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domenica 15 marzo 2015

BONIFACIO INDICE IL PRIMO GIUBILEO DELLA STORIA (#Giubileo2015ssm)

Bonifatius viii papst.jpgLa bolla Antiquorum habet fida relatio fu promulgata da Bonifacio VIII il 22 febbraio dell'anno 1300 e, tramite il testo, indisse il primo Giubileo della storia. Per poter ottenere l'indulgenza plenaria, erano previsti trenta pellegrinaggi a San Pietro e San Paolo per i romani, per i forestieri bastavano solamente quindici visite. L'indulgenza era prevista anche a coloro i quali, per vari motivi, non avevano potuto completare il pellegrinaggio. la bolla stabiliva l'indizione del Giubileo ogni cento anni.

Il testo della bolla in latino

Ad perpetuam rei memoriam. Antiquorum habet fida relatio, quod accedentibus ad honorabilem Basilicam Principis Apostolorum de Urbe concessae sunt magnae remissiones, et Indulgentiae peccatorum. Nos igitur qui iuxta officij nostri debitum salutem appetemus, et procuramus libentius singolorum, huiusmodi remissionem, et Indulgentias omnes, et singulas, ratas, et gratas habentes, ipsas auctoritate Apostolica Confirmamus, et approbanus. Ut autem Beatissimi Petrus, et Paulus Apostoli eo amplius honorentur, quo eorum Basilicae de Urbe devotius fuerint a fidelibus frequentatae, et fideles ipsi spiritualium largitione munerum ex huiusmodi frequentatione magis senserint se refertos; Nos de Omnipotentis Dei misericordia, et eorundem Apostolorum eius meritis, et auctoritate consisi, de Fratrum nostrorum consilio, et Apostolicae plenitudine potestatis, omnibus in praesenti anno millesimo trecentesimo a Festo Nativitatis Domini Nostri Iesu Christi praeterito proxime inchorato, et in quolibet anno centesimo secuturo, ad Basilicas ipsas accedentibus reverenter, vere poenitentibus, et Confessis, vel qui vere poenitebunt, et consistebuntur, in huiusmodi praesenti, et quolibet centesimo secuturo annis, non solum plenam, et largiorem immo plenissimam omnium suorum concedemus, et concedimus veniam peccatorum. Statuentes, ut qui voluerint huiusmodi Indulgentiae a nobis concessae fieri participes, si fuerint Romani, ad minus triginta diebus continuis, seu interpolatis, et saltem semel in die, si vero Peregrini fuerint, aut Forenses, simili modo diebus quindecim, ad Basilicas easdem accedant. Unusquisque tamen plus merebitur, et Indulgentiam efficatius consequetur, qui Basilicas ipsas amplius, et devotius frequentabit. Nulli ergo, etc. Datum Romae apud S. Petrum 8 Kal Martij Pontificatus nostri anno sexto.

Il testo della bolla in italiano

Bonifacio Vescovo, servo dei servi di Dio, per la certezza dei presenti e la memoria dei futuri.
C’è adesione degna di fede da parte di vecchi che a coloro, i quali accedono all’onoranda Basilica del principe degli Apostoli di Roma, sono concesse grandi missioni ed indulgenze dei peccati.
Noi dunque, che secondo i doveri del nostro ufficio, ricerchiamo e procuriamo con viva soddisfazione il vantaggio dei singoli, ritenendo certe e da rispettarsi tutte queste indulgenze, queste stesse con 1'autorità apostolica confermiamo, approviamo, ed anche rinnoviamo con il patrocinio di questa scrittura. E pertanto, poiché‚ i Beatissimi apostoli Pietro e Paolo più sono onorati tanto devotamente le loro Basiliche saranno affollate dai fedeli e affinché‚ gli stessi si sentano sempre più rinfrancati con un’elargizione di doni spirituali, per questo, noi accordiamo, affidandoci alla misericordia di Dio Onnipotente ed ai meriti ed alla autorità dei medesimi Apostoli, col consiglio dei nostri fratelli e nella pienezza del potere apostolico, a tutti quelli che nel presente anno mille e trecento, cominciato da poco con la festa della Natività di nostro Signore Gesù Cristo, ed in qualunque altro centesimo anno seguente accederanno alle suddette Basiliche con riverenza e veramente pentiti e confessati, ed a quelli che veramente si pentiranno in questo presente centesimo anno ed in qualunque anno centesimo avvenire, non solo pieno ed assai largo, ma anzi assai pienissimo perdono dei loro peccati. Stabiliamo che coloro i quali vogliano essere fatti partecipi di simile indulgenza da Noi concessa accedano alle suddette Basiliche, se saranno romani almeno per trenta giorni continui od intercalati ed almeno una volta al giorno; se poi saranno pellegrini o forestieri facciano allo stesso modo per quindici giorni. Ciascuno tanto più meriti e tanto più efficacemente consegna 1’indulgenza se le stesse Basiliche più ampiamente e devotamente frequenterà. A nessun uomo giammai sia lecito in firmare questo pubblico atto della conferma, approvazione, innovazione, concessione e costituzione nostra, né‚ gli sia lecito con temerario ordine contraddirvi. Se poi alcun avrà avuto la presunzione di ciò, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei Beati Pietro e Paolo Apostoli. Dato in Roma, presso san Pietro il 22 febbraio, anno sesto del Nostro Pontificato.

lunedì 8 dicembre 2014

BOLLA INEFFABILIS DEUS DELL'8 DICEMBRE 1854

Popepiusix.jpgDio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l'ultimo confine dell'universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l'eternità la tristissima rovina dell'intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l'opera primitiva della sua bontà, con un mistero ancora più profondo – l'incarnazione del Verbo – affinché l'uomo (indotto al peccato dalla perfida malizia del diavolo) non andasse perduto, in contrasto con il suo proposito d'amore, e affinché venisse recuperato felicemente ciò che sarebbe caduto con il primo Adamo, fin dall'inizio e prima dei secoli scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza. Per questo, attingendo dal tesoro della divinità, la ricolmò – assai più di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi – dell'abbondanza di tutti i doni celesti in modo tanto straordinario, perché Ella, sempre libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, mostrasse quella perfezione di innocenza e di santità da non poterne concepire una maggiore dopo Dio, e che nessuno, all'infuori di Dio, può abbracciare con la propria mente. Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso procede. La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste rivelazione, questa innocenza originale dell'augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l'eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarla, proporla e sostenerla con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un'inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall'impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico. Con questo atto significativo mise in evidenza che la Concezione della Vergine doveva essere venerata in modo singolare, straordinario e di gran lunga superiore a quello degli altri uomini: pienamente santo, dal momento che la Chiesa celebra solamente le feste dei Santi. Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell'unico e identico decreto dell'Incarnazione della Divina Sapienza. Sebbene tutte queste cose, condivise quasi ovunque dai fedeli, dimostrino con quanta cura la stessa Chiesa Romana, madre e maestra di tutte le Chiese, abbia seguito la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine, tuttavia meritano di essere elencati, uno per uno, gli atti più importanti della Chiesa in questa materia, perché assai grandi sono la sua dignità e la sua autorità, quali si addicono ad una simile Chiesa: è lei il centro della verità cattolica e dell'unità; in lei sola fu custodita fedelmente la religione; da lei tutte le altre Chiese devono attingere la tradizione della fede. Dunque, questa stessa Chiesa Romana ritenne che non potesse esserci niente di più meritevole che affermare, tutelare, propagandare e difendere, con ogni più eloquente mezzo, l'Immacolata Concezione della Vergine, il suo culto e la sua dottrina. Tutto questo è testimoniato e messo in evidenza, in modo assolutamente inequivocabile, da innumerevoli e straordinari, atti dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, ai quali, nella persona del Principe degli Apostoli, fu affidato, per volere divino, dallo stesso Cristo Signore il supremo compito e il potere di pascere gli agnelli e le pecore, di confermare nella fede i fratelli, di reggere e governare tutta la Chiesa. I Nostri Predecessori infatti si vantarono grandemente, avvalendosi della loro autorità Apostolica, di avere istituito nella Chiesa Romana la festa della Concezione con Ufficio e Messa proprii, per mezzo dei quali veniva affermato, con la massima chiarezza, il privilegio dell'immunità dalla macchia originale; di aver rafforzato, circondato di ogni onore, promosso e accresciuto con ogni mezzo il culto già stabilito, sia con la concessione di Indulgenze, sia accordando alle città, alle province e ai regni la facoltà di scegliere come Patrona la Madre di Dio sotto il titolo dell'Immacolata Concezione, sia con l'approvazione di Confraternite, di Congregazioni e di Famiglie religiose, costituite per onorare l'Immacolata Concezione, sia con il tributare lodi alla pietà di coloro che avevano eretto monasteri, ospizi, altari e templi dedicati all'Immacolata Concezione, oppure si erano impegnati, con un solenne giuramento, a difendere strenuamente l'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Provarono anche l'immensa gioia di decretare che la festa della Concezione dovesse essere considerata da tutta la Chiesa, con la stessa dignità e importanza della Natività; inoltre, che fosse celebrata ovunque come solennità insignita di ottava e da tutti santificata come festa di precetto, e che ogni anno si tenesse nella Nostra Patriarcale Basilica Liberiana una Cappella Papale nel giorno santo dell'Immacolata Concezione. Spinti dal desiderio di rafforzare, ogni giorno di più, nell'animo dei fedeli questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e di stimolare la loro pietà al culto e alla venerazione della Vergine concepita senza peccato originale, furono lietissimi di concedere la facoltà che venisse pronunciata ad alta voce la Concezione Immacolata della Vergine nelle Litanie Lauretane e nello stesso Prefazio della Messa, affinché i dettami della fede trovassero conferma nelle norme della preghiera. Noi quindi, seguendo le orme di Predecessori così illustri, non solo abbiamo approvato e accolto tutto ciò che è stato da loro deciso con tanta devozione e con tanta saggezza, ma, memori di ciò che aveva disposto Sisto IV, abbiamo confermato, con la Nostra autorità, l'Ufficio proprio dell'Immacolata Concezione e, con sensi di profonda gioia, ne abbiamo concesso l'uso a tutta la Chiesa. Ma poiché tutto ciò che si riferisce al culto è strettamente connesso con il suo oggetto e non può rimanere stabile e duraturo se questo oggetto è incerto e non ben definito, i Romani Pontefici Nostri Predecessori, mentre impiegavano tutta la loro sollecitudine per accrescere il culto della Concezione, si preoccuparono anche di chiarirne e di inculcarne con ogni mezzo l'oggetto e la dottrina. Insegnarono infatti, in modo chiaro ed inequivocabile, che si celebrasse la festa della Concezione della Vergine e respinsero quindi, come falsa e assolutamente contraria al pensiero della Chiesa, l'opinione di coloro che ritenevano ed affermavano che da parte della Chiesa non si onorava la Concezione ma la santificazione di Maria. Né ritennero che si potesse procedere con minore decisione contro coloro che, al fine di sminuire la dottrina sull'Immacolata Concezione della Vergine, avendo escogitato una distinzione fra il primo istante e il secondo momento della Concezione, affermavano che si celebrava sì la Concezione, ma non quella del primo iniziale momento. Gli stessi Nostri Predecessori stimarono loro preciso dovere difendere e sostenere, con tutto l'impegno, sia la festa della Concezione della Beatissima Vergine, sia la Concezione dal suo primo istante come vero oggetto del culto. Di qui le parole assolutamente decisive, con le quali Alessandro VII, Nostro Predecessore, mise in evidenza il vero pensiero della Chiesa. Egli si espresse in questi termini: "È sicuramente di antica data la particolare devozione verso la Beatissima Madre, la Vergine Maria, da parte dei fedeli: infatti erano convinti che la sua anima – fin dal primo istante della sua creazione e della sua infusione nel corpo – fosse stata preservata immune dalla macchia del peccato originale per una speciale grazia e per un singolare privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Figlio suo e Redentore del genere umano. Animati da tale persuasione, circondavano di onore e celebravano la festa della Concezione con un rito solenne" [ALEXANDER VII, Const. Sollicitudo omnium Ecclesiarum, 8 decembris 1661] . E fu proprio impegno primario dei Nostri Predecessori custodire con ogni cura, zelo e sforzo, perfettamente integra la dottrina dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Infatti non solo non tollerarono mai che la stessa dottrina venisse in qualche modo biasimata e travisata da chicchessia, ma, spingendosi ben oltre, asserirono, con chiare e reiterate dichiarazioni, che la dottrina, con la quale professiamo l'Immacolata Concezione della Vergine, era e doveva essere considerata a pieno titolo assolutamente conforme al culto della Chiesa; era antica e quasi universalmente riconosciuta, tale da essere fatta propria dalla Chiesa Romana, con l'intento di assecondarla e custodirla, e del tutto degna di aver parte nella stessa Sacra Liturgia e nelle preghiere più solenni. Non contenti di ciò, affinché la dottrina dell'Immacolato Concepimento della Vergine si mantenesse integra, vietarono, con la più grande severità, che ogni opinione contraria a questa dottrina potesse essere sostenuta sia in pubblico che in privato e la vollero colpita a morte. A queste ripetute e chiarissime dichiarazioni, perché non risultassero vane, aggiunsero delle sanzioni. Tutto questo è stato riassunto dal Nostro venerato Predecessore Alessandro VII con le seguenti parole:

"Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione dell'Intemerata e sempre Vergine Maria, e che, al riguardo, ha un tempo composto un Ufficio proprio e specifico in ossequio alla pia, devota e lodevole disposizione emanata dal Nostro Predecessore Sisto IV; volendo Noi pure favorire, sull'esempio dei Romani Pontefici Nostri Predecessori, questa lodevole e pia devozione, questa festa e questo culto, prestato conformemente a quella direttiva e che dalla sua istituzione non ha subito, nella Chiesa Romana, alcun mutamento; volendo anche salvaguardare questa particolare forma di pietà e di devozione nel rendere onore e nel celebrare la Beatissima Vergine preservata dal peccato originale con un atto preventivo della grazia dello Spirito Santo; desiderando inoltre conservare nel gregge di Cristo l'unità dello spirito nel vincolo della pace, dopo aver placato i motivi di scontro e le dispute e aver rimosso gli scandali; accogliendo le istanze e le suppliche a Noi rivolte dai Vescovi sopra ricordati, unitamente ai Capitoli delle loro Chiese, dal Re Filippo e dai suoi Regni; rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti emanati dai Romani Pontefici Nostri Predecessori, soprattutto da Sisto IV, da Paolo V e da Gregorio XV, per avvalorare l'affermazione intesa a sostenere che l'anima della Beata Vergine Maria, nella sua creazione e nell'infusione nel corpo, ebbe il dono della grazia dello Spirito Santo e fu preservata dal peccato originale; per favorire la festa e il culto della stessa Concezione della Vergine Madre di Dio, in linea con la pia proposizione suesposta, decretiamo che tali Costituzioni e Decreti siano osservati, sotto pena d'incorrere nelle censure e nelle altre sanzioni previste nelle Costituzioni stesse. "Decretiamo che quanti ardiranno interpretare le Costituzioni e i Decreti citati in modo da vanificare il favore reso, per mezzo loro, alla sunnominata affermazione, alla festa e al culto prestato nel rispetto della stessa; avranno osato mettere in discussione questa affermazione, questa festa e questo culto, o prendere posizione contro di essa in qualunque modo, direttamente o indirettamente, ricorrendo a qualsivoglia pretesto, sia pure con l'intento di esaminarne la sua definibilità e di spiegare e di interpretare, al riguardo, la Sacra Scrittura, i Santi Padri, e i Dottori; o ancora farsi forti di ogni altro possibile pretesto od occasione e poter quindi esprimere, dichiarare, trattare, disputare a voce e per iscritto, precisando, affermando e adducendo qualche argomentazione contro di essa, senza portarla a compimento; dissertare infine contro di essa in qualsiasi altro modo, addirittura fuori dell'immaginabile; [decretiamo] che siano privati anche della facoltà di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico; di aver voce attiva e passiva in ogni tipo di elezioni, senza bisogno di alcuna dichiarazione. Incorreranno dunque, ipso facto, nella pena della perpetua interdizione di predicare, di leggere, di insegnare e di dissertare in pubblico. "Da queste pene essi potranno essere assolti o dispensati solamente da Noi o dai Romani Pontefici Nostri Successori. Intendiamo anche sottoporli, ed effettivamente con la presente li sottoponiamo, ad altre pene da infliggere a Nostro insindacabile giudizio e dei Romani Pontefici Nostri Successori, mentre rinnoviamo le Costituzioni e i Decreti di Paolo V e di Gregorio XV sopra ricordati. "Dichiariamo inaccettabili, e le sottoponiamo alle pene e alle censure contenute nell'Indice dei libri proibiti, le pubblicazioni nelle quali vengono messi in dubbio quella affermazione, la festa e il culto approvato; viene scritto, o vi si possa leggere, alcunché di contrario a ciò che è stato sopra riportato; trovino spazio discorsi, prediche, trattati, dissertazioni che ne avversano il contenuto. Ordiniamo e decretiamo che siffatti libri siano, ipso facto, da considerare espressamente proibiti, senza attendere una specifica dichiarazione". D'altra parte tutti sanno con quanto zelo questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio sia stata tramandata, sostenuta e difesa dalle più illustri Famiglie religiose, dalle più celebri Accademie teologiche e dai Dottori più versati nella scienza delle cose divine. Tutti parimenti conoscono quanto siano stati solleciti i Vescovi nel sostenere in pubblico, anche nelle assemblee ecclesiastiche, che la santissima Vergine Maria, Madre di Dio, in previsione dei meriti del Redentore Gesù Cristo, non fu mai soggetta al peccato ma, del tutto preservata dalla colpa originale, fu redenta in una maniera più sublime. A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell'ambito di una definizione così generale, la Beata ed Immacolata Vergine Maria Madre di Dio. Con tale dichiarazione infatti i Padri Tridentini indicarono con sufficiente chiarezza, tenendo conto della situazione del tempo, che la Beatissima Vergine fu esente dalla colpa originale. Indicarono perciò apertamente che dalle divine Scritture, dalla tradizione, dall'autorità dei Padri, niente poteva essere desunto che fosse in contrasto con questa prerogativa della Vergine. Per la verità, illustri monumenti di veneranda antichità della Chiesa orientale ed occidentale testimoniano con assoluta certezza che questa dottrina dell'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, che, giorno dopo giorno, è stata magnificamente illustrata, proclamata e confermata dall'autorevolissimo sentimento, dal magistero, dallo zelo, dalla scienza e dalla saggezza della Chiesa e si è diffusa in modo tanto prodigioso presso tutti i popoli e le nazioni del mondo cattolico, è da sempre esistita nella Chiesa stessa come ricevuta dagli antenati e contraddistinta dalle caratteristiche della dottrina rivelata. Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato. In verità, i Padri e gli scrittori ecclesiastici, ammaestrati dalle parole divine – nei libri elaborati con cura per spiegare la Scrittura, per difendere i dogmi e per istruire i fedeli – non trovarono niente di più meritevole di attenzione del celebrare ed esaltare, nei modi più diversi ed ammirevoli, l'eccelsa santità, la dignità e l'immunità della Vergine da ogni macchia di peccato e la sua vittoria sul terribile nemico del genere umano. Per tale motivo, mentre commentavano le parole con le quali Dio, fin dalle origini del mondo, annunciando i rimedi della sua misericordia approntati per la rigenerazione degli uomini, rintuzzò l'audacia del serpente ingannatore e rialzò mirabilmente le speranze del genere umano: "Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua e la sua stirpe", essi insegnarono che con questa divina profezia fu chiaramente e apertamente indicato il misericordioso Redentore del genere umano, cioè il Figliuolo Unigenito di Dio, Gesù Cristo; fu anche designata la sua beatissima Madre, la Vergine Maria, e, nello stesso tempo, fu nettamente espressa l'inimicizia dell'uno e dell'altra contro il demonio. Ne conseguì che, come Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini, assunta la natura umana, annientò il decreto di condanna esistente contro di noi, inchiodandolo da trionfatore sulla Croce, così la santissima Vergine, unita con Lui da un legame strettissimo ed indissolubile, poté esprimere, con Lui e per mezzo di Lui, un'eterna inimicizia contro il velenoso serpente e, riportando nei suoi confronti una nettissima vittoria, gli schiacciò la testa con il suo piede immacolato. Di questo nobile e singolare trionfo della Vergine, della sua straordinaria innocenza, purezza e santità, della sua immunità da ogni macchia di peccato, della sua ineffabile abbondanza di tutte le grazie divine, di tutte le virtù e di tutti i privilegi a Lei donati, gli stessi Padri videro una figura sia nell'Arca di Noè che, voluta per ordine di Dio, scampò del tutto indenne al diluvio universale; sia in quella scala che Giacobbe vide ergersi da terra fino al cielo, e lungo la quale salivano e scendevano gli angeli di Dio e alla cui sommità stava il Signore stesso; sia in quel roveto che Mosè vide nel luogo santo avvolto completamente dalle fiamme e, pur immerso in un fuoco crepitante, non si consumava né pativa alcun danno ma continuava ad essere verde e fiorito; sia in quella torre inespugnabile, eretta di fronte al nemico, dalla quale pendono mille scudi e tutte le armature dei forti; sia in quell'orto chiuso che non può essere violato né devastato da alcun assalto insidioso; sia in quella splendente città di Dio che ha le sue fondamenta sui monti santi; sia in quell'eccelso tempio di Dio che, rifulgendo degli splendori divini, è ricolmo della gloria del Signore; sia in tutti gli altri innumerevoli segni dello stesso genere che, secondo il pensiero dei Padri, preannunciavano cose straordinarie sulla dignità della Madre di Dio, sulla sua illibata innocenza e sulla sua santità, mai soggetta ad alcuna macchia. Per descrivere debitamente quest'insieme di doni celesti e l'innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un'arca della santificazione, come la casa che l'eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell'Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato. Siccome poi gli stessi Padri e gli scrittori ecclesiastici erano pienamente convinti che l'Angelo Gabriele, nel dare alla beatissima Vergine l'annuncio dell'altissima dignità di Madre di Dio, l'aveva chiamata, in nome e per comando di Dio stesso, piena di grazia, insegnarono che con questo singolare e solenne saluto, mai udito prima di allora, si proclamava che la Madre di Dio era la sede di tutte le grazie divine, era ornata di tutti i carismi dello Spirito Santo, anzi era un tesoro quasi infinito e un abisso inesauribile di quegli stessi doni divini, a tal punto che, non essendo mai stata soggetta a maledizione ma partecipe, insieme con il suo Figlio, di eterna benedizione, meritò di essere chiamata da Elisabetta, mossa dallo Spirito di Dio: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno". Da tutto ciò derivò il loro concorde e ben documentato pensiero che, in forza di tutti questi doni divini, la gloriosissima Vergine, per la quale "grandi cose ha fatto colui che è potente", rifulse di tale pienezza di grazia e di tale innocenza da diventare l'ineffabile miracolo di Dio, anzi il culmine di tutti i miracoli e quindi degna Madre di Dio, la più vicina a Dio, nella misura in cui ciò è possibile ad una creatura, superiore a tutte le lodi angeliche ed umane. Per questo motivo, con l'intento di dimostrare l'innocenza e la giustizia originale della Madre di Dio, i Padri non solo la paragonarono spessissimo ad Eva ancora vergine, innocente, non corrotta e non ancora caduta nei lacci delle mortali insidie del serpente ingannatore, ma la anteposero a lei con una meravigliosa varietà di parole e di espressioni. Eva infatti, avendo dato ascolto disgraziatamente al serpente, decadde dall'innocenza originale e divenne sua schiava, mentre la beatissima Vergine accrebbe continuamente il primitivo dono e, senza mai ascoltare il serpente, con la forza ricevuta da Dio ne annientò la violenza e il potere. Perciò non si stancarono mai di proclamarla giglio tra le spine; terra assolutamente inviolata, verginale, illibata, immacolata, sempre benedetta e libera da ogni contagio di peccato, dalla quale è stato formato il nuovo Adamo; giardino delle delizie piantato da Dio stesso, senza difetti, splendido, abbondantemente ornato di innocenza e di immortalità e protetto da tutte le insidie del velenoso serpente; legno immarcescibile che il tarlo del peccato mai poté intaccare; fonte sempre limpida e segnata dalla potenza dello Spirito Santo; tempio esclusivo di Dio; tesoro di immortalità; unica e sola figlia, non della morte, ma della vita; germoglio di grazia e non d'ira che, per uno speciale intervento della provvidenza divina, è spuntato, sempre verde e ammantato di fiori, da una radice corrotta e contaminata. Ma come se tutte queste espressioni non bastassero, pur essendo straordinarie, i Padri formularono specifiche e stringenti argomentazioni per affermare che, parlando del peccato, non poteva in alcun modo essere chiamata in causa la santa Vergine Maria, perché a Lei era stata elargita la grazia in misura superiore per vincere ogni specie di peccato. Asserirono quindi che la gloriosissima Vergine fu la riparatrice dei progenitori, la fonte della vita per i posteri. Scelta e preparata dall'Altissimo da tutta l'eternità e da Lui preannunciata quando disse al serpente: "Porrò