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martedì 8 luglio 2014

STREGHE E STREGONERIA - ARTICOLO DI SAMANTHA LOMBARDI

Fra il Duecento e il Quattrocento, e poi nei secoli che seguirono, le testimonianze storiche e letterarie della cultura greca e latina accrescono la credenza nelle streghe. Giovan Francesco Pico della Mirandola, con la sua più celebre opera Strix Sive de Ludificatione Daemonium (1523) testimoniò, come, a quella data, già si parlava di fatti collegati a oscuri rituali di natura demoniaca della stregoneria che portarono a una durissima azione inquisitoria di repressione di cui fu oggetto Mirandola in quel periodo storico. Canidie, Sagane, Erito, Circi erano i nomi delle streghe, ma anche delle maghe, descritte da Ovidio, Orazio e Lucano, che popolavano un universo in cui si rinnegava Cristo per seguire la fede Satanica. Fra i tanti testi dove troviamo ampiamente citati i nomi delle streghe che vissero nell’immaginativa di poeti e letterati troviamo il Malleus Maleficarum (pubblicato nel 1487 dai frati domenicani Jacob Sprenger e Heinrich Institor), il De Lamiis et Pythonicis Mulieribus (testo di Ulrich Molitor del 1489) e il Disquisitiones Magicarum (del gesuita Antonio Martin del Rio, pubblicato nel 1599/1600).
Ma quali erano le sembianze della strega nell’antichità classica? La sua figura, senza ombra di dubbio, deve aver esercitato il suo fascino nell’immaginario collettivo. Le più allettanti e continue testimonianze sono quelle offerte dai poeti greci e latini ed è proprio a questi ultimi che i tribunali dell’Inquisizione medievale faranno frequente riferimento, anche se le antiche Leggi Romane non rimangono insensibili alla credenza dei rituali magici. Infatti, le Leggi delle Dodici Tavole (Duodecim Tabularum Leges), compilate nel 451/450 a. C., rappresentano una tra le prime codificazioni scritte del Diritto Romano, dove una delle regole della Tavola VIII (illeciti) condannava tutti coloro che avevano cantato un maleficio (qui malum carmen incantassit). Cicerone e Plinio il Vecchio sottolineano come nella stessa Tavola veniva indicata inequivocabilmente, fra i reati capitali, l’appropriazione, per mezzo della magia, del raccolto o del grano di un altro. In età imperiale anche lo storico Ammiano Marcellino, fornisce testimonianze riguardanti alcuni rituali puniti da leggi o editti. Dimostrato, tra l’altro, è l’uso della “defixio”, la stessa definisce la pratica magica collegata al rito della penetrazione con un chiodo della piccola lastra di piombo arrotolata su se stessa, su cui era scritto il nome del destinatario della maledizione o su cui era inciso semplicemente il testo dell’anatema. La lastrina inchiodata era posta in una buca che si credeva potesse comunicare con gli Inferi. Streghe e maghi utilizzavano invece piccole figure realizzate in cera, metallo o altro materiale dalle grossolane sembianze delle loro vittime. Contemporanea era la produzione di amuleti che dovevano proteggere, dalle forze del male, coloro che li indossavano; su questi oggetti venivano incise anche formule magiche e immagini con valore scaramantico. Se scarse sono le testimonianze iconografiche, vasta è la documentazione scritta delle pratiche magiche. Precise al riguardo sono le fonti letterarie di vari autori, tra cui: Virgilio, Orazio, Apuleio e Lucano che in alcune delle loro opere raccolgono ciò che andrà a costituire un repertorio in grado di alimentare l’immaginario di altri letterati, ma soprattutto degli stessi inquisitori. Non si può negare però che l’iconografia della strega medievale e rinascimentale insieme ad immagini letterarie e figurative, affonda le proprie radici nell’antichità classica. La figura della strega vestita di nero, a piedi nudi, ululante, con i capelli arruffati, che ci restituisce l’immagine medievale, in realtà, non è altro che la descrizione di Canidia proposta da Orazio nelle Satire. Non passa inosservato che le streghe, in generale, presentano spesso tratti in comune con le Erinni (Furie nella mitologia romana): quali, le tre sorelle, Tisifone, Aletto e Megera più vecchie di tutti gli dei dell’Olimpo che costituiscono le figure a cui si fa più riferimento in epoche successive. Sono rappresentate con il corpo nerissimo e con i capelli intrecciati di serpenti, hanno ali di pipistrello e gli occhi iniettati di sangue. Un aspetto simile presenta anche Ecate. Sembra evidente che si tratta di divinità tutte collegate al regno dei morti e alla notte, anche se, in realtà, Ecate, nel culto più antico, era considerata signora delle ombre e dei fantasmi notturni e anche dea della magia e degli incantesimi. Teocrito, Apollonio Rodio e Ovidio la designano come “dea delle streghe”; gli stessi dei la onorano e Zeus le concede il potere di dare o negare ai mortali ciò che anelano.
