Il seguente testo racconta uno dei momenti più drammatici nel conflitto tra Stato e Chiesa durante il Medioevo, l'affaire Thomas Becket. Enrico II fece uccidere Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury il 29 dicembre 1170. Il prelato, in disaccordo con il re, andò in Francia in esilio ma, su invito del re, decise di tornare dato che il sovrano temeva un accordo con il pontefice Alessandro III contro il Plantageneto. Rientrato nella cattedrale di Canterbury, fu ucciso da Ugo di Morville, William de Tracy, Reginald Fitz Urse e Richard Le Breton. A questo evento drammatico assistette Edward Grimm che si vide morire l'arcivescovo tra le sue braccia. Il testo che segue è proprio una cronaca di Grimm...
Assassinio nella Cattedrale
Nel momento in cui i monaci si ritirarono all'interno della chiesa, i quattro cavalieri li seguirono rapidamente. Essi erano accompagnati da un tal suddiacono chiamato Mauclerc, poichè era un uomo che non mostrava rispetto nè verso Dio nè per i santi, come provò col suo successivo comportamento. Appena l'arcivescovo Tommaso entrò nella cattedrale, i monaci interruppero il canto dei vespri, che avevano già iniziato ad offrire a Dio, e gli corsero incontro, rendendo grazie al Signore poichè vedevano vivo ed illeso il loro padre, dopo aver temuto che fosse morto. Si apprestavano anche ad impedire al nemico il massacro del loro pastore sprangando i battenti delle porte che davano accesso alla chiesa, ma il valoroso campione di Cristo si volse loro ed ordinò che le porte rimasero spalancate dicendo:
"Non è cosa giusta trasformare in fortezza la casa della preghiera e la chiesa di Cristo, in quanto essa, anche quando non è chiusa, concede protezione sufficiente ai suoi figli. Soffrendo invece che combattendo, trionferemo sul nemico, perchè noi siamo qui per soffrire, non per resistere"
Senza por tempo in mezzo quegli uomini sacrileghi, con spade sguainate, entrarono nella casa della pace e della riconciliazione, incutendo grande orrore nei presenti con il loro aspetto e col rumore delle loro armature. Tutti i presenti erano stupefatti e costernati, poichè ora coloro che erano stati a cantare i vespro erano giunti al momento della morte. Follemente infuriati i cavalieri gridarono:
"Dov'è Tommaso Becket, traditore del re e del regno?" Dal momento che egli non rispondeva, gridarono ancor più forte e insistentemente.
"Dov'è l'arcivescovo?"Al che, senza alcuna paura egli discese i gradini sui quali i monaci lo avevano trascinato per paura dei cavalieri, e rispose con voce perfettamente chiara:
"Sono qui, non traditore del re, ma prete. Cosa volete da me?" Ed avendo già detto loro in precedenza che non aveva paura di loro, ora aggiunse:
"Guardate, sono pronto a soffrire nel nome di Colui che mi ha redento con il suo sangue. Lungi da me fuggire dalle vostre spade o allontanarmi dalla giustizia". Così detto, si mosse verso destra, sotto un pilastro, avendo da un lato l'altare della benedetta madre di Dio, Maria sempre vergine, e dall'altro quello del santo martire Benedetto, ispirandosi all'esempio dei quali ed avendo crocifisso il mondo ed i suoi appetiti, sopportò tutto ciò che gli assassini gli fecero con tale fermezza di spirito che sembrava già fuori della carne. Gli assassini lo seguirono dicendo:
"Assolvi e riammetti alla comunione coloro che hai scomunicato, e restituisci le funzioni del loro ufficio agli altri che sono stati sospesi?".
Rispose:
"Poiché non c'è stata ammenda, non li assolverò"
"Allora morrai in questo istante, ed avrai ciò che meriti", gridarono. Egli rispose:
"Anch'io sono pronto a morire per il mio Signore, affinché nel mio sangue la Chiesa possa ottenere pace e libertà, ma nel nome di Dio onnipotente vi proibisco di arrecare danno ad alcuno dei miei uomini, sia religioso che laico". Così quel nobile martire pensò ai suoi seguaci, con pietà e prudenza, in modo che nessuno a lui vicino fosse colpito né fossero oppressi gli innocenti, ad evitare che eventuali danni a coloro che erano presso di lui offuscassero la luce della sua gloria quando la sua anima sarebbe salita a Cristo. Allora si scagliarono contro di lui e posero mani sacrileghe su di lui, spingendolo e trascinandolo con inaudita violenza, sforzandosi di portarlo fuori dalle mura della chiesa e lì ucciderlo, o legarlo e portarlo via prigioniero, come, a quanto in seguito confessarono, era loro intenzione. Ma poiché non riuscivano ad allontanarlo dal pilastro, uno di essi si aggrappò a lui e lo strinse ancora più forte. L'arcivescovo lo scrollò vigorosamente, chiamandolo mezzano e dicendo:
"Non mi toccare, Reginaldo; tu mi devi fedeltà ed obbedienza. Ti stai comportando come un folle, tu ed i tuoi complici". Infiammato di furia tremenda per questo rimprovero, il cavaliere brandì la spada contro quella testa consacrata, gridando:
"Né fedeltà, né obbedienza ti devo al di sopra della mia fedeltà al re mio signore".