inimicizia fra te e la donna", schiacciò veramente la testa di quel velenoso serpente. Sostennero dunque che la beatissima Vergine fu, per grazia, immune da ogni macchia di peccato ed esente da qualsivoglia contaminazione del corpo, dell'anima e della mente. Unita in un intimo rapporto e congiunta da un eterno patto di alleanza con Dio, non fu mai preda delle tenebre, ma fruì di una luce perenne e risultò degnissima dimora di Cristo, non per le qualità del corpo, ma per lo stato originale di grazia. Parlando della Concezione della Vergine, i Padri aggiunsero espressioni assai significative, con le quali attestarono che la natura cedette il passo alla grazia e si trovò incapace a svolgere il suo compito. Non poteva infatti accadere che la Vergine Madre di Dio potesse essere concepita da Anna, prima che la grazia sortisse il suo effetto. Così doveva essere concepita la primogenita, dalla quale doveva poi essere concepito il Primogenito di ogni creatura. Proclamarono che la carne della Vergine, derivata da Adamo, non ne contrasse le macchie, e che la beatissima Vergine fu quindi il tabernacolo creato da Dio stesso, formato dallo Spirito Santo, capolavoro di autentica porpora, al quale diede ornamento quel nuovo Beseleel ricamandolo variamente in oro. Fu a buon diritto esaltata come il primo vero capolavoro di Dio: sfuggita ai dardi infuocati del maligno, entrò nel mondo, bella per natura e assolutamente estranea al peccato nella sua Concezione Immacolata, come l'aurora che spande tutt'intorno la sua luce. Non era infatti conveniente che quel vaso di elezione fosse colpito dal comune disonore, perché assai diverso da tutti gli altri, di cui condivide la natura ma non la colpa. Al contrario era assolutamente conveniente che come l'Unigenito aveva in cielo un Padre, che i Cherubini esaltano tre volte santo, avesse sulla terra una Madre mai priva dello splendore della santità. Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell'animo degli antenati, che divenne abituale l'uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l'esemplare della purezza e dell'innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell'anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l'eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi. Nessuno ignora che la celebrazione di Lei fu, con tutta naturalezza, introdotta nelle memorie della santa Liturgia e negli Uffici ecclesiastici. Tutti li pervade e li domina per larghi tratti. La Madre di Dio vi è invocata ed esaltata come incorrotta colomba di bellezza, rosa sempre fresca. Essendo purissima sotto ogni aspetto, eternamente immacolata e beata, viene celebrata come l'innocenza stessa, che non fu mai violata, e come la nuova Eva che ha generato l'Emmanuele. Non vi è dunque niente di straordinario se i Pastori della Chiesa e i popoli fedeli si sono compiaciuti, ogni giorno di più, di professare con tanta pietà, con tanta devozione e con tanto amore la dottrina dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio, che, a giudizio dei Padri, è stata inserita nella Sacra Scrittura, è stata trasmessa dalle loro numerose e importantissime testimonianze, è stata manifestata e celebrata con tanti insigni monumenti del venerando tempo antico, è stata proposta e confermata dal più alto e autorevole magistero della Chiesa. Pastori e popolo niente ebbero di più dolce e di più caro che onorare, venerare, invocare ed esaltare ovunque, con tutto l'ardore del cuore, la Vergine Madre di Dio concepita senza peccato originale. Per questo già dai tempi antichi i Vescovi, gli uomini di chiesa, gli Ordini regolari, gli stessi Imperatori e Re chiesero, con insistenza, che questa Sede Apostolica definisse l'Immacolata Concezione della Madre di Dio come dogma della fede cattolica. Queste richieste sono state nuovamente ripetute nei tempi più recenti, specialmente al Nostro Predecessore Gregorio XVI di felice memoria, e sono state rivolte anche a Noi dai Vescovi, dal Clero secolare, da Famiglie religiose, da Sovrani e da popoli fedeli. Poiché dunque, con straordinaria gioia del Nostro cuore, avevamo piena conoscenza di tutto ciò e ne comprendevamo l'importanza, non appena siamo stati innalzati, sebbene immeritevoli, per un misterioso disegno della divina Provvidenza, a questa sublime Cattedra di Pietro, ed assumemmo il governo di tutta la Chiesa, abbiamo ritenuto che non ci fosse niente di più importante, sorretti anche dalla profonda devozione, pietà e amore nutriti fin dalla fanciullezza per la santissima Vergine Maria Madre di Dio, del portare a compimento tutto ciò che poteva ancora essere nelle aspettative della Chiesa, per accrescere il tributo di onore alla beatissima Vergine e per metterne ancora più in luce le prerogative. Volendo tuttavia procedere con grande prudenza, abbiamo costituito una speciale Congregazione di Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, illustri per la pietà, per la competenza e per la conoscenza delle cose divine; abbiamo pure scelto uomini del Clero secolare e regolare, particolarmente versati nelle discipline teologiche, perché esaminassero con ogni cura tutto ciò che riguarda l'Immacolata Concezione della Vergine e presentassero a Noi le loro conclusioni. Quantunque già dalle istanze, da Noi ricevute per patrocinare l'eventuale definizione dell'Immacolata Concezione della Vergine, risultasse chiaro il pensiero di molti Vescovi, tuttavia abbiamo inviato ai Venerabili Fratelli Vescovi di tutto il mondo cattolico una Lettera Enciclica, scritta a Gaeta il 2 febbraio 1849, perché, dopo aver rivolto preghiere a Dio, Ci comunicassero per iscritto quali fossero la pietà e la devozione dei loro fedeli nei confronti dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio e, soprattutto, quale fosse il loro personale pensiero sulla proposta di questa definizione e quali fossero i loro auspici, al fine di poter esprimere il Nostro decisivo giudizio nel modo più autorevole possibile. 
Non è certo stata di poco peso la consolazione che abbiamo provato, quando Ci pervennero le risposte di quei Venerabili Fratelli. Infatti nelle loro lettere, pervase da incredibile compiacimento, gioia ed entusiasmo, Ci confermarono nuovamente, non solo la straordinaria pietà e i sentimenti che essi stessi, il loro Clero e il popolo fedele nutrivano verso l'Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, ma Ci supplicarono anche, con voto pressoché unanime, che l'Immacolata Concezione della Vergine venisse definita con un atto decisivo del Nostro ufficio e della Nostra autorità. Nel frattempo abbiamo gustato una gioia non certo minore, quando i Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, della speciale Congregazione sopra ricordata, e i citati teologi da Noi scelti come esperti, dopo aver proceduto con tutta l'attenzione ad un impegnativo e meticoloso esame della questione, Ci chiesero con insistenza la definizione dell'Immacolata Concezione della Madre di Dio. Dopo queste premesse, seguendo le prestigiose orme dei Nostri Predecessori, desiderando procedere nel rispetto delle norme canoniche, abbiamo tenuto un Concistoro, nel quale abbiamo parlato ai Nostri Venerabili Fratelli, Cardinali di Santa Romana Chiesa, e, con la più grande consolazione del Nostro animo, li abbiamo uditi rivolgerci l'insistente richiesta perché decidessimo di emanare la definizione dogmatica dell'Immacolata Concezione della Vergine Madre di Dio. Essendo quindi fermamente convinti nel Signore che fossero maturati i tempi per definire l'Immacolata Concezione della santissima Vergine Maria Madre di Dio, che la Sacra Scrittura, la veneranda Tradizione, il costante sentimento della Chiesa, il singolare consenso dei Vescovi e dei fedeli, gli atti memorabili e le Costituzioni dei Nostri Predecessori mirabilmente illustrano e spiegano; dopo aver soppesato con cura ogni cosa e aver innalzato a Dio incessanti e fervide preghiere; ritenemmo che non si potesse più in alcun modo indugiare a ratificare e a definire, con il Nostro supremo giudizio, l'Immacolata Concezione della Vergine, e così soddisfare le sacrosante richieste del mondo cattolico, appagare la Nostra devozione verso la santissima Vergine e, nello stesso tempo, glorificare sempre più in Lei il suo Figlio Unigenito, il Signore Nostro Gesù Cristo, perché ogni tributo di onore reso alla Madre ridonda sul Figlio. Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell'umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l'assistenza dell'intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa, ed indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli. Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall'unità della Chiesa, e, se avrà osato rendere pubblico, a parole o per iscritto o in qualunque altro modo, ciò che pensa, sappia di essere incorso, ipso facto, nelle pene comminate dal Diritto. La Nostra bocca è veramente piena di gioia e la Nostra lingua di esultanza. Innalziamo dunque a Gesù Cristo Signore Nostro i più umili e sentiti ringraziamenti perché, pur non avendone i meriti, Ci ha concesso, per una grazia particolare, di offrire e di decretare questo onore e questo tributo di gloria alla sua santissima Madre. Fondiamo senz'altro le nostre attese su un fatto di sicura speranza e di pieno convincimento. La stessa beatissima Vergine che, tutta bella e immacolata, schiacciò la testa velenosa del crudelissimo serpente e recò al mondo la salvezza; la Vergine, che è gloria dei Profeti e degli Apostoli, onore dei Martiri, gioia e corona di tutti i Santi, sicurissimo rifugio e fedelissimo aiuto di chiunque è in pericolo, potentissima mediatrice e avvocata di tutto il mondo presso il suo Unigenito Figlio, fulgido e straordinario ornamento della santa Chiesa, incrollabile presidio che ha sempre schiacciato le eresie, ha liberato le genti e i popoli fedeli da ogni sorta di disgrazie e ha sottratto Noi stessi ai numerosi pericoli che Ci sovrastavano, voglia, con il suo efficacissimo patrocinio, portare aiuto alla santa Madre, la Chiesa Cattolica, perché, rimosse tutte le difficoltà, sconfitti tutti gli errori, essa possa, ogni giorno di più, prosperare e fiorire presso tutti i popoli e in tutti i luoghi, "dall'uno all'altro mare, e dal fiume fino agli estremi confini della terra", e possa godere pienamente della pace, della tranquillità e della libertà. Voglia inoltre intercedere perché i colpevoli ottengano il perdono, gli ammalati il rimedio, i pusillanimi la forza, gli afflitti la consolazione, i pericolanti l'aiuto, e tutti gli erranti, rimossa la caligine della mente, possano far ritorno alla via della verità e della giustizia, e si faccia un solo ovile e un solo pastore. Ascoltino queste Nostre parole tutti i carissimi figli della Chiesa Cattolica e, con un ancor più convinto desiderio di pietà, di devozione e di amore, continuino ad onorare, ad invocare e a supplicare la beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, concepita senza peccato originale, e si rifugino, con piena fiducia, presso questa dolcissima Madre di misericordia e di grazia in ogni momento di pericolo, di difficoltà, di bisogno e di trepidazione. Sotto la sua guida, la sua protezione, la sua benevolenza, il suo patrocinio, non vi può essere motivo né di paura, né di disperazione, perché, nutrendo per noi un profondo sentimento materno e avendo a cuore la nostra salvezza, abbraccia con il suo amore tutto il genere umano. Essendo stata costituita dal Signore Regina del Cielo e della terra, e innalzata al di sopra di tutti i Cori degli Angeli e delle schiere dei Santi, sta alla destra del suo Figlio Unigenito, Signore Nostro Gesù Cristo e intercede con tutta l'efficacia delle sue materne preghiere: ottiene ciò che chiede e non può restare inascoltata. Da ultimo, perché questa Nostra definizione dell'Immacolata Concezione della beatissima Vergine Maria possa essere portata a conoscenza di tutta la Chiesa, decidiamo che la presente Nostra Lettera Apostolica resti a perenne ricordo, e ordiniamo che a tutte le trascrizioni, o copie, anche stampate, sottoscritte per mano di qualche pubblico notaio e munita del sigillo di persona costituita in dignità ecclesiastica, si presti la stessa fede che si presterebbe alla presente se fosse esibita o mostrata. Nessuno pertanto si permetta di violare il contenuto di questa Nostra dichiarazione, proclamazione e definizione, o abbia l'ardire temerario di avversarlo e di trasgredirlo. Se qualcuno, poi, osasse tentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo. 