Verbale di un processo alle streghe
A lei si fa risalire l’invenzione della stregoneria e la leggenda l’ha introdotta nella famiglia dei maghi per eccellenza, Eete e Medea di Colchide. Ecate appare alle streghe, con una torcia in mano, spesso in forma ferina con le sembianze di cagna, serpente, giumenta o leone a seconda delle tradizioni. Nel rilievo della Gigantomachia dell’Altare di Pergamo essa è rappresentata con un solo corpo ma con tre teste vale a dire con tre corpi uniti per la schiena. La formazione triadica è tipica del mondo ideale dell’antichità e spesso si applica alle divinità femminili potenti. Le Empuse, spettri della cerchia della dea Ecate, appartengono al mondo infernale e riempiono la notte di terrore apparendo soprattutto alle donne e ai bambini. Hanno la particolarità di assumere ogni sorta di aspetto, anche quella di provocanti fanciulle, e proprio sotto quest’ultima forma possiedono gli uomini mentre sono assopiti succhiandogli la linfa vitale. Secondo quando descritto, anche nelle Empuse, si identificano quei “particolari” comportamenti che vengono attribuiti alle streghe. Tra Medioevo e Rinascimento, anche le Arpie, rappresentate come donne provviste d’ali oppure come uccelli dalla testa femminile, con artigli aguzzi, concorrono ad alimentare la credenza nelle streghe. Per lo più sono in due: Aello e Ocipite, ma se ne conosce anche una terza, Celeno. La credenza che la strega possa trasformarsi in uccello torna nei secoli successivi. Nel già citato Strix, l’inquisitore Fronimo, ricorda lo “scongiuro del biancospino”, riportato nei Fasti Ovidio dove le Arpie si potevano tenere lontane dalle case proprio con un ramo di biancospino. E’ inevitabile che, nel tempo, anche le Arpie si verranno a confondere con le Striges, cui fa riferimento una vasta letteratura, che verranno considerate le antenate delle streghe medievali. Sempre secondo i testi di Ovidio le Striges vengono descritte come demoni femminili alati, dotati di artigli simili a quelli uccelli da preda, e che si nutrivano del sangue e delle viscere dei bambini. Anche Orazio e Petronio narrano di questi esseri, Plinio il Vecchio, invece, rammenta antiche formule di maledizione nelle quali compariva il nome “strix”. Stazio, nella Tebaide, riprende la leggenda di questi mostri che volando di notte entrano nelle case per succhiare il sangue dei neonati lasciati soli nella culla dalle loro nutrici. Le Striges tuttavia hanno spesso caratteristiche di altri esseri chiamati Lamiae; nome che comparirà spesso in luogo di Striges nei testi inquisitoriali. Nella tradizione classica, Lamia fu amata da Zeus dal quale ebbe dei figli che furono uccisi (tranne Scilla il mostro situato sulla stretto di Messina di cui narra l’Odissea) da Era, moglie di Zeus. Per la disperazione, divenne un mostro geloso delle madri più felici di lei e per vendicarsi, Lamia, iniziò a far strage di figli altrui divorandoli; il suo volto stravolto dalla crudeltà aveva un’espressione terribile.
