloso e della chiesa dà una semplice e scarna descrizione.
Gaetano Panazza, nel suo grandissimo lavoro intitolato “L’arte medievale nel territorio bresciano”, pubblicato a Bergamo nel 1938, analizza la disposizione dei conci e la loro lavorazione, descrive la lesena su cui era addossata una semicolonnetta e grazie a questi elementi data la chiesa al XII secolo. Bisogna però ricordare, che questo insigne studioso bresciano, prende in considerazione l’unica monofora superstite, oggi tamponata, che si apriva a sud-est insieme alla lanterna che con anelli lapidei si dispiega su un paramento laterizio con quattro bifore rincassate entro un arco bardellonato sorrette da capitelli e colonne.
L’accesso alla chiesetta era a mattina, nella piccola piazzetta di Casolte, fu poi murato, aprendovi sopra una finestra. Di qui si lascia vedere la struttura anteriore della chiesetta, pur soffocata da costruzioni che al tempo odierno le si addossano contro.
La rotonda, in pietra da taglio lavorata, termina all’altezza di quattro metri con una semplice modanatura. Una soprastruttura in cotto sostiene un tronco di cono in formelle tonde di laterizio, disposte a dentellato, che termina con un cordone in pietra e porta la cella campanaria cilindrica illuminata da quattro piccole bifore. Dalla cella campanaria si slancia un pinnacolo, pure in formelle tonde e dentellato, simile a quella dei campanili in stile romanico lombardo. Come erano nel 1923, la svelta cupola e l’elegante pinnacolo sembravano al Guerrini di costruzione trecentesca, se non forse anteriore.
L’esempio più importante che si può citare osservando la copertura del campanile, è la chiesa di Sant’Andrea ad Iseo, che era di pertinenza del vescovo di Brescia, e sorgeva come a Brescia in asse al battistero. L’ottimo taglio della pietra, che ritroviamo anche a San Faustino in Riposo, induce gli studiosi a datare questa chiesa fra il XII e il XII secolo. L’archeologo della Soprintendenza di Brescia, Andrea Breda, studiando la muratura di questa chiesa e mettendola in confronto con quella di San Faustino in Riposo la data al primo XII secolo. Per cui, se fosse vera questa ipotesi anche San Faustino in Riposo risalirebbe a tale secolo. Secondo l’Odorici la rotonda di Brescia avrebbe tutti i caratteri dell’XI-XII secolo, datazione confermata, come abbiamo visto poco fa, da Gaetano Panazza. Lo storico bresciano Ugoletti, rilevando l’incongruenza di una costruzione destinata per la forma e la lavorazione ad essere veduta da ogni parte, così incastrata fra la porta e le antiche mura (che scendevano dal castello, molto vicino a questa chiesetta), argomenta che la rotonda nella sua base di pietra lavorata sia anteriore alle mura, e che trasformata in sacello fosse rispettata dalle opere di difesa della città che la nascosero in parte: forse un sacello pagano (come detto probabilmente un tempio dedicato dai romani a Diana, siccome, sorgeva in riva al fiume Mella, oggi sotterrato, dalla via in cui si trova, ma ancora presente al di sotto di questa come testimoniano le ultime ricerca dell’Associazione Speleologica Bresciana) convertito poi in chiesa cristiana. Per questo motivo ebbe forse origine l’idea della sovrastruttura della svelta cupola e dello slanciato pinnacolo. Il cilindro di base con diametro inferiore a 7.30 metri, ritenuto in passato anteriore all’XI secolo, dai più recenti rilievi condotti dai dottorandi del Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Brescia, guidati dall’Ingegnere Valentino Volta, ha rivelato l’esistenza di otto paraste lobate poste sulla superficie extradorsale a una distanza costante di circa 2.8 metri, facendo pensare a quest’ultimi all’intenzione di porre il monumento in vista sulla completa muratura laterale, con una struttura perfettamente tagliata nella pietra. La presenza fino a qualche anno fa occultata in un negozio sotto la torre di una monofora trilobata, intagliata nella muratura di pietrame a conci squadrati, permette di datare approssimativamente al XII-XIII secolo la base del monumento, prima di accogliere la caratteristica copertura in materiale misto a prevalenza laterizia.
Uno scorcio esterno si offre a est, dove una finestra ha preso il posto di un portale che all’interno mostra una lunetta rincassata. Sul lato opposto, dal passaggio che ha ridotto il portale ovest (oggi si conservano gli stipiti modanati, con luce di 165 cm), si accede alla sacrestia, da cui è visibile un tratto di paramento esterno. Questo paramento esterno ha permesso di ricostruire, come detto, un elevato a grandi conci squadrati (50x70 cm), articolato da sei (in origine non si esclude potessero essere otto) semicolonne su lesene architravate da cornice modanata, sopra la quale s’imposta il tamburo della cupola emisferica laterizia, in fase con la copertura tronconica. La scarsella pare aperta in rottura, anche perché nel 1503 un documento prescrive: “ecclesia seu capelle Santi Faustini et Jovitae quae iuxta portam tarem versus sero”.