Dato a Roma, presso San Pietro, nell'anno dell'Incarnazione del Signore 1854, il giorno 8 dicembre, nell'anno nono del Nostro Pontificato.

BOLLA "NOSCITIS ET NOBISCUM" DELL'8 DICEMBRE 1849

Voi conoscete, e vedete con Noi, o Venerabili Fratelli, con quanta malvagità siano invalsi e abbiano preso animo, non ha guari, certi dichiarati nemici della verità, della giustizia e di ogni onestà, i quali sia con frode e con insidie di ogni fatta, sia all’aperto e come flutti del mare inferito che spumano le proprie turpitudini (Jud. 13), si studiano di propagare da per tutto tra i popoli della Cattolica Italia una sfrenata licenza di pensare, di favellare e di osare ogni cosa, e si sforzano di indebolire nella stessa Italia la Religione Cattolica, e di atterrarla, se fosse possibile mai, fino dalle fondamenta. La trama di questo infernale divisamento si diede a conoscere in parecchi luoghi, ma soprattutto nell’alma Nostra città, sede del Nostro supremo Pontificato, nella quale, poiché fummo costretti a partirne, imperversarono più liberamente, sia pure per pochi mesi; e ove, messa con sacrilego attentato sottosopra ogni cosa divina ed umana, il loro furore giunse a tal segno, che conculcata l’autorità e impedita l’opera dello specchiatissimo Clero Romano e delle Autorità che per Nostro comando soprattendevano ivi alle cose sacre, più d’una volta gli stessi miseri infermi già presso a morire, sprovveduti di ogni conforto della Religione, furono astretti ad esalare lo spirito fra le lusinghe di sfacciata meretrice. Ancorché dopo questi avvenimenti la stessa città di Roma, e le altre province del Pontificale dominio, la mercé di Dio, e per l’opera delle Nazioni Cattoliche siano state ridonate al civile Nostro reggimento, e i tumulti delle guerre cessati siano anche nell’altre regioni d’Italia; nulladimeno non cessarono, né cessano tuttavia, questi perversi nemici di Dio e degli uomini dal proseguire nell’indegno divisamento se non colla forza aperta, certo con astuti né sempre occulti artifici. Non vi ha dubbio, che a Noi che sosteniamo in questi difficilissimi tempi la suprema cura del gregge del Signore, e Ci addoloriamo profondamente dei pericoli in cui si ritrova l’Italia, riesce di singolare conforto il considerare lo zelo di che siete animati, o Venerabili Fratelli, e del quale Ci avete forniti molti argomenti, allorché infieriva il turbine della passata procella, e di cui Ci fornite ogni giorno più bellissime prove. Sennonché la gravità del pericolo C’incalza, perché Noi, secondo il debito del Pastorale ufficio, a voi, chiamati a parte della Nostra sollecitudine, porgiamo colle nostre esortazioni nuovo stimolo, sia a combattere costantemente con Noi le guerre del Signore, sia a provvedere e a metter mano con concordia di animi a quelle cose, in forza di cui con la Benedizione celeste si metta riparo a quei mali che la Religione nostra santissima avesse per isventura sofferti in Italia, e si appresti un qualche rimedio ai futuri pericoli.

Fra le molteplici astuzie, con cui i sopraddetti avversari della Chiesa usano svolgere gli animi degli Italiani dalla Religione Cattolica, vi è pur quella di asserire e di spargere sfacciatamente per ogni dove, la Religione Cattolica opporsi alla gloria, alla grandezza, alla prosperità dell’Italia, e quindi esser di mestieri che le riunioni protestantiche s’introducano, si stabiliscano e si propaghino, affinché essa ricuperar possa l’antico splendore, quello cioè dell’età pagana. Ora in questa loro bizzarra invenzione se spicchi più la detestabile malizia della furiosa empietà, ovvero l’impudenza della malvagità mentitrice, è cosa al tutto difficile a definirsi.

Per verità lo spirituale vantaggio di essere stati trasferiti dalla potestà delle tenebre nella luce di Dio, e giustificati per la grazia di Gesù Cristo, e fatti eredi in isperanza di vita eterna (Tit. I, 2), certo questo vantaggio delle anime che trae la sua origine dalla Religione Cattolica, è di così alto pregio, che qualsivoglia grandezza e felicità di questa terra al confronto non merita la più piccola estimazione. " E infatti, che giova all’uomo se acquisti l’intero universo, e poi perda se stesso? E qual cambio potrà mai dar l’uomo per ricuperar l’anima sua? ". Se non che non solamente è alieno dalla verità che l’Italia abbia incorse disavventure a motivo della vera Fede che professò, ché anzi essa deve alla Religione Cattolica se in sul declinare del Romano Impero non fu colta da quegli stessi infortuni nei quali gli Assiri, i Medi, i Persiani e i Macedoni, dopo lunghi anni di estesa dominazione, mutatesi alla perfine le sorti, erano precipitati. Di fatto non vi è alcun uomo prudente che ignori, siccome avvenne per l’ammirabile efficacia della Religione di Cristo, che l’Italia uscisse non solo dalle tante e sì folte tenebre in che giaceva sepolta, ma che tra le rovine di quell’antico Impero, e le scorrerie dei barbari imperversanti per tutta Europa, giungesse ella nulladimeno, a preferenza di tutte le nazioni del mondo, a un grado così eccelso di gloria, che a motivo dell’augusta Cattedra di San Pietro per ispecialissimo favore di Dio in essa collocata stendesse più largamente e stabilmente il dominio con una Religione celeste, di quello che avesse signoreggiato un tempo colla dominazione terrena.

E da questo singolare privilegio di possedere la Sede Apostolica, e dalla Religione Cattolica che approfondì ognor più le radici fra i popoli d’Italia, ebbero origine altri moltissimi e soprammodo insigni vantaggi. In verità, la Santissima Religione di Gesù Cristo, maestra della vera Sapienza, difenditrice degli uomini, e madre feconda di qualsivoglia virtù, distolse bensì gli animi degl’Italiani da quella luce passeggera di gloria, che i lor maggiori, soprastando essi nelle armi, avevano riposto nell’incessante tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nell’assoggettare a durissimo servaggio quel maggior numero di uomini che per loro si potesse; ma rischiaratili a un tempo colla luce benefica della verità, a praticare la giustizia e la misericordia, e ad opere insigni di pietà verso Dio e di beneficenza verso gli uomini, li confortò. Di qui nelle precipue città dell’Italia, templi meravigliosi, ed altri monumenti dell’evo cristiano, edificati non già per mano di uomini gementi sotto intollerabile schiavitù, ma eretti dallo zelo di spontanea carità; e per tutto pii Istituti, quali per l’esercizio della Religione, quali per l’educazione della gioventù, quali per coltivare a dovere le lettere e le arti, quali per conforto degl’infermi, quali per sollievo dei bisognosi. E questa Religione adunque tutta divina, a cui l’Italia va debitrice per tanti capi della sua salute, felicità e grandezza; questa Religione adunque si è quella, che gridasi doversi bandire dall’Italia? Noi non possiamo raffrenare le lacrime, Venerabili Fratelli, mentre consideriamo esservi al presente parecchi Italiani cotanto perversi e miseramente ingannati, che plaudendo alle scellerate dottrine degli empi non hanno ribrezzo di cospirare con loro all’estrema rovina dell’Italia.

Non vi è ignoto certamente, o Venerabili Fratelli, come i principali artefici di questa perfida macchinazione abbiano per ultimo scopo di spingere i popoli, agitati dal vento di ree dottrine, al sovvertimento di ogni ordine di cose, e condurli poscia ad abbracciare gli scellerati sistemi del nuovo socialismo e comunismo. Sanno essi benissimo, e veggono comprovato dalla lunga esperienza di molti secoli, come non hanno a sperare alcuna alleanza colla Chiesa Cattolica, la quale nel custodire il deposito della divina rivelazione, né soffre che tolgasi alcunché dalle proposte verità della Fede, né permette che alcuna cosa di umana invenzione loro si aggiunga. Laonde hanno abbracciato il partito di condurre i popoli dell’Italia alle dottrine e ai conventicoli dei Protestanti, nei quali, ad inganno dei semplici, vanno dicendo non ritrovarsi altro se non una diversa forma della vera Religione di Gesù Cristo, e che in essi si può essere accettevoli a Dio non meno che nella Chiesa Cattolica. Intanto non ignorano già, che all’empia lor causa gioverà assaissimo quel principio, sì solenne tra le dottrine dei Protestanti, che tutti cioè hanno diritto d’interpretare a lor senno le Divine Scritture. Dalla quale folle dottrina essi confidano ottenere più agevolmente, sia di diffondere le ree loro massime, quasi a nome di Dio, appoggiandole a false interpretazioni dei sacri libri; sia di condurre gl’incauti, resi superbi dall’insano orgoglio di portar giudizio delle cose di Dio, a mettere in dubbio gli stessi primi principi dell’equo e dell’onesto.

Tolga Iddio, Venerabili Fratelli, che l’Italia, dalla quale, per la Sede dell’Apostolico Magistero stabilito in Roma, le nazioni straniere eran solite di attingere le pure e salutifere acque della vera dottrina, facciasi per l’avvenire lapide di offesa e pietra di scandalo; tolga Iddio che questa diletta parte della Vigna del Signore venga manomessa e distrutta da ogni vil bestia del campo; tolga Iddio che i popoli d’Italia resi furenti dai sorsi avvelenati del calice di Babilonia impugnino le parricide armi contro la Chiesa lor madre. Noi certo, e voi pure, per segreto giudizio di Dio riserbati a questi tempi sì perigliosi, dobbiamo guardarci dal temere le frodi e gli assalti di questi cospiratori contro la Fede dell’Italia; né dobbiam credere di poter vincerli colle sole nostre forze; imperciocché il nostro consigliere e il nostro braccio è Cristo Gesù, senza di cui non possiam nulla, e col quale possiamo ogni cosa (San Leone Magno, Ep. ad Rusticum Narbonensem). Per la qual cosa fate animo, o Venerabili Fratelli, e vegliate attentamente sopra del gregge a voi affidato, e studiatevi di difenderlo dalle insidie e dagli assalti dei lupi divoratori. Comunicatevi a vicenda i consigli, proseguite a riunirvi, come cominciaste già a fare; così che, conosciuti a fondo i principi dei mali, e le fonti dei pericoli propri a ciascun luogo, voi possiate sotto l’autorità e la guida di questa Santa Sede recar ad essi rimedio più prontamente; e per questa maniera, congiunti a Noi con perfettissima concordia di animi, voi rivolgiate con tutta la forza del vostro zelo pastorale ogni vostra cura e travaglio a questo fine, che tutti gli assalti, le arti, le insidie e gli sforzi dei nemici della Chiesa tornino vani ed inutili.