Targa commemorativa dell'ultima esecuzione per stregoenria
Le sacerdotesse della Gorgone durante i loro riti, che contemplavano anche l’infanticidio, usavano maschere mostruose ispirate al volto disumano di Lamia. I cadaveri dei piccoli dilaniati e divorati venivano poi impiegati per la pratica dei rituali magici. Di questa atroce usanza, sia nei manuali che nei processi dell’Inquisizione, saranno poi accusate le streghe. Le descrizioni latine nel campo della magia sono ricche di particolari e riferimenti riguardanti le streghe e i loro rituali. Virgilio nell’ottava Egloca delle Bucoliche ne offre un saggio senza però fornire sull’aspetto della maga accomunata a Circe. Più ricco di particolari è invece Orazio che nelle Epodi descrive una scena di stregoneria svoltasi nella notte in un cimitero (luogo d’eccellenza per i riti più sinistri) sull’Esquilino, il racconto è fatto da Priapo che narra le atrocità cui è costretto ad assistere: le streghe Canidia e Sagana, si presentano al dio scarmigliate, pallide, a piedi nudi e vestite di nero; mentre ululanti invocano Ecate e Tisifone appaiono i serpenti e le cagne infernali, a questo punto viene gettata nel fuoco la piccola figura di cera che rappresenta la persona fatta oggetto del maleficio. Anche Lucano offre una terrificante descrizione della maga tessala Erichto, prototipo della magia empia e sanguinaria propria delle donne tessale. Dal volto pallido e scavato dalla magrezza, essa indossa una veste multicolore ed è provvista di un irta chioma circondata di serti di vipera. La maga Erichto ha la particolarità di sottrarre le anime dagli inferi e di scendervi lei stessa. Il raccapricciante cerimoniale restituisce nei particolari i rituali di evocazione dei morti del I secolo d. C. Se le descrizioni letterarie offrono particolari allettanti sull’aspetto delle streghe, predominanti sono le immagini collegate alle pratiche di magia: Ecate ad esempio era raffigurata in numerosi amuleti; così le Erinni, le lamiae e le striges che appaiono in alcune rappresentazioni mitologiche; anche qualche scena salvatasi dalla calamità di Pompei è di un certo interesse per la storia della magia, nel Museo Archeologico Napoli, in un dipinto parietale è rappresentato un viandante con una fattucchiera (I secolo d. C.).

