Il Monumento del Bersagliere di Porta Pia si trova proprio nei pressi della storica Breccia che fece crollare dopo quasi due millenni lo Stato della Chiesa. L'opera fu voluta dall'Associazione Nazionale Bersaglieri negli anni venti, per poi essere spostata più avanti nel tempo solamente dopo la firma dei Patti lateranensi nel 1929. Il concorso fu proposto nel 1930 e tutte le proposte furono vagliate da Mussoline, anch'egli bersagliere, cercando di scegliere il progetto che più si avvicinasse a quello spirito patriottico-monumentale e simbolico voluto dal mondo politico. Fu Publio Morbiducci ad assicurarsi la commessa grazie anche alla rappresentazioni e alle figure più importanti e valorose dei bersaglieri.
Le battaglie e i Personaggi rappresentati sul Monumento
Battaglia di Ponte di Goito
La celeberrima battaglia di Ponte di Goito ebbe luogo l'8 aprile dell'anno 1848 durante la Prima Guerra di Indipendenza. Subito dopo le Cinque Giornate di Milano e la seguente dichiarazione di Guerra all'Austria, l'esercito regio attraversò il Ticino: le truppe di Carlo Alberto seguivano gli austriaci che stavano ripiegando. L'8 aprile la 2° compagnia bersaglieri e le compagnie del battaglione Real Navi aggregate alle brigate Regina e Aosta arrivarono a Goito strenuamente difesa da 1200 soldati tirolesi. I bersaglieri attaccarono gli avversari che sbarravano l'ingresso al paese, ma questo provocò la reazione austriaca: mentre la colonna di Lyons avanzava lentamente grazie al fuoco di sbarramento, Alessandro La Marmora fu colpito ad una mandibola da un proiettile. Successivamente gli austriaci riuscirono a distruggere solamente una parte del ponte e questo permise ai bersaglieri di ripartire all'attacco. Durante questo violentissimo scambio di colpi caddero Galli della Mantica, sottotenente dei bersaglieri e il tenente Wright. Saverio Griffini riuscì a raggiungere l'altra sponda del fiume catturando 53 tirolesi e un cannone. Le vittorie a Valeggio sul Mincio e Monzambano portarono in mani piemontesi gli altri fondamentali passaggi sul fiume costringendo gli austriaci a riparare nelle due vicine fortezze del Quadrilatero: Mantova a sud e Peschiera a nord, il cui assedio ebbe inizio il successivo 13 aprile.
Luciano Manara
Luciano Manara nacque a Milano il 25 marzo del 1825 e morì a Roma il 30 giugno 1849. Partecipò come volontario alle Cinque Giornate di Milano capeggiando l'operazione che vide la conquista di Porta Tosa. Dopo la sconfitta sabauda nella Battaglia di Novara decise di partecipare alla difesa della Repubblica Romana; il 22 aprile partò per Civitavecchia raggiungendo Roma dopo sette giorni. Il 16 maggio occupò Anagni prima e Frosinone e, proprio mentre Oudinot e le sue truppe stavano attaccando Roma, Garibaldi lo fece Capo di Stato Maggiore. Nei pressi di Villa Spada fu colpito a morte il 30 giugno 1848. Il funerale fu celebrato nella storica chiesa di San Lorenzo in Lucina. Unitamente a Enrico Dandolo e Emilio Morosini fu portato nei pressi di Lugano dove fu sepolto temporaneamente con la famiglia Morosini. Solo nel 1864 ai Manara fu concessa la possibilità di erigere una tomba di famiglia
Enrico Toti
Enrico Toti è un famoso eroe italiano perito durante la Prima Guerra Mondiale. La sua vita cambiò nel 1908 quando, mentre lavorava su di una locomotiva, rimase incastrato con la gamba sinistra negli ingranaggi meccanici che la stritolarono. Nel 1911 raggiunse Parigi sulla sua fedele bicicletta con un solo pedale per poi arrivare in Belgio e Danimarca per poi arrivare in Lapponia per chiudere il suo viaggio in Finlandia e Lapponia. Nel 1913 arrivò ad Alessandria d'Egitto spingendosi verso il Sudan, dove fu fermato e rimandato al Cairo da dove si imbarcò per il ritorno in patria. Scoppiato il primo conflitto mondiale Toti raggiunse da volontario Cervignano del Friuli adibito ai cosiddetti "servizi non attivi". La sua mitica figura è legata alla Battaglia dell'Isonso nell'agosto del 1916 che si concluse con la presa di Gorizia. Il 6 agosto dell'anno 1916, Toti si lanciò all'attacco ad est di Monfalcone dove fu ripetutamente colpito da colpi di arma da fuoco: con un gesto che rimase nella storia e nel mito scagliò la sua gruccia contro il nemico esclamando "nun moro io" poco prima di baciare il suo cappello piumato per l'ultima volta. Proprio in quella zona è ben visibile un cippo monumentale che ricorda il mitico avvenimento