Ma ad ottenere questo scopo devesi procurare con ogni premura, che il popolo poco ammaestrato intorno alla dottrina Cristiana e la legge del Signore, e reso a così dire stupido dalla lunga licenza nei vizi che signoreggiano in molti, possa conoscer bene le insidie che gli si tendono e la laidezza degli errori che gli si propongono. Per la qual cosa, o Venerabili Fratelli, Noi richiediamo ardentemente dalla vostra pastorale sollecitudine, di non cessare giammai dal porre ogni studio perché tutti i fedeli commessi alle vostre cure siano, secondo la capacità di ciascuno, diligentemente ammaestrati intorno ai santissimi dogmi e ai precetti della nostra Religione, e perché siano ammoniti ed eccitati allo stesso tempo a conformare ad essi la loro vita e i loro costumi. Infiammate a questo fine lo zelo degli Ecclesiastici, di quelli soprattutto, cui è commessa la cura delle anime, affinché persuasi intimamente dell’altezza del Ministero confidato loro dall’Altissimo, e avendo sempre dinanzi agli occhi le prescrizioni del Concilio Tridentino (Sess. V cap. 2. - Sess. XXIV cap. 4 e 7 de Ref.), con sempre maggiore alacrità, siccome richiedono le circostanze particolari dei tempi, si adoperino nella istruzione del popolo cristiano, e cerchino d’insinuare nel cuore di tutti salutevoli ammonimenti, indicando loro con brevità e chiarezza sia i vizii che hanno a sfuggire, sia le virtù che debbono praticare affinché sfuggano le pene eterne e giungano in Cielo.

Sennonché devesi procurare in ispecial modo, che i fedeli abbiano impresso e scolpito profondamente nell’animo quel dogma della santissima nostra Religione, che versa intorno la necessità della Cattolica Fede per giungere a salvamento. ( Questo dogma manifestato da G. C. e inculcato dai Padri della Chiesa e dai Concili, ha luogo pure nelle formule di professione di Fede, sia in quella che è in uso presso i Latini, come in quella che è invalsa fra i Greci, e anche in quella che è usata dagli altri cattolici dell’Oriente). A questo fine gioverà grandemente, che nelle pubbliche preci i fedeli laici insieme col Clero rendano di tanto in tanto vivissime grazie al Signore per l’inestimabile favore della Fede Cattolica che per ispeciale sua misericordia ci compartì, e chiedano allo stesso Padre delle Misericordie che si degni di difendere la professione della medesima Fede nel nostro Paese e serbarla ivi nella sua integrità.

Pertanto voi porrete certo ogni studio perché tutti i fedeli ricevano per tempo da voi il Sacramento della Confermazione, pel quale per ispecial grazia di Dio vien conferita una particolare fortezza a professare costantemente la Fede Cattolica, in mezzo anche ai più temuti pericoli. Né ignorate nemmeno di quale giovamento sia allo stesso fine, che essi, mondatisi dalle sozzure delle colpe colla sincera detestazione dei peccati e col Sacramento della Penitenza, ricevano spesso divotamente il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, che è il vero cibo spirituale delle anime, e l’antidoto pel quale siam liberati dalle colpe quotidiane e preservati dai peccati mortali, e che è pure simbolo di quel corpo, il cui capo è Gesù Cristo, e al quale, stretti dai fortissimi vincoli della Fede, della Speranza e della Carità, a maniera di membra, volle che Noi appartenessimo, perché unico fosse il nostro sentimento, né ci fossero scismi fra di noi.

Noi non dubitiamo in verun modo che i Parroci e i loro coadiutori e gli altri Sacerdoti, i quali in certi determinati giorni, soprattutto quando corrono i dì delle consuete astinenze, sogliono destinarsi al ministero della Predicazione, siano per darvi mano nelle opere di cui abbinino testé favellato. Nulladimeno al loro concorso gioverà l’aggiungere talvolta gli aiuti straordinari degli Esercizi Spirituali e delle Sacre Missioni, le quali ove sieno affidate ad acconci operai, tornano la merce di Dio utilissime, sia per nutrire nei buoni la pietà; sia per eccitare alla penitenza i peccatori, quelli anche che fossero allacciati da ree, inveterate abitudini; sia ancora perché il popolo fedele cresca nel conoscimento di Dio, e porti frutti di buone operazioni, e premunito da più abbondevoli aiuti della grazia rifugga con più generosa costanza dalle perverse dottrine dei nemici della Chiesa.

Del rimanente in queste pie opere le vostre cure e quelle dei Sacerdoti che vi aiutano, mireranno fra le altre cose a ciò, che i fedeli concepiscano un orrore più sentito di quei delitti che si commettono con iscandalo altrui. Di fatto voi sapete quanto cresciuto sia in parecchi luoghi il numero di coloro che ardiscono di bestemmiare in palese i Santi del Cielo, e lo stesso Sacrosanto Nome di Dio, o ardiscono di vivere in pubblico concubinato, accompagnato alcune volte dall’incesto; o lavorano i dì festivi nelle aperte botteghe; o disprezzano anche in presenza di molti i comandamenti della Chiesa intorno i digiuni o la scelta dei cibi; e non hanno rossore di commettere altrettanti delitti. Per la qual cosa alle vostre fervide esortazioni raccordisi il popolo e consideri attentamente la immane gravità di questi peccati, e le pene severissime con cui saranno puniti gli autori di essi, non solo per la bruttezza che è propria di qualsivoglia delitto, ma sì ancora pel pericolo spirituale cui esposero con contagioso esempio i loro stessi fratelli. Infatti sta scritto: Guai al mondo per gli scandali... Guai all’uomo che diede scandalo ad altrui (Matth. XVIII, 7).

Tra i vari generi d’insidie, coi quali questi maliziosissimi nemici della Chiesa e della società umana si sforzano di trarre i popoli in inganno è certamente uno fra i precipui quello che loro somministra l’arte tipografica, tutto a seconda dei loro perversi disegni. Per la qual cosa si danno attorno in mille guise per ispargere e moltiplicare ogni giorno più cattivi libri, giornali e scritti volanti che riboccano di menzogne, di calunnie e di seduzioni. Anzi prevalendosi delle Società Bibliche, già condannate da questa Santa Sede — sopra questo argomento, oltre i precedenti Decreti vi è la Enciclica di Gregorio XVI che incomincia " Fra le principali macchinazioni", in data degli 8 di Maggio del 1846, i cui decreti Noi pure abbiamo inculcato nella Nostra Lettera Enciclica del 9 di novembre del 1846 — osano a dispetto delle leggi ecclesiastiche (Veggasi la Regola 4 fra quelle che scritte prima dai Padri trascelti nel Concilio di Trento, furono approvate poi da Pio VII nella Costituzione " Dominici gregis " dell’anno 1819; e l’aggiunta che le fu fatta dalla Congregazione dell’indice per l’autorità di Benedetto XIV il 17 Gennaio 1757: che sogliono premettersi all’indice dei libri proibiti) di spargere Sacre Bibbie traslate in lingua volgare, corrotte e con sacrilego ardimento pessimamente interpretate, e ardiscono raccomandarne ai fedeli la lettura sotto speciosi pretesti di religione. Per la qual cosa voi comprendete benissimo, o Venerabili Fratelli, con quanta vigilanza e sollecitudine dobbiamo adoperarci, sia perché i fedeli sfuggano a tutto potere qualsivoglia lettura di quel genere, sia perché si ricordino esser vero soprattutto delle Divine Scritture, che niun uomo, soverchiamente affidato a se stesso, può arrogarsi il diritto di torcerle ai propri sensi, non attenendosi a quelle interpretazioni, che ha approvate e approva tuttavia la Santa Madre Chiesa; cui solo fu commesso dal Redentore di custodire il deposito della Fede, e di portar giudizio del legittimo senso della parola inspirata (Veggasi il Tridentino; Sess, IV, nel Decr. De Editione et usu Sacrorum Librorum).

Ma ad allontanare la peste dei cattivi libri sarà cosa giovevolissima, o Venerabili Fratelli, che chiunque primeggia presso di voi per insigne e sana dottrina, avutane da voi l’approvazione, dia egli pure alla luce degli scritti di piccola mole, sia a difesa della Religione, sia a salutevole ammaestramento del popolo. E apparterrà pure al vostro zelo che questi brevi scritti, e altri ancora di dottrina parimente incorrotta e di provata utilità dettati da altre penne, vengano sparsi fra i fedeli, secondo che le circostanze dei luoghi e delle persone lo consiglieranno.

Se non che tutti coloro che si affaticano con voi nel propugnare la Fede mireranno soprattutto a ciò: di insinuare, di conservare, di scolpire profondamente nell’animo dei fedeli commessi alle vostre cure un grande amore, venerazione e rispetto per questa Sede Apostolica, del quale ossequio voi, o Venerabili Fratelli, porgete meraviglioso esempio. Rammentino adunque i Cristiani che San Pietro, il Principe degli Apostoli (Dagli Atti del Conc. Efesino, Act. III e da San Pietro Crisologo, Ep. ad Eutpchen), vive e presiede ne’ suoi successori, la cui sublime dignità non vien meno in un suo erede, per quanto indegno (San Leon. M., Serm. in Anniv. Assumpt. suae). Rammentino che Cristo Signor Nostro pose in questa Cattedra di Pietro l’inespugnabile fondamento della sua Chiesa (Matth. XVI, 18); che consegnò a Pietro le chiavi del Regno dei cieli (ibid. V, 19); e che pregò appunto perché la fede di lui non si spegnesse, e che gli comandò di raffermare nella fede i suoi fratelli (Luc. XXII, 31, 32); e come perciò il Romano Pontefice abbia il Primato sopra tutta la terra, e sia il Padre e il Maestro di tutti i Cristiani (Dal Conc. Gen. Fior. nel defin. n. decr. dell’Unione).

Certamente il conservare e difendere la comunione e l’ossequio dei popoli verso il Romano Pontefice è il mezzo più breve e a così dire compendioso per conservarli costanti nella professione della cattolica Verità. Non può infatti accadere che alcuno si ribelli anche pochissimo dalla Cattolica Fede, senza che rigetti a un tempo l’autorità della Chiesa Romana, nella quale trovasi l’infallibile Magistero della stessa Fede fondato dal Divino Redentore, e nella quale perciò si è serbata per sempre la Tradizione che ci viene dagli Apostoli. Quindi gli eretici antichi e i protestanti dei giorni nostri, per quanto discordissimi fra di loro circa ogni altro punto di dottrina, si accordano mirabilmente in ciò, di muover guerra all’autorità della Sede Apostolica, che in nessun tempo, benché usassero di ogni arte e conato, non poterono indurre giammai in un solo dei loro errori. Per la qual cosa anche gli odierni nemici di Dio e dell’umana società non lasciano intentato qualsivoglia artificio, per affievolire e distruggere nel cuore degl’Italiani l’ossequio che portano a Noi e alla Santa Sede; certi che, venuti a capo di ciò, potranno allora soltanto contaminare l’Italia coll’empietà della loro dottrina e colla rea peste dei loro sistemi.

E per ciò che si attiene alle loro dottrine, già è noto a voi tutti, siccome, abusando dei nomi di libertà e di uguaglianza, mirino soprattutto a questo: di rendere familiari nel popolo le stolte e pericolose invenzioni del comunismo e del socialismo. È noto pure, siccome i maestri del comunismo e del socialismo, sebbene per diversa via e per vario modo, abbiano tutti per ultimo scopo, col mezzo di sofismi e di vane promesse di più felici condizioni, ingannare, agitare di continue scosse gli operai e le altre persone di basso stato, e adusarle a poco a poco a più gravi misfatti onde valersi poi dell’opera loro per invadere, manomettere, dilapidare le proprietà, in prima della Chiesa, e poscia di qualsivoglia altro legittimo posseditore: per violare infine tutti i diritti sia umani che divini; e per questa maniera distruggere il divin culto, e annullare ogni ordine della civile società. Ora in un pericolo sì spaventoso dell’Italia, è vostro debito, o Venerabili Fratelli, il mettervi in guardia e l’adoperare ogni sforzo, perché il popolo fedele ravvisi la perversità di questi fallaci sistemi e sappia che, se si lascerà da essi sedurre, quelle dottrine si volgeranno a sua rovina temporale ed eterna.

Siano adunque ammoniti i Fedeli commessi alla vostra cura, che è cosa appartenente alla natura della società umana, che tutti debbano prestare obbedienza all’autorità costituita in essa legittimamente; e che non si può toglier sillaba di quei comandamenti che sopra di questo particolare sono registrati nelle Divine Scritture. Ed infatti sta scritto: " Siate per riguardo a Dio soggetti ad ogni umana creatura, tanto al Re come superiore a tutti, quanto ai presidi come spediti da lui per far vendetta de’ malfattori e per onorare i buoni; imperocché tale è la volontà di Dio, che operando bene chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti; come liberi, e non quasi tenendo la libertà per velarne della malizia, ma come servi di Dio ". (I Petr. II, 13 seq.). E in un altro luogo "Ogni anima sia soggetta alle potestà superiori; imperocché non esiste potestà che non venga da Dio; e quelle che vi sono, sono da Dio ordinate. Per la qual cosa chi si oppone alla potestà resiste all’adorazione di Dio: e quelli che resistono, chiamano sopra di se la dannazione" (Rom. XII, 1, 2).