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Nell’universo figurativo medievale inizia ad affiorare quel bestiario di cui fanno parte varie configurazioni (lamiae, arpie, sirene, satiri, centauri, chimere ecc.), che ritroviamo nelle balaustre, nei capitelli ma anche nelle facciate delle chiese, figure, dai molteplici significati, che hanno connivenza con un mondo demoniaco che è, solo in parte, collegato alla sfera della stregoneria e della magia e che diventeranno parte fondamentale della grande enciclopedia che confluisce nella cultura cristiana. Nelle chiese iniziano a comparire demoni ed esseri spaventosi destinati però ad essere sconfitti da Dio ed esorcizzati dagli uomini. Se nel XII secolo l’uso di immagini mostruose è frequente quelle che riproducevano le streghe sono sporadiche, le stesse, saranno chiaramente raffigurate solo quando verranno riconosciute ufficialmente. Solo nel Cinquecento, quando la strega si costituì agli occhi dei più, come una pericolosa avversaria della fede, la sua immagine si sviluppò, parallelamente all’avanzare della Chiesa e del potere politico, contagiandosi con quelle di alcune divinità classiche. Ma se in questa iconografia sopravvivono alcuni aspetti classici, vengono però ad inserirsi gli attributi fondamentali della strega quali: il bastone, la scopa, il capro, il cane o il gatto. La stessa viene raffigurata come una donna attempata accanto ad oscuri esseri demoniaci e mai esplicitamente vicino a Satana. Alla seconda metà del Duecento appartengono le prime due rappresentazioni conosciute di ”voli di streghe”, ambedue si trovano nel nord della Germania: una fa parte della decorazione esterna della Chiesa di Gelnhausen ( cittadina situata nel land dell’Assia), l’altra è un affresco (datato al 1280) del coro del Duomo di Schleswig (la cittadina si trova nella parte nord/orientale dello Schleswig-Holstein). Nella scultura di Gelnhausen è raffigurata una donna attempata, nuda e coperta da un cappuccio mentre cavalca una scopa la cui parte finale è arrotondata, la “strega” potrebbe essere sorretta o addirittura spinta da un essere mostruoso. Le due streghe di Schleswig scoperte alla fine dell’Ottocento e restaurate nella prima metà del Novecento presentano particolari significativi che permettono di comprendere al meglio la storia della stregoneria: una è raffigurata su un gatto, coperta da una veste e da un lungo manto, nell’atto di suonare un corno. L’altra, invece, è nuda e coperta solo da un manto svolazzante, con i capelli mossi dal vento, anch’essa è a cavallo di una scopa. L’autenticità di queste due ultime immagini è stata messa in dubbio, dal momento che i restauri furono eseguiti da personaggi implicati nella contraffazione di opere d’arte. Gli antecedenti classici del volo muliebre su animali si possono ricondurre ad Afrodite (un esempio significativo di questa immagine è dato in un kylix del Pittore di Pentesilea (conservato a Londra nel British Museum), alla dea Turan e alla stessa Venere Panareia. Una tipologia questa attestata anche nel Medioevo: a questo proposito si può menzionare una fanciulla nuda, coronata da una ghirlanda di rose che cavalca un capro che tiene per le corna e per la coda, scultura che orna un modiglione nel transetto sud della cattedrale di Saint-Etienne a Auxerre. Significativa è la traslitterazione figurativa dell’animale cavalcato dalle streghe in una scopa. Gli antecedenti classici del volo muliebre su animali sono da ricollegarsi ad Afrodite. La dea è spesso rappresentata seduta su un cigno o un’oca che si libra nell’aria. Tipologia attestata, anche nel Medioevo, all’interno della chiesa di Saint-Etienne a Auxerre in Francia, dove in un modiglione del transetto sud, si trova la scultura di una fanciulla nuda che cavalca all’amazzone un capro che tiene per le corna e per la coda (XIV secolo). Significativa è la traslitterazione figurativa dell’animale cavalcato dalle streghe in una scopa. Al “baculum”, bastone (attributo del pellegrino), si devono accomunare la virga e la scopa. Nel codice illustrato Le Champion des Dames di Martin Le Franc, segretario dell’antipapa Felice V, ricorda che le “masques” (termine francese indicante le streghe) vanno a piedi o credono di poter volare su un bastone. In questo manoscritto sono rappresentati due voli di diversa tipologia: uno a cavallo di una scopa e l’altro su un semplice bastone. La tradizione si estende anche su un altro oggetto: il fuso, che diventa, a volte, un mezzo di trasporto e assume un chiaro significato fallico. In un’illustrazione della metà del XV secolo, attribuita a Wilhelm Urelant, compare una strega a cavallo di un fuso. Altre rappresentazioni di streghe palesemente individuabili come tali, anteriori al XV secolo, sono incluse in una serie di codici miniati tutti risalenti al Trecento e posteriori alle bolle emesse da Alessandro IV (1258-1260) e da Giovanni XXII (1326 o 1327) nelle quali veniva si ribadiva che la stregoneria e l’eresia erano fra loro collegate. Tra le immagini contenute nei codici miniati, singolare è la miniatura di Piérart dou Tielt che orna il manoscritto de La Quéste du Saint Graal attribuito a Gautiers Map (1351): si tratta della caricatura di un torneo tra donne nude a cavallo di un caprone che si affrontano con un fuso.