Allora il martire invitto comprese che si avvicinava il momento che lo avrebbe liberato dalle miserie di questa vita mortale, e che la corona dell'immortalità preparata per lui e promessa dal Signore era ormai prossima. Perciò, chinando il capo come colui che prega ed alzando le mani congiunte, raccomandò la sua causa e quella della Chiesa a Dio, alla Madonna ed al benedetto martire san Dionigi. Aveva appena pronunciato quelle parole che il malvagio cavaliere, temendo che egli fosse liberato dal popolo e potesse sfuggire alla morte, si scagliò improvvisamente su di lui e ferì al capo l'agnello del sacrificio di Dio, colpendo la sommità del capo che l'unzione del sacro crisma aveva dedicato a Dio, e con lo stesso colpo quasi tagliò un braccio a colui che racconta questi avvenimenti. Poiché questi, quando tutti gli altri, sia monaci che chierici, erano fuggiti, era rimasto fermo a fianco del santo arcivescovo tenendogli le braccia intorno al corpo, sino a che il braccio che egli opponeva al colpo fu quasi troncato. Quindi l'arcivescovo ricevette un secondo colpo al capo, ma rimase ancora fermo ed immobile. Al terzo colpo cadde sulle ginocchia e i gomiti, offrendosi in sacrificio vivente e dicendo a voce basta:
"Per il nome di Gesù e la protezione della Chiesa sono pronto ad abbracciare la morte".
Ma il terzo cavaliere gli inflisse una tremenda ferita mentre giaceva prono. Con questo colpo la spada schizzò via sul pavimento e la sommità del suo capo, che era grosso, fu separata da esso in tal maniera che il sangue, bianco per la materia cerebrale, ed il cervello non meno rosso per il sangue, tinsero il pavimento della cattedrale col bianco del giglio ed il rosso della rosa, i colori della Vergine Madre e della vita e della morte del martire e confessore. Il quarto cavaliere teneva lontano chi cercava di intervenire, in modo che gli altri potessero con maggior libertà e licenza perpetrare il crimine. Ma il quinto, che non era un cavaliere, ma quello stesso chierico che era entrato con i cavalieri (e non c'era più bisogno di un quinti colpo al martire che per altri aspetti aveva imitato Cristo), pose il piede sul collo del santo prete e prezioso martire e, orribile a narrarsi, sparse la materia cerebrale ed il sangue sul pavimento, gridando agli altri:
"Andiamo, cavalieri, quest'uomo non si alzerà più".
Fonte: Material for the history of Thomas Becket, in Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, ed. J. C. Robertson, vol. II, London, 1876, pp. 432-436
"Non mi toccare, Reginaldo; tu mi devi fedeltà ed obbedienza. Ti stai comportando come un folle, tu ed i tuoi complici". Infiammato di furia tremenda per questo rimprovero, il cavaliere brandì la spada contro quella testa consacrata, gridando:
"Né fedeltà, né obbedienza ti devo al di sopra della mia fedeltà al re mio signore".
Allora il martire invitto comprese che si avvicinava il momento che lo avrebbe liberato dalle miserie di questa vita mortale, e che la corona dell'immortalità preparata per lui e promessa dal Signore era ormai prossima. Perciò, chinando il capo come colui che prega ed alzando le mani congiunte, raccomandò la sua causa e quella della Chiesa a Dio, alla Madonna ed al benedetto martire san Dionigi. Aveva appena pronunciato quelle parole che il malvagio cavaliere, temendo che egli fosse liberato dal popolo e potesse sfuggire alla morte, si scagliò improvvisamente su di lui e ferì al capo l'agnello del sacrificio di Dio, colpendo la sommità del capo che l'unzione del sacro crisma aveva dedicato a Dio, e con lo stesso colpo quasi tagliò un braccio a colui che racconta questi avvenimenti. Poiché questi, quando tutti gli altri, sia monaci che chierici, erano fuggiti, era rimasto fermo a fianco del santo arcivescovo tenendogli le braccia intorno al corpo, sino a che il braccio che egli opponeva al colpo fu quasi troncato. Quindi l'arcivescovo ricevette un secondo colpo al capo, ma rimase ancora fermo ed immobile. Al terzo colpo cadde sulle ginocchia e i gomiti, offrendosi in sacrificio vivente e dicendo a voce basta:
"Per il nome di Gesù e la protezione della Chiesa sono pronto ad abbracciare la morte".
Ma il terzo cavaliere gli inflisse una tremenda ferita mentre giaceva prono. Con questo colpo la spada schizzò via sul pavimento e la sommità del suo capo, che era grosso, fu separata da esso in tal maniera che il sangue, bianco per la materia cerebrale, ed il cervello non meno rosso per il sangue, tinsero il pavimento della cattedrale col bianco del giglio ed il rosso della rosa, i colori della Vergine Madre e della vita e della morte del martire e confessore. Il quarto cavaliere teneva lontano chi cercava di intervenire, in modo che gli altri potessero con maggior libertà e licenza perpetrare il crimine. Ma il quinto, che non era un cavaliere, ma quello stesso chierico che era entrato con i cavalieri (e non c'era più bisogno di un quinti colpo al martire che per altri aspetti aveva imitato Cristo), pose il piede sul collo del santo prete e prezioso martire e, orribile a narrarsi, sparse la materia cerebrale ed il sangue sul pavimento, gridando agli altri:
"Andiamo, cavalieri, quest'uomo non si alzerà più".
Fonte: Material for the history of Thomas Becket, in Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, ed. J. C. Robertson, vol. II, London, 1876, pp. 432-436
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