Sappiano inoltre, che è pur cosa tutta propria della naturale e immutabile condizione delle umane cose, che anche fra quelli che non sono nei primi posti della società, gli uni soverchino gli altri e per le doti dell’animo o per quelle del corpo, ovvero per ricchezze, ovvero per beni esteriori; e che non può farsi giammai che per qualunque pretesto di libertà e di uguaglianza sia lecito invadere o violare in qualsivoglia maniera gli altrui beni o diritti. Anche sopra questo particolare vi sono nelle Divine Scritture parecchi comandamenti di Dio chiari e inculcati in più luoghi, pei quali ci si vieta non solo il rapire l’altrui, ma fino il desiderarlo.

Oltre di ciò rammentino i poverelli e i miseri di qualsivoglia fatta, quanto essi debbano esser grati alla Religione Cattolica, nella quale palesemente e in tutta la sua purità predicasi la dottrina di Gesù Cristo, il quale protestò di avere le beneficenze conferite ai poverelli ad ai miseri come fatte a se stesso (Matth. XVIII, 15; XXV, 40, 45); e volle pure annunziarci che nel dì del Giudizio chiederà un conto particolare delle opere di misericordia, sia per rimunerare coi premi eterni coloro che le avessero praticate, sia per punire di fuoco eterno coloro che le avessero neglette (Matth. XXV, 34 seq.).

Orbene, dall’esatta custodia di questo pronunciamento del Redentore e di altri severissimi avvisi di Lui intorno alle ricchezze e ai pericoli che le accompagnano (Matth. XIX, 23 seq.— Luc. VI, 4; XVIII, 22 seq. — Ep. Tac. V, 1 seq.), ne è provenuto nella Chiesa Cattolica, che i poverelli e gli altri infelici si trovino presso di noi Cattolici in una condizione molto più mite che quella in che sono presso le altre nazioni. E più copiosi ancora sarebbero i sovvenimenti loro largheggiati, se parecchi istituti cui aveva dato essere la pietà dei nostri maggiori, negli ultimi sommovimenti della pubblica cosa, non fossero stati impoveriti, e anche distrutti. Del resto i nostri poverelli, dietro gl’insegnamenti di Gesù Cristo, si ricordino che non debbono rattristarsi della loro sorte: poiché lo stesso stato dell’indigenza dischiude loro una via più facile per procacciare la salute, ove essi sopportino di buon animo la povertà, e siano poveri di cose e anco di spirito. Conciossiaché ha detto Gesù Cristo: Beati i poveri di spirito; ché il regno dei cieli loro appartiene (Matth. V, 3).

Sappiano inoltre tutti i fedeli, che i re e i superiori tutti delle nazioni pagane si abusavano più spesso e più gravemente del loro potere che non fanno i superiori presso di noi; quindi riconoscano di essere debitori alla nostra santissima Religione, se i Principi dei tempi Cristiani timorosi, come ne li avverte la Religione, di quel severissimo giudizio che dovran dare di se quelli che comandano, e di quell’eterno supplizio pel quale i grandi sopporteranno grandi tormenti (Sap. VI, 6, 7), fan uso coi popoli loro soggetti di un reggimento più equo e più benigno.

Considerino infine i fedeli commessi alle vostre e alle Nostre cure, che la vera e perfetta uguaglianza degli uomini consiste nell’obbligo che corre ad ogni uomo di osservare la legge di Gesù Cristo; poiché quell’Iddio Onnipotente che creò il piccolo e il grande, e che ha cura egualmente di tutti (Ib. VI, 8), non darà esenzione a chicchessia, né avrà riguardo alla grandezza di alcuno (Ib.), e ha statuito il giorno nel quale giudicherà il mondo nell’equità (Act. XVII, 31) pel mezzo del Suo Unigenito Figliuolo Cristo Gesù, il quale è per venire coi suoi Angioli nella gloria del Padre suo e renderà a ciascuno secondo le operazioni ( Matth. XVI. 27).

Ché se gli stessi fedeli, messi in non cale i paterni ammonimenti dei loro Pastori, e i comandi testé accennati della legge di Gesù Cristo, si lasceranno travolgere dai già detti promovitori degli errori moderni, e vorranno cospirare con loro nei perversi sistemi del socialismo e del comunismo, sappiano e considerino attentamente, che si tesoreggeranno appresso il Divin Giudice tesori di vendetta pel giorno estremo; e che da quella cospirazione non è per derivare nel popolo una benché lieve felicità, ma uno spaventoso accrescimento di miserie e di calamità. Conciossiaché non è in potere degli uomini il fondare nuove società e comunanze contrarie alla natural condizione delle cose umane: per la qual cosa il frutto di queste cospirazioni, ove per isventura prendano piede, non può esser altro, se non che indebolito e crollato fino dalle fondamenta l’odierno stato delle pubbliche cose per via di continue vicendevoli aggressioni, rapine e orribili stragi di fratelli contro i fratelli, alcuni pochi alla fine, arricchitisi delle spoglie di molti, prendano a signoreggiare con la rovina di tutti.

Del rimanente per liberare i fedeli dalle insidie degli empi, e rinfiammarsi alle opere di vera virtù, voi sapete benissimo, quanto poderoso mezzo siano la vita e l’esempio di coloro che al ministero divino si consacrarono. Eppure, o mio Dio, in piccol numero, sì, ma non mancarono qua e là per l’Italia alcune persone Ecclesiastiche, le quali, lasciato il lor posto, passarono al campo nemico, e furono di non piccolo aiuto ai nemici della Chiesa per trarre in inganno i fedeli. Sennonché a voi, o Venerabili Fratelli, la costoro defezione fu di pungente stimolo per vegliare con ardore sempre più acceso alla disciplina del Clero. E qui desiderando Noi, come lo porta il nostro debito, provvedere anche all’avvenire, Noi non possiamo rattenerci dal raccomandarvi di bel nuovo quello che inculcammo nella prima nostra Enciclica ai Vescovi di tutto il mondo (9 novembre 1846), cioè di andare a rilento nell’imporre le mani (I Tim. V, 22), e nell’usare una diligenza ognor più squisita nella scelta della Milizia Ecclesiastica. Soprattutto riguardo a coloro che desiderano essere iniziati nei Sacri Ordini, è necessario condurre diligentissime ricerche, se essi siano commendevoli per dottrina, per bontà di costumi, e per assiduità nel divin culto, così che abbiasi una fondata speranza che a maniera di lampade ardenti nella magione di Dio, siano per arrecare un giorno sia coll’esempio della vita, sia colle sante operazioni, edificazione e vantaggio spirituale al vostro gregge.

Ma siccome dai Ministeri amministrati a dovere un grande splendore e utilità nella Santa Chiesa derivano, e siccome il Clero Regolare dà opera insieme con voi nel procurare la salute delle anime; così Noi vi commettiamo, in primo luogo, o Venerabili Fratelli, di far consapevoli a nome Nostro le Comunità religiose delle vostre Diocesi, che Noi deploriamo di cuore le particolari disgrazie, che parecchie di loro ebbero a sopportare in questi ultimi tempi calamitosi; ma che frattanto Ci fu di non leggero conforto la pazienza di animo e la costanza nella virtù e nello zelo della Religione, nelle quali moltissimi Religiosi si sono resi degni di commendazione; sebbene non siano mancati alcuni, che dimentichi della lor professione, con iscandalo dei buoni e dolore sì Nostro che dei loro fratelli, indegnissimamente prevaricarono. In secondo luogo poi vi commettiamo di esortare a nome Nostro i Presidi e Superiori delle stesse Comunità, perché secondo esige il loro dovere, non perdonino a qualsivoglia cura e industria perché la Disciplina Religiosa ove è in fiore rinvigorisca ognor più, e perché là ove ha sofferto alcun danno riviva al tutto e si rinnovelli. Gli stessi superiori ammoniscano, confortino, rimproverino all’uopo i religiosi loro alunni, perché considerando essi seriamente con quali voti si sono astretti, si adoprino con ogni premura in soddisfarli, e osservino con grande diligenza le regole dei loro Istituti, e portando continuamente nel loro corpo la mortificazione di Gesù Cristo si astengano da tutte quelle cose che sono aliene dalla lor vocazione, e si esercitino in quelle opere che o alla carità di Dio e del prossimo, o all’acquisto della perfezione appartengono. Si guardino in ispecial modo i sopraddetti Superiori di Ordini dall’ammettere alcuno nella Religione, se prima non avranno disaminato con ispecial accuratezza la sua indole, vita e costumi; oltre di che non ammettano alla professione religiosa se non quelli, che dato termine al loro noviziato, avranno fornite così chiare prove di vocazione, che si possa credere con fondamento che essi non si appigliano allo stato religioso mossi da alcun altro motivo, fuorché quello di vivere soltanto in Dio, e per procurare la propria e la salute altrui, secondo il peculiar fine di ciascun Ordine. Sopra del quale particolare oggetto Noi abbiamo fermo in animo che si osservino tutte quelle cose che a vantaggio degli Ordini Religiosi furono stabilite e prescritte nei decreti del 25 Gennaio dell’anno scorso dalla Nostra Congregazione sopra lo stato dei Regolari, e che furono approvate dalla Nostra Apostolica Autorità.

Dopo di che, richiamando il discorso alla sceltezza del Clero secolare, Noi vi raccomandiamo in primo luogo l’ammaestramento e l’educazione dei giovani Chierici; poiché è quasi impossibile che alcuno addivenga idoneo Ministro della Chiesa, se dai primi suoi anni non si è esercitato a dovere nell’adempimento dei suoi sacri doveri. Per la qual cosa proseguite, o Venerabili Fratelli, a porre ogni opera e studio perché gli aspiranti alla sacra Milizia siano accolti, per quanto è possibile, nei Seminari Ecclesiastici, e perché ivi, a modo di piantagioni novelle, crescenti attorno al Tabernacolo del Signore, si formino alla innocenza dei costumi, alla religione, alla modestia e allo spirito ecclesiastico, e imparino a un tempo le inferiori e le superiori discipline sotto la savia direzione di sceltissimi maestri, che professino dottrine aliene da qualsivoglia ombra di errore.

Nondimeno, siccome non è possibile che tutti i giovani Chierici compiano nei Seminari la carriera dei loro studi, per altra parte essendo cosa certissima che anche i giovinetti del clero secolare debbono essere a parte della vostra pastorale sollecitudine, così spetta a voi vegliare, o Venerabili Fratelli, sopra tutte le pubbliche e private scuole, e adoperarvi con ogni studio e industria perché la ragione degli studi sia in esse conforme in ogni sua parte al Cattolico insegnamento, e perché la gioventù ammaestrata convenientemente in esse nella vera virtù e nelle buone arti e discipline da professori idonei e di specchiata probità e religione, venga premunita degli opportuni aiuti, coi quali ravvisi le insidie che le sono tese dagli empi e possa riuscire di ornamento e di utilità a sé, e alla cristiana e civile repubblica.

E in quanto a questo, usando di una pienissima libertà, voi vi prenderete una special cura dei professori delle Sacre Discipline, e di tutte le altre cose che appartengono al dominio della Religione, o che la toccano da vicino. Siate vigilanti perché nelle scuole, soprattutto per ciò che riguarda la Religione, si faccia uso di libri immuni da qualsivoglia benché lieve sospetto di errore. Fate avvertiti i Pastori di anime, perché vi diano mano in tutto ciò che ha riguardo alle scuole dei fanciulli e dei giovinetti della prima età: perché siano destinati a tali scuole Maestri e Maestre di paragonatissima onestà, e perché nell’ammaestrare i fanciulli e le fanciulle nei rudimenti della Fede Cristiana si faccia uso di libri approvati da questa Santa Sede. Nel che non dubitiamo che i Parroci siano per essere loro di esempio; anzi, siam certi che i medesimi Parroci dietro le vostre esortazioni attenderanno con zelo ognor più crescente all’ammaestramento della fanciullezza nei rudimenti della Dottrina Cristiana, memori che un così fatto genere di istruzione è uno dei loro doveri principalissimi ( Tridentinum, Sess. . XXI V, c. 4 — Benedetto XIV, Const. "Etsi nimis", 7 Febbr. 1742). Gli stessi poi dovranno essere ammoniti ad avere innanzi agli occhi sia nelle loro istruzioni ai fanciulli, sia al rimanente del popolo, il Catechismo Romano, pubblicato per ordine del Concilio di Trento e di San Pio V immortal Nostro Predecessore, e cui poi altri Sommi Pontefici, ed in ispecial modo Clemente XIII di felice memoria raccomandarono di bel nuovo a tutti i reggitori di anime, come un acconcissimo aiuto per tener lontane le frodi delle dottrine perverse, e per dilatare e render stabile la vera e sana dottrina. (Nell’Enciclica a tutti i Vescovi in data del 14 Giugno 1764).