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Nelle raffigurazioni di streghe emergono, nel loro genere, tre tipi distinti: le streghe singole, l’iniziazione diabolica e la partenza per il sabba o meglio per il volo. Le stesse assumono in certi casi un significato didattico e scientifico idoneo ad illustrare le caratteristiche delle streghe, come avviene per quelle che ornano le edizioni del De Lamiis et Pythonicis Mulieribus di U. Molitor. A questo punto all’inizio del Cinquecento la “realtà” delle streghe, dopo grandi controversie, è pienamente accettata negli ambienti più diversi e, al contrario di come accadeva nel Medioevo, l’iconografia delle streghe e della stregoneria non viene più rappresentata in luoghi pubblici ma, è invece diffusa da carte sciolte o da immagini che illustrano dialoghi o addirittura manuali di stregoneria. Le streghe in questo periodo escono dall’anonimato in cui erano state relegate, non vivono più nei boschi che circondano i borghi, ma nelle città, frequentano le piazze e addirittura le corti, ne è esempio la moglie di Sigismondo signore del Tirolo. La figura della strega diventa così familiare che attribuiti e caratteristiche sono immediatamente riconosciuti dai diversi strati della popolazione. In area nordica, tra Quattrocento e Cinquecento, tra i maggiori vignettisti di streghe sicuramente spiccano: il tedesco Hans Baldung Grien (1484-1545): egli è sicuramente l’artista più straordinario, realizza delle immagini in xilografia considerate tra le più inquietanti del primo Cinquecento. La sua prima opera collegata alla stregoneria l’Hexensabbat (1510), raffigura il “volo delle streghe”; gli attributi quali: i bacula, il bucranio, le teste staccate, il capro e un gatto, sono ben riconoscibili; entrano, nel contesto narrativo, anche nuovi simboli come il fuso e un cappello. Due streghe sostengono rispettivamente un vaso e un piatto in cui è visibile un uccello senza piume. In alto, la strega che sostiene una forca cavalca al contrario un capro sono in procinto di entrare in un vortice di fumo lascia intravedere una figura demoniaca. Al centro si nota un vaso con una scritta in ebraico (forse è da accomunare al vaso di Pandora?). Successive raffigurazioni del Grien: l’Unzione delle streghe al Louvre (1514), Tre streghe (Partenza per il sabba,1514), La strega e Satana come dragone e L’olio delle streghe, focalizzano i temi più tipici relativi alle loro immagini: l’erotismo e il dominio degli elementi. Le streghe del Louvre presentano gli usuali attributi e hanno i capelli mossi dal vento; sia in quest’opera che nella Partenza per il sabba emerge la nudità dei corpi animati da gesti con ovvio significato erotico; ma soprattutto in quest’ultima è evidente l’utilizzazione dell’unguento magico indispensabile per il volo e i grandi vortici di fumo e di vento che alludono appunto al volo stesso.