«In pieno giorno superammo lo sbarramento nemico allo scoperto". Alle quindici circa del 6 agosto 1916 arrivammo a quota 85 (appena fuori Monfalcone, prima del fiume Lisert, in località Sablici). Venne subito l'ordine d'avanzare ed Enrico era tra i primi. Aveva percorso 50 metri quando una prima pallottola lo raggiunse. M'avvicinai mentre eravamo entrambi allo scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi. Continuava a gettare bombe, e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una pallottola, questa volta l'ultima, lo colpì in fronte»
Sciara Sciat
Con la Battaglia di Sciara Sciatt i turchi ottomani, dopo averla persa, tentarono inutilmente di riprendere la città di Tripoli che era stata occupata dall'esercito italiano. Quando gli italiani riconquistarono l'area del cimitero di Rebab scoprirono che quasi tutti i prigionieri erano stati trucidati, secondo la relazione ufficiale italiana "molti erano stati accecati, decapitati, crocifissi, sviscerati, bruciati vivi o tagliati a pezzi". Analogo resoconto fu fatto dal giornalista italo argentino Enzo D'Armesano che era inviato sul posto per il quotidiano argentino "La Prensa". Il mattino successivo iniziarono le perquisizioni nella zona di Sciara Sciat, finalizzate al sequestro di armi e munizioni, effettuate da uno dei battaglioni della Marina. Si passò a controllare ogni singola abitazione e poi a rastrellare l'intera oasi. Tutti coloro che furono trovati armati furono immediatamente passati per le armi e quelli considerati malfidi furono arrestati e scortati a Tripoli[22]. Nei tre giorni seguenti avvenne una vera e propria caccia all'arabo, inasprita anche dalle crudeltà che gli arabi stessi avevano avuto verso i feriti ed i prigionieri caduti nelle loro mani. Il Primo ministro Giovanni Giolitti si ritrovò con un gran numero di prigionieri civili da gestire in territorio nemico e propose qualche giorno più tardi la deportazione in Italia alle isole Tremiti. Alle Tremiti esisteva già un campo in grado di accogliere fino a 400 prigionieri ma infine ne giunsero circa 1300, mentre altri furono destinati ad altre località. Nell'opinione pubblica italiana la notizia della sanguinosa battaglia e la sorte dei bersaglieri trucidati a Sciara Sciatt rafforzò l'idea che in Libia fosse lecito ricorrere alla repressione contro gli insorti. Invece la stampa estera condannò la reazione italiana, particolarmente dura fu la stampa britannica, con i giornali liberali in prima fila mentre quelli conservatori pur condannando l'azione italiana mantennero toni più pacati. Non è possibile effettuare un conteggio delle vittime della repressione italiana poiché non furono stilati dati all'epoca, le uniche cifre certe riguardano i caduti italiani che ammontano a 105 caduti a cui sono da aggiungere i 290 dispersi che furono uccisi nel cimitero di Rebab ma furono rinvenuti più tardi. La battaglia del 23 ottobre a Sciara el Sciatt fu per gli italiani il fatto d'arme più sanguinoso di tutta la campagna, con 378 morti (di cui 8 ufficiali) e 125 feriti.
Riva di Villasanta
Nacque da una famiglia di militari. Fece i suoi primi studi a Cagliari al Ginnasio “Siotto Pintor” e scoppiata la guerra la sua famiglia si trasferì a Milano dove frequentò l’Istituto Militarizzato di San Celso. Suo padre Giovanni, Maggiore della Brigata Sassari, decorato con due medaglie d'argento al valor militare, cadde combattendo a Monte Castelgomberto, sull’Altipiano di Asiago il 7 giugno 1916. Ai primi di ottobre del 1917, all'età di diciassette anni, fuggì da casa per arruolarsi volontario, e avendo falsificato il suo certificato di nascita in modo che potesse essere nominato Ufficiale senza che avesse raggiunto l’età prescritta, fu arruolato nel 90º Reggimento Fanteria Brigata Salerno. Poco dopo ottenne di recarsi al fronte dove prese parte a diversi combattimenti sul Monte Grappa e sul Piave segnalandosi per il suo valore. Prese parte a un Corso Allievi Ufficiali presso il Comando della III Armata e fu primo classificato, ottenendo, col grado di Aspirante, l’assegnazione nel Corpo dei Bersaglieri da lui prescelto. Nell’agosto del 1918, sul Piave, al comando di un plotone di Arditi, si guadagnò una Medaglia d’argento. Promosso sottotenente di Complemento sempre nell’ 8° Bersaglieri, gli fu affidato il comando delle “Fiamme Cremisi” reggimentali. Fu proposto per la promozione a effettivo per Merito di Guerra, ma cadde eroicamente prima di poter conseguire tale onore. Il 4 novembre 1918, pochi momenti prima della cessazione delle ostilità, al Bivio di Paradiso, mentre alla testa dei suoi Bersaglieri, incalzava il nemico in ritirata, cadde colpito in fronte dalle ultime scariche di una mitragliatrice nemica. Fu l'ultimo militare italiano morto durante la guerra del '15-18.
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