Ciascuna ferita impressa all'uomo della sindone ha lasciato una traccia sul telo. Insieme, queste ferite disegnano la mappa di una morte spaventosa che purtroppo era molto comune, secondo gli usi del tempo.
La foratura presso i polsi e i piedi, la posizione contratta del torace e dei muscoli delle cosce, le lacerazioni lasciate da un grosso supporto rigido sulla schiena mostrano che l’uomo fu giustiziato con la tecnica della crocifissione, un supplizio terribile praticato anticamente da molti popoli. Il condannato veniva appeso a un palo in modi diversi, e se attendeva la morte che interveniva a liberarlo dopo molte ore di atroci sofferenze. Il patibulum, una grossa asse di legno che veniva ancorata ad un palo verticale alto circa tre metri, serviva a fissare il corpo in una maniera che non avrebbe permesso alla vittima di muoversi. Nella civiltà ebraica di età ellenistica (III secolo a.C.- I d.C.) si usava praticare la crocefissione inchiodando le mani del condannato al legno: il frammento di un testo ritrovato a Qumran, il Testamento di Levi (4QAhA), dice chiaramente che la crocefissione avveniva con l’uso dei chiodi. Nel giugno del 1968 fu ritrovata presso l’area di Giv‛at ha-Mivtar, a nord di Gerusalemme, una tomba familiare di dimensioni notevoli che ospitava le ossa di quasi venti persone; dentro un ossuario, cioè una piccola cassa dove si riponevano le ossa, c’erano i resti di un uomo crocifisso a circa trent’anni. Un chiodo stava ancora infisso nell’osso del calcagno in quanto durante la deposizione dalla croce si era ripiegato in dentro e non fu possibile estrarlo. Anche i Romani accolsero questo supplizio e lo riservarono alle esecuzioni pubbliche solenni di persone che non godevano della cittadinanza romana, criminali che si erano macchiati di colpe estremamente gravi o avevano messo a repentaglio l’ordine pubblico. Nel I secolo a.C. aveva fatto epoca la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco, in seguito alla quale si era voluto dare una punizione esemplare ai ribelli e le croci avevano costellato molte miglia della Via Appia. Secondo gli storici greci Polibio e Plutarco, la crocifissione puniva i reati di chi si era messo contro lo stato; secondo gli autori latini Cicerone e Tito Livio, per l’uomo romano rappresentava la condanna più crudele e vergognosa. Le enormi sofferenze del crocifisso eccitavano quel gusto macabro che spingeva i Romani verso i giochi dei gladiatori, e quando in questi stessi spettacoli erano previste anche delle crocifissioni gli annunci pubblicitari lo specificavano come se fosse un’attrattiva speciale per invogliare la gente. Anche nella storia giudaica la crocefissione era stata usata in modo spettacolare contro i nemici politici, trasformandola in un’orrenda esecuzione di massa: nell’anno 162 a.C. il sommo sacerdote Alcimo mandò a morte sulla croce in un solo giorno sessanta ebrei devoti che gli si opponevano, mentre il re Alessandro Ianneo nell’88 a.C. fece crocifiggere addirittura 800 farisei. Appena tredici anni dopo, altre 80 persone subirono la stessa condanna