File:Threewitches.jpgAnche a Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553): si devono delle interessanti incisioni rappresentanti scene di stregoneria. L’opera di Halbrecht Dürer (1471-1528) intitolata Le streghe (1494), ha un ambiguo inizio: nell’incisione l’unico accenno a una realtà demoniaca è offerto da un diavolo che da una porta aperta osserva quattro donne seminude identificate poi come streghe. Dai primi anni del Cinquecento prende consistenza, in maniera quasi ossessiva, l’iconografia legata alla stregoneria. Dürer, ne La strega: partenza per il sabba (1504-1505) rappresenta una vecchia, nuda, che abbandona il luogo d’incontro a cavallo di un caprone, con i capelli agitati dal vento, mentre impugna un fuso, con una serie di putti ai suoi piedi. In quest’opera, che richiama immagini iconografiche e stilistiche della tradizione classica, l’autore trasforma l’immagine di Venere e la collega al nuovo mito delle streghe. Anche Albrecht Altdorfer (1480-1538), disegna alcune streghe in un paesaggio appena distinguibile. Le streghe son ben contraddistinte dagli attributi a loro peculiari: il capro, il bucranio, il baculum e il fuso. Nel 1508 Johann Geiler von Kaysersberg a Friburgo in Brisgovia, città della Germania Sud-occidentale,  teneva prediche quaresimali pubblicate con il titolo Die Emeis (Le formiche) illustrate proprio da Grien. L’opera di Geiler metteva in primo piano gli aspetti basilari della stregoneria secondo quanto stabilito dagli inquisitori: il viaggio, il ballo, la trasformazione in animali ecc… Circa dieci anni dopo il papa umanista Leone X emanò una bolla dal titolo De divino amore con cui appoggiava le riforme negli ordini religiosi condannando la magia e la stregoneria. La figura della strega era dunque diventata tanto comune al punto da poter rientrare nei cliché della stampa e della grafica. Nello stesso modo, però, si condannavano e si bruciavano presunte streghe. Ciò accadde nel 1514 a Maria Laach in Germania, furono giustiziate sei streghe accusate di aver ucciso l’abate Simon von der Leven. Mentre in Germania si creavano le nuove immagini ispirate alla stregoneria, in Italia più o meno nello stesso periodo venivano rappresentate scene raccapriccianti dal significato ambiguo in quanto non espressamente collegabili alla stregoneria. Le prime rare e inequivocabili immagini collegate alla stregoneria sono opera di Andrea Briosco detto il Riccio (1470-1532), che guarda a modelli ellenistici, come, ad esempio, della raffigurazione del corpo delle vecchie. Il tentativo di una conciliazione tra forme classiche e nuovi contenuti simbolici li troviamo nell’incisione de Lo Stregozzo (1516) dalla paternità controversa, l’opera è attribuita sia all’incisore Agostino de Musis (1490-1536), in arte Agostino Veneziano che a Marcantonio Raimondi (1470-1532). Nell’incisione del Veneziano la “magia della tempesta” si riconosce dal movimento degli arbusti piegati dal vento e dal disordinato volo delle anatre che è collegato ai culti demoniaci. Gli scheletri degli animali che compongono la cavalcatura fantastica di Ecate, dai capelli mossi dal vento, sono rappresentati senza dubbi interpretativi tesi a rappresentare un mondo demoniaco connesso al paganesimo. La figura centrale è una vecchia megera che tiene in mano un canestro. Da questo momento in poi, le immagini di streghe aumenteranno a dismisura, connesse soprattutto al tema del sabba.