Non meravigliatevi, o Venerabili Fratelli, se Ci siamo trattenuti alquanto lungamente sopra questo argomento. Ed infatti non isfuggirà certo alla vostra prudenza, che in questi tempi pericolosi, sì voi che Noi, dobbiamo porre ogni studio, e fare ogni sforzo, e usare di una grande fortezza di animo e vigilanza, in tutto ciò che spetta alle scuole, e l’istruzione e l’allevamento dei fanciulli e dei giovani di ambedue i sessi. Imperocché vi è noto, che gli odierni nemici della Religione e dell’umana società, mossi da uno spirito al tutto diabolico, rivolgono tutte le loro mene a questo scopo di pervertire dal primo fiore degli anni le menti e i cuori dei giovani. Per la qual cosa non lasciano nulla d’intentato perché tutte le scuole e istituti, destinati all’educazione della giovinezza, vengano sottratti per ogni verso all’autorità della Chiesa e alla vigilanza dei Sacri Pastori.

Ma quanto a ciò Noi abbiamo fiducia che tutti i dilettissimi Nostri Figliuoli nel Signore i Sovrani dell’Italia verranno in vostro aiuto col potente lor braccio, sì che possiate soddisfare al vostro debito più pienamente, nelle cose già dette; né dubitiamo che essi vorranno prendere la difesa della Chiesa e di tutti gli spirituali e temporali suoi diritti. Certo non vi è cosa che si convenga meglio di questa alla religione e pietà avita, di cui si mostrano animati, e della quale sono di esempio ad altrui. Non isfugge per fermo alla loro avvedutezza che i primordi di tutti i mali che ci opprimono sì gravemente, si hanno a ripetere dai danni che la Religione e la Chiesa ebbero a sostenere già dal bel principio del Protestantesimo. Quei Principi conoscono assai bene, che dall’autorità dei Prelati Ecclesiastici soventi volte conculcata, e dalla ostinatezza crescente ogni giorno più nel violare a man salva i divini ed ecclesiastici comandamenti, ne risultò che diminuisse pure nei popoli l’ossequio verso la civile Potestà, e si schiudesse la via agli odierni nemici della pubblica tranquillità per macchinare ribellioni contro i Monarchi. Quei Principi comprendono a maraviglia, che dalla usurpazione, dal saccheggio e dalla pubblica vendita dei beni temporali appartenenti per legittimo diritto di proprietà alla Chiesa, ne nacque che illanguidisse nei popoli la riverenza verso le proprietà sacre per religiosa destinazione, e che quindi molti prestassero volentieri l’orecchio agli audacissimi difensori del socialismo e del comunismo, i quali van divisando anch’essi d’impadronirsi, e dividere e convertire in qualsivoglia altro modo ad uso altrui le umane proprietà. S’avveggono inoltre che quei legami con cui in addietro con molteplici artifizi si vollero legare i Pastori della Chiesa, anziché non usassero liberamente della sacra loro Autorità, quei legami stessi vennero a costringere a poco a poco la Potestà civile. Conoscono finalmente che non vi è rimedio alcuno più pronto né più efficace contro le calamità che ci affliggono, del far rivivere in tutta l’Italia l’antico splendore della Religione e Chiesa cattolica, nella quale non ha dubbio trovarsi acconcissimi rimedi per qualsivoglia condizione di uomini e bisogno che occorra.

E in verità (sono parole di Sant’Agostino) "la Chiesa Cattolica abbraccia non solamente lo stesso Dio, ma anche la dilezione e la carità del prossimo per guisa, che sovrabbonda in lei ogni sorta di medicamento confacentesi ai morbi, dei quali infermano le anime pei loro peccati. Ella fanciullescamente i fanciulli, fortemente i giovani, quietamente i vecchi, siccome porta l’età del corpo e dell’animo di ciascuno, esercita ed ammaestra. Ella assoggetta con pura e fedele obbedienza le mogli ai loro mariti, non perché sfoghino la libidine, ma perché generino figliuoli, e pel bene della domestica società; e vuole che il marito sia superiore alla moglie non perché irrida al sesso più debole, ma perché l’ami con sincera affezione. Ella sottopone i figli ai parenti con una cotale libera servitù, e vuole che questi sovrastino a quelli con amorevole impero. Ella lega i fratelli ai fratelli col vincolo della Religione, vincolo più stretto e durevole che quello del sangue; e ogni legame di parentela e ogni strettezza di affinità, serbati intatti i vincoli della natura e della volontà, stringe con vicendevole a amore. Ella insegna ai servi l’affezionarsi ai padroni non tanto per necessità di condizione quanto per la soavità del dovere; e colla considerazione di un Dio Signore universale di tutti, rende i padroni miti verso i loro servi e propensi più ai consigli che non ai castighi. Ella colla ricordanza dei primi Padri congiunge i cittadini ai cittadini, i popoli ai popoli, e gli uomini tutti, non tanto avvicinandoli della persona, quanto stringendoli di fraterno amore. Insegna ella ai monarchi di provvedere ai popoli, ammonisce i popoli a soggettarsi ai monarchi. Insegna ella sollecitamente cui debbasi onore, cui affetto, cui riverenza, cui timore, cui conforto, cui ammonimento, cui esortazione, cui insegnamento, cui rimprovero, cui supplizio, addimostrando come non debbasi a tutti ogni cosa, e a tutti debba usarsi carità, e a niuno debba farsi aggravio (Sant’Agostino, De Moribus Catholicæ Ecclesiæ; lib. I) ".

Pertanto Nostro e vostro debito si è, o Venerabili Fratelli, il non perdonare a qualsivoglia fatica, e non lasciandoci intimorire da qualsivoglia difficoltà, metterci con tutta la forza dello zelo pastorale a difendere nei popoli Italiani il culto della Cattolica Religione, e non solamente far fronte con alacrità ai conati degli empi che si studiano di distaccare l’Italia dal seno della Chiesa, ma sforzarci pure di ricondurre sul buon sentiero que’ degeneri figliuoli di essa, che si fossero lasciati già sedurre dalle loro arti.

Nondimeno, siccome ogni favore più scelto e ogni dono perfetto scende dall’alto, portiamoci con fiducia, o Venerabili Fratelli, al trono della Grazia, e non cessiamo dal porgere vive suppliche e scongiuri sia con private sia con pubbliche preghiere al celeste Padre dei lumi e delle misericordie, sì che pei meriti dell’Unigenito suo Figliuolo Gesù Cristo Signor Nostro, rivolgendo Egli il volto dalle nostre colpe, irraggi misericordiosamente le menti e i cuori di tutti coll’efficacia della sua grazia; e traendo a sé le volontà a Lui ribelli, renda gloriosa la Santa Chiesa per nuove vittorie e nuovi trionfi; per modo che il popolo che gli rende omaggio cresca per merito e per numero in tutta l’Italia, anzi per tutto il mondo. Invochiamo pure la Santissima Madre di Dio, l’Immacolata Vergine Maria, che col potentissimo suo patrocinio ottiene ciò che domanda, e le cui richieste non possono andar fallite; e invochiamo ancora il Principe degli Apostoli San Pietro, e il Santo Apostolo Paolo, e tutti i Santi del Cielo, perché il pietosissimo Iddio, alla loro intercessione, tenga lungi dai popoli fedeli i flagelli dell’ira sua, e conceda misericordiosamente a tutti coloro che sono insigniti del nome di Cristiani, di ripudiare colla sua grazia tutto ciò che si oppone a questo nome, e di operare tutto ciò che gli è conforme.

Infine, o Venerabili Fratelli, ricevete a pegno della nostra vivissima affezione la Benedizione Apostolica, che a voi tutti, e ai Laici fedeli commessi alla vostra vigilanza compartiamo con sincerissimo amore.

Dato a Napoli, dal sobborgo di Portici, li 8 Dicembre dell’anno 1849, IV del Nostro Pontificato.