Come detto, Panazza riprendendo l’unica monofora superstite, tamponata, che si apriva a sud-est, con arco a pieno centro e profilo interno trilobato, può essere datata a cavallo dei secoli XI-XIII. La medesima cronologia è valida per la lanterna, che come già fatto notare, fra anelli lapidei dispiega un pur manomesso paramento laterizio con quattro bifore rincassate entro un arco bardellonato e sorrette da capitelli scantonati e colonnine. In laterizi sagomati sono i rivestimenti dei tetti, riallettati nel 1936 in occasione del loro isolamento da quelli circostanti. Nessuna traccia sussiste di un’eventuale fase altomedievale, che non troviamo citata nemmeno nel diploma regio di re Desiderio datato al 767 dove si attesta che la “porta beattissinorum martirum Faustini et Jovitte”, poteva prendere il nome dalla non lontana chiesa di San Faustino Maggiore o da un’edicola con altare. Nella diocesi di Brescia si segnalano altre piccole chiese a pianta circolare, tutte databili, come San Faustino in Riposo al XII-XIII secolo, sulle cui origini, come nel caso che stiamo analizzando, non si sa praticamente nulla e che non sono ancora state indagate pienamente dal punto di vista archeologico. È assai dubbio se la semplice geometria di queste costruzioni derivi dal più complesso modello della Rotonda (odierno Duomo Vecchio) romanica di Brescia, ma con prossimi studi si cercherà di capire se non derivi da una pianta centrale, anziché rotonda. La chiesa più importante da ricordare nella diocesi bresciana che presenta questa tematica è la rotonda di Santa Maria Valverde a Rezzato. Gli studiosi, comunque, sono quasi concordi che la più antica chiesa bresciana, che potrebbe caratterizzare il primo modello seguito (cioè una pianta rotonda), anche in base alle caratteristiche del paramento murario e delle monofore (con molta probabilità risalenti all’XI secolo), parrebbe essere San Lino di Binzago, nel comune montano di Agnosine dove nel 1176 sono attestate proprietà e una curia Lini del monastero vescovile di San Pietro in Monte di Serle fondato nel 1039. Queste similitudini, che ho appena citato riguardano la pianta. Una similitudine, trovata da poco, la possiamo trovare anche per il tetto. Infatti, dopo un incendio per un fulmine caduto la notte del 22 ottobre 2009 sul campanile del Duomo di Parma, gli archeologi e gli storici dell’arte della Soprintendenza della città emiliana hanno trovato una struttura molto simile a quella della chiesa di San Faustino in Riposo (strato di mattoni in cotto decorati a petali). Anche se l’ipotesi pare molto probabile, mancano ancora degli studi specifici di questo confronto.
In conclusione posso confermare, anche per l’assenza di ulteriori elementi la datazione all’XI-XII secolo che ne ha dato il Panazza. Però rimane un ultimo problema da analizzare. Come ho spiegato poco fa, se dopo ulteriori ricerche sulla copertura del campanile del Duomo di Parma, si arrivasse alla conferma che la struttura del tetto sia simile a quella di San Faustino in Riposo , la datazione si sposterebbe verso il 1200, e quindi non più all’epoca romanica ma piuttosto all’epoca gotica.
Oltre a questi fatti, puramente archeologici, mi pare di poter confermare la datazione all’XI-XII secolo anche per il fatto miracolo a cui assistette il duca Namo di Baviera citato all’inizio (dando per vera la leggenda bresciana). Tutto questo potrebbe essere confermato da un altro documento. I corpi dei santi, durante la traslazione, possono essere transitati effettivamente lungo il percorso che è a noi giunto da un rogito notarile stipulato il 13 maggio del 1400, perché una processione extra-moenia, in mezzo a vigne e prati, come dice tale documento, non avrebbe avuto alcun senso al tempo della cinta occidentale di mura tardo antiche. Altra conferma di questa datazione potrebbe arrivare dal vescovo di Brescia di quel momento, Ramperto (824-844) che informa di quanto fosse plausibile che i santi patroni sostassero sotto Porta Bruciata, anche per l’importanza di una così imponente processione, e quindi un sacello in cui le reliquie avrebbero potuto sostare doveva già essere disponibile.
Approfondimento di Matteo Braga. Tutti i diritti riservati.