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Tra i temi figurativi relativi alla stregoneria, il sabba è uno dei più noti e diffusi in Europa, soprattutto a partire dal Seicento: incisori e pittori, da Salvator Rosa a Callot fino a Goya, hanno spesso trattato il soggetto della riunione di streghe definendo e illustrando piani più complessi della realtà demoniaca. Tra le prime raffigurazioni del sabba sono due opere di Jacques II de Gheyn (1565-1629): un disegno e un’incisione con La danza o forse La Cucina delle streghe. Nell’incisione, al centro, è rappresentato un calderone intorno al quale sono sedute le streghe, ai lati sono raffigurate dame vestite con eleganza mentre portano oggetti per il rituale; a sinistra una donna con un fuso seduta su una panca assiste a una scena di magia; dal camino fuoriesce uno stregone con un gesto volgare, mentre nel cielo si libra un capro cavalcato da una strega. All’inizio del Cinquecento numerosi teorici, giuristi e medici avevano trattato della realtà del volo delle streghe. Antonio de Ferraris nel De situ Yapygiae, ricorda come la favola della stregoneria avesse invaso il mondo intero, propagandosi tra gli strati più poveri della popolazione. Un gruppo di medici aveva conferito maggior vigore a queste argomentazioni collegandole all’influenza della melanconia e all’uso di droghe. Anche Johannes Wier, riconduceva il volo delle streghe a un effetto dell’immaginazione e all’ottenebramento dei sensi attraverso l’uso di droghe. A queste posizioni si opponevano il gesuita belga Martin Del Rio nei suoi sei Disquisitionum magicarum libri sex (1599) e il francese Jean Bodin nella Dénonomanie des sorciers (1580), dove accusavano il Wier di incompetenza e ignoranza. Il testo di Martin Del Rio in cui affronta la stregoneria, gode di grande fortuna fin quasi a metà del Settecento. Il secondo dei sei libri che lo compongono è dedicato al dibattito sulla magia demoniaca: dopo aver elencato maghi famosi come: Zoroastro, Apuleio, Dositeo, Pitagora ecc., ricorda anche alcune maghe popolari dell’antichità, tra queste Circe e Medea che, l’autore, accosta ad altre streghe quali: Canidia, Folia ed Ericto. La Quaestio IX è dedicata ai poteri di Circe e delle altre maghe, esaminati attraverso la testimonianza dei classici. In verità, tutto il secondo libro tende a contestare la possibilità, per i maghi, di modificare le leggi dell’universo; in particolare, viene messa in discussione la metamorfosi intesa come il potere di tramutare un essere in un altro di diversa specie, in altre parole, se questo accada “realmente” o non sia invece effetto della potenza immaginativa. La metamorfosi è uno dei punti più discussi della trattatistica sulla stregoneria: tra gli esempi più classici, non bisogna dimenticare la magia operata da Circe sui compagni di Ulisse, da lei trasformati in animali. Il nome di Medea, sorella di Circe, compare invece a proposito dei processi di ringiovanimento, dei malefici e delle stragi. I nomi dei due personaggi venivano anche collegati alla conoscenza e alla manipolazione delle erbe, tanto che, Circe divenne sinonimo di avvelenatrice. Tuttavia, l’interesse per la sua figura, nel Medioevo, non ha una particolare fortuna iconografica. La maga, depositaria della manipolazione delle erbe e delle metamorfosi, nel Rinascimento, trova invece una nuova vitalità che le consente di passare dal testo all’immagine. Nel 1612 Pierre de Lancre scrisse il suo Tableau de l’inconstance des mauvais anges et démons ; le edizioni del libro contengono un’incisione del polacco Jan Ziarnko con l’immagine del sabba. L’illustrazione risulta il riepilogo più completo e significativo delle azioni che avvengono durante un cerimoniale satanico. La tavola riunisce le più aberranti scene, (appresso descritte) che caratterizzano il cerimoniale della corte di Satana. I gruppi raffigurati sono intenti a compiere varie azioni, tra cui: Satana in forma di capro seduto su un trono tra due dame, quella incoronata è definita la regina del sabba; di fronte a Satana, una strega e un demonio inginocchiato presentano un bambino; intorno a un albero danzano demoni e fanciulli nudi; streghe e demoni alati o in forma di capri banchettano intorno a un tavolo; un gruppo di streghe fa bollire nel calderone delle serpi, streghe a cavallo della scopa volano tra piccoli animali alati, uomini e donne danzano insieme ad alcuni demoni. Anche in Italia cominciarono a comparire testi contro la stregoneria. Il Compendium maleficarum di Francesco Maria Guazzo, composto da tre libri, ognuno suddiviso in due parti, fu pubblicato nel 1608 e poi nel 1627. Argomenta il potere degli unguenti usati dalle streghe, per poi giungere alla conclusione che solo un intervento demoniaco possa concedere al preparato poteri tali da trasformare le donne in gatte o altri animali. Il testo risulta particolarmente interessante in quanto accompagnato da una serie di xilografie che descrivono senza sottintesi il contenuto dei paragrafi. L’opera del Guazzo non contiene però particolari novità sulla questione demonologica, in quanto risulta un riassunto del Malleus maleficarum e delle Disquisitiones maleficarum di Martin del Rio. L’opera è ricca di particolari descrittivi che permettono immediati riconoscimenti come ad esempio il segno che Satana impone sulla fronte dei suoi accoliti con l’unghia, chiaro simbolo della cancellazione del battesimo e della cresima. Una sequenza dello stesso tipo, ma solo accennata, si trova nel testo del Molitor: De pythonicis mulieribus (1489) in cui, nelle poco descrittive illustrazioni, si coglie un tentativo di rappresentare realtà e perversità della stregoneria che anticipano l’opera del Guazzo e del De Lancre.