sabato 1 novembre 2014

BOLLA DI CANONIZZAZIONE DI SANTA CHIARA - ALESSANDRO IV AGOSTO/SETTEMBRE 1255

Alessandro vescovo, servo dei servi di Dio, a tutti i venerabili fratelli arcivescovi e vescovi, salute e apostolica benedizione. Chiara, luminosa per chiari meriti, risplende in cielo per chiarità di gloria e in terra rigulge dello splendore di miracoli sublimi. Brilla, quaggiù in terra, l'austero ed alto Ordine fondato da Chiara, e lassù in cielo irradia splendore la grandezza del premio eterno; e la sua potenza abbaglia i mortali per miracoli meravigliosi. A questa Chiara si intitolò in terra il privilegio della più rigida povertà; a lei in cielo è dato in ricompensa un inestimabile profluvio di tesori ed è tributata dai credenti universale devozione ed immenso onore. La pienezza della luce divina rende luminosa Chiara in cielo; le stupende meraviglie dei prodigi da lei operati la fanno risplendere quaggiù al popolo cristiano. O Chiara dotata di tali e tante prerogative di chiarezza! Sei stata, invero, chiara prima della tua conversione, più chiara nel tuo cambiamento di vita, luminosa nella tua vita claustrale, splendente infine di luce vivissima dopo il corso della presente esistenza! Da Chiara spuntò per il mondo un chiaro specchio di esempio; nel gaudio del cielo ella porge il fragrante giglio della verginità, e in terra si sperimenta in modo evidente il soccorso della sua protezione. O meravigliosa e beata chiarezza di Chiara! Quanto maggiore è l'amore e la cura con cui si indaga questa luminosità nei singoli fatti particolari, tanto più luminosa la si riscontra in ciascuno! Ella veramente rifulse mentre viveva nel mondo, ma più vivida risplendette nella vita religiosa; brillò come raggio nella sua casa paterna, ma nel chiostro irradiò come un sole. Scintillò in vita, ma dopo morte splende radiosa; fu chiara in terra, ma in cielo rifulge di immenso chiarore. Quanto vivida è la potenza di questa luce e quanto forte è il chiarore di questa fonte luminosa! Invero, questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita caustrale, e fuori irradiava bagliori luminosi; si raccoglieva in un angusto monastero, e fuori si spandeva quanto è vasto il mondo. Si custodiva dentro: e si diffondeva fuori. Chiara, infatti, si nascondeva: ma la sua vita era nota a tutti. Chiara taceva: ma la sua fama gridava. Si teneva nascosta nella sua cella: eppure nelle città si predicava di lei. Nulla di strano in questo: perché non poteva avvenire che una lampada tanto vivida, tanto splendente rimasse occulta senza diffondere luce ed emanare chiaro lume nella casa del Signore; né poteva rimanere nascosto un vaso con tanti aromi, senza emanare fragranza e cospargere di soave profumo la casa del Signore. Ché anzi, spezzando duramente nell'angusta solitudine della sua cella l'alabastro del suo corpo, riempiva deglia aromi della sua santità l'intero edificio della Chiesa. Invero, vivendo essa ancora fanciulla nella vita secolare, fin dalla più tenera età si studiò di varcare per un sentiero di purezza questo mondo fragile e impuro; e sempre custodendo il prezioso tesoro della sua verginità con illibato pudore, si dedicava assiduamente ad opere di carità e di pietà, sì che la sua fama si diffondeva grata ed encomiabile presso vicini e lontani: finché il beato Francesco, udito l'elogio della sua virtù, prese tosto ad esortarla inducendola al perfetto servizio di Cristo. Ed ella, accogliendo pronta i suoi santi consigli e desiderando ormai rinunciare completamente al mondo e ai beni della terra per servire il Signore solamente in povertà volontaria, quanto prima poté mandò ad effetto questo suo ardente desiderio. E infine tutti i suoi beni alienò e distribuì a profitto dei poveri,per dispensare in elemosina, per amore di Cristo, quanto era di sua proprietà. Volendo poi ritratarsi dal frastuono del mondo, si recò fuggendo in una chiesa campestre, dove dallo stesso beato Francesco ricevette la sacra tonsura, da lì si rifugiò poi in un'altra chiesa. Avvene in quel luogo che, sforzandosi i suoi parenti di ricondurla via con loro, ella resistette con fortezza e costanza; abbracciò subitamente l'altare e, tenedosi stretta alle tovaglie, scoprì ad essi il capo tonsurato, volendo con ciò manifestare che, essendosi ormai, con tutto il cuore, sposata a Dio, non poteva permettere che la si strappasse dal servizio di Cristo. Infine, essendose portata per intervento dello stesso beato Francesco presso la chiesa di San Damiano, fuori della città di Assisi, nella quale terra aveva avuto i natali, lì il Signore, desiderando amore e culto assiduo del suo nome, le associò molte compagne. Da qui, invero, trasse salutare origine l'insigne e santo Ordine di San Damiano, già ampiamente diffuso per il mondo. Qui Chiara, per esortazione dello stesso beato Francesco, diede principio a questa nuova e santa osservanza; ella fu il primo e stabile fondamento di questo grande Ordine; fu la pietra angolare di questo sublime edificio; Nobile di sangue, ma più nobile per la sua vita, conservò sotto questa regola di meravigliosa santità, la verginità, che già prima aveva custodita. In seguito anche sua madre, di nome Ortolana, tutta dedita ad opere di pietà, seguendo i passi della figlia, abbracciò devotamente in quest'Ordine la vita religiosa: nel qual, appunto, questa ottima ortolana, che aveva generato tale pianta nel campo del Signore, chiuse felicemente i suoi giorni.
Dopo qualche anno, invero, la beata Chiara, piegandosi all'insistenza di san Francesco, accettò il governo del monastero e delle sorelle. Questa fu l'albero alto, proteso verso il cielo, dai rami dilatati, che nel campo della Chiesa produsse soavi frutti di religione, e alla cui ombra piacevole e amena molte seguaci accorsero da ogni parte, e tuttora accorrono per gustarne i frutti. Questa fu la nuova donna della valle Spoletana, che aprì una novella sorgente di acqua vitale ristoro e beneficio delle anime, la quale, già diramatasi per vari ruscelli nel territorio della Chiesa, rese prospero il vivaio della religione. Questa fu l'eccelso candelabro di sanctità, che rigulge vividamente nel tabernacolo del Signore; al cui grande splendore accorsero, attratte, e tuttora accorrono moltissime, per accendere a quel lume le loro lampade. Questa, per vero, piantò nel campo della fede e coltivò la vigna della povertà, dalla quale si raccolgono pingui e copiosi frutti di salvezza. Questa, nel territorio della Chiesa, coltivò il giardino dell'umiltà, adorno di ogni specie di povertà, nel quale fiorisce in abbondanza ogni virtù. Questa fabbricò nella cittadella della religione una rocca di rigorosa astinenza, in cui si dispensa larga refezione di alimento spirituale. Questa fu la prima dei poveri, la guida degli umili, la maestra dei casti, l'abbadessa delle penitenti. Questa governò il suo monastero e la famiglia a lei affidata con ogni sollecitudine e prudenza, nel timore e nel servizio del Signore e secondo la perfetta osservanza dell'Ordine.
Vigilante nel dovere, premurosa nell'adempimento del servizio a lei affidato, cauta nelle esortazioni, caritatevole nell'ammonire; nel correggere moderata, temperata nel comando, ammirevole per compassione, discreta nel tacere, assenata nel parlare e accorta in tutto quanto concerne il saggio governo; desiderosa più di servire che di comandare, e di onorare le altre, più che di essere onorata. La sua vita era per le altre ammaestramento e scuola di sapienza. In questo libro di vita, tutte le altre appresero la loro regola di vita, in questo specchi di vita, tutte videro riflesso il sentiero della vita. Col corpo, infatti, era pellegrina sulla terra, ma con lo spirito dimorava in cielo; fu vasello di umiltà, arca di castità, fuoco di carità, dolcezza di bontà, fortezza di pazienza, mediatrice di pace e comunione d'amicizia: mite nelle parole, dolce nell'azione e in tutto amabile e gradita. Affinché, franto il corpo, diventasse più forte lo spirito - poiché ciascuno, appunto, diventa più forte quando èindebolito il suo nemico - aveva per letto la terra nuda e qualche volta dei sarmenti, e per guanciale un duro legno sotto il capo; era contenta di un'unica tonaca con un mantello di vile, rozzo ed ispido panno grossolano: e mentre con così umili vesti copriva il suo corpo, sulla nuda carne si cingeva talora di un aspro cilicio intrecciato con cordicelle di crine di cavallo. Parca nel cibo e sobria nel bere, a tale austerità giungeva la sua astinenza, che per lungo tempo in tre giorni della settimana, cioè il lunedì, il mercoledì e il venerdì non prendeva affatto alcun cibo a sostegno del corpo, e nondimeno negli altri giorni a tal punto si riduceva la quantità di alimento, che le altre si meravigliavano di come potesse reggersi con un rigore di tale genere. Assidua inoltre nelle veglie e intenta alla preghiera, in questo soprattutto spendeva la maggior parte del giorno e della notte. Travagliata, infine, da prolungate malattie, così che non le era dato di levarsi da se stessa per le occupazioni manuali, si faceva sollevare con l'aiuto delle sue sorelle e, sorretta alle spalle da appositi sostegni, lavorava con le sue mani così da non stare oziosa neppure nell'infermità-Onde di quella tela di lino, frutto del suo amoroso lavoro, fece fare molti corporali per il sacrificio dell'altare e li fece distribuire per diverse chiese nella piana e per i monti di Assisi. Fu soprattutto, però, un'innamorata e un'indefessa seguace della povertà; e tanto fissò al suo cuore questa virtù, tanto fu avvinta dal desiderio di possederla, che amandola sempre fermamente e sempre più ardendo nell'abbracciarla, mai si scostò per nessuna ragione dalla sua stretta e piacevole unione. E mai da alcuno, in nessun modo, poté essere persuasa ad acconsentire che il suo monastero possedesse qualche proprietà: quantunque papa Gregorio, di felice memoria, nostro predecessore, volendo fosse intenzionato a dotarlo di possessioni sufficienti ed adeguate al sostentamento delle sorelle. E per vero, poiché una luce grande e fulgida non può rimanere occultata senza irradiare chiarore, così anche durante la sua vita la potenza della sua santità rifulse in molti e svariati miracoli. Infatti, ad una delle sorelle del suo monastero restituì la voce, che aveva perso quasi completamente da lungo tempo; ad un'altra, priva del tutto dell'uso della lingua, rese sciolta la parola. Ad un'altra riaprì all'udito un orecchio affetto da sordità. Conun semplice segno di croce, ne risanò un'altra dalla febbre; un'altra enfiata per idropisia; un'altra ancora piagata da fistola e molte altre oppresse da diversi mali. E guarì un frate dell'Ordine dei Minori affetto da pazzia. Una volta, poi, essendo venuto a mancare completamente in monastero l'olio, ella, fatto chiamare il frate che era addetto a questuare elemosine per il monastero, prese un orciolo e, dopo averlo lavato, lo collocò vuoto accanto alla porta del monastero, perché il frate lo portasse con sé per questuare l'olio. Ma, allorché tale frate andò per prenderlo, lo trovò colmo di olio, elargito per grazia della carità divina. E ancora, non essendovi un altro giorno in tutto il monastero se non mezzo pane per il pasto delle sorelle, comandò che quel mezzo pane fosse tagliato a pezzettini e dispensato alle sorelle.
Ma colui che è il pane vivo e provvede il cibo agli affamati, lo moltiplicò in modo tale fra le mani di colei che lo sminuzzava, che ne furono fatte cinquanta abbondanti porzioni e vennero dispensate alle sorelle già assise a mensa. Per questi ed altri stupendi miracoli, manifestò, ancora vivente, l'eccellenza dei suoi meriti. Mentre poi si trovava agli estremi, fu visto entrare nel luogo dove la serva di Cristo giaceva, un luminoso stuolo di beate vergini, adorne di corone splendenti, tra le quali una appariva più maestosa e più bella delle altre. Esse avanzarono fino al lettuccio di lei, e attorniandola, le prestarono quasi sollievo di visitatrici e conforto di consolazione, con premurosa cura. Dopo la sua morte, poi, fu condotto al suo sepolcro un malato di mal caduco, che non poteva camminare da sé per la contrazione di una gamba: e, lì davanti, la sua gamba risuonò fragorosamente, ed egli fu guarito dall'una e dall'altra infermità. Si videro persone incurvate nella schiena, rattrappite per malattia, pazzi furiosi in preda ad eccessi di demenza, riacquistare al sepolcro di lei perfetta sanità. Un tale che, per un grave colpo aveva perduto l'uso della mano destra, a tal punto che, resa del tutto inutile, non la poteva adoperare in alcun modo, per i meriti della Santa riacquistò completa sanità, riottenendo la sua mano come era prima. Un altro, che aveva perso al vista ed era da lungo tempo cieco, venuto al medesimo sepolcro accompagnato da un altro, vi ricuperò la vista e se ne ritornò senza bisogno di guida. Per questi e per moltissimi altri fatti e meravigliosi miracoli, questa beata vergine diffuse luminoso chiarore, così che in lei si vide evidentemente avverata quella profezia che sua madre udì, a quanto dice, mentre pregava gravida di lei: che cioè avrebbe partorito una luce tale da rischiarare grandemente l'universo.
Gioisca, dunque, la madre Chiesa, per aver generato ed educato una tale figlia, la quale, come madre feconda di tutte le virtù, generò alla religione, con la virtù dei suoi esempi, un gran numero di discepole, e con il suo compiuto ammaestramento, le formò al perfetto servizio di Cristo. Ne gioisca anche la turba devota dei fedeli, perché il Re e Signore dei cieli ha introdotto con tanta gloria nel suo eccelso e splendente palazzo la loro sorella e compagna, che Egli si era eletta per sua sposa. Così come giubilano in festa le schiere dei santi, celebrandosi nella loro celeste patri Le Nozze novelle della sposa del Re. Ora, poiché è conveniente che una vergine da Dio esaltata in cielo, sia venerata in terra dalla Chiesa universale, e poiché, dopo diligente ed attenta inquisizione e rigoroso esame e premessa una solenne discussione, non ci sono dubbi a riguardo della santità della sua vita e sui suoi miracoli; benché siano ormai assai note anche altrimenti, nelle vicine e lontane regioni, le sue chiare gesta, Noi, di comune consiglio e assenso di tutti i nostri Fratelli e prelati, che si trovano attualmente presso la Sede Apostolica, confidando nell'onnipotenza divina, con l'autorità dei beati Pietro e Paolo Apostoli e Nostra, abbiamo ritenuto di doverla iscrivere nel catalogo delle sante vergini. Pertanto, avvertiamo voi tutti ed espressamente vi esortiamo, ingiungendovelo tramite queste lettere apostoliche, di celebrare con ogni devozione e solennità la festa di questa vergine, il 12 di agosto , e di farla celebrare con la medesima devozione dai vostri fedeli, onde possiate meritare di averla presso Dio per vostra buona e sollecita protettrice. E affinché la moltitudine del popolo cristiano accorra al suo venerabile sepolcro con più ardore e in maggior numero, e la sua festa sia celebrata con maggiore concorso di popolo, Noi, per la misericordia di Dio onnipotente e confidando nell'autorità dei beati Pietro e Paolo Apostoli, accordiamo annualmente l'indulgenza di un anno e quaranta giorni a tutti coloro che, veramente contriti e confessati, si recheranno con devozione ed umiltà al sepolcro di questa vergine, nel giorno della sua festa o anche entro l'ottava, per chiedere la sua protezione.
Dato ad Anagni, il 26 settembre, nell'anno primo del nostro pontificato.

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