File:Scheiterhaufen 2.jpgTra le più sorprendenti raffigurazioni, in ambito stregonesco, si deve collocare Streghe e incantesimi (1640) di Salvator Rosa. L’immagine sottintende: la preparazione del velenoso unguento, l’esumazione dei cadaveri, il taglio delle unghie degli impiccati, la defictio, la manipolazione di rospi, il volo, il rapimento di neonati; sullo sfondo, lo scheletro di un animale fantastico. Nell’opera del Rosa emerge la particolare conoscenza della stregoneria e della magia, le numerose scene dipinte dichiarano un gusto particolare che, al di là del semplice interesse per la stregoneria, va verso l’insolito e lo stravagante. Così queste macabre raffigurazioni stregonesche sono apprezzate sia da un pubblico borghese che da intellettuali. Anche il pittore e scrittore, Lorenzo Lippi, noto per Il Malmantile racquistato (1676) descrive nel poema paesaggi macabri, scene di magia e la strega “Martinazza”, immagine che trova diffusione in opere di autori, come Teniers il Giovane, che attingono a repertori ormai divenuti classici dell’iconografia stregonesca.  La caccia alle streghe operata, con crudele intensità, soprattutto tra i secoli XVI e XVII è stata interpretata dalla storiografia come uno scontro culturale tra il mondo erudito rappresentato dalla Chiesa e il mondo popolare assimilato alle pratiche magico-tradizionali. Spinta da un rinnovato spirito di evangelizzazione, la chiesa mosse sistematicamente guerra, dal Cinquecento in avanti, a superstizioni, vecchie credenze, riti post-pagani che facevano parte, in ogni caso, del folclore popolari e delle pratiche magiche. Gli storici che hanno tentato di fare un bilancio numerico delle vittime accusate di stregoneria si sono sempre fermati difronte la mancanza di fonti, in altre parole, mancavano i verbali dei processi. Nei casi sporadici in cui si può disporre di tale documentazione si rimane, addirittura, sconvolti dalla loro durezza e drammaticità e, soprattutto, dalla capacità in essi insita di trasmettere un nitido spaccato del mondo delle streghe e della loro persecuzione. E’ stato comunque calcolato che il tasso delle condanne a morte, secondo vari luoghi ed epoche, si sia aggirato sul 25-47% dei processi, con punte massime eccezionali del 92% (Svizzera). Il “rogo” era la punizione generalmente inflitta alle streghe, in quanto, come seguaci di Satana, erano sicuramente apostate. Bruciarle era anche un rituale di purificazione e rassicurava i giudici paurosi che esse non sarebbero più tornate dal regno dei morti. Ogni processo era una battaglia tra le forze di Dio e le forze del diavolo ed era combattuta per l’anima della strega, che, seppur bruciata, avrebbe sì perso la sua vita terrena ma avrebbe guadagnato quella eterna.

Articolo della dott.ssa Samantha Lombardi del sito http://www.ilpatrimonioartistico.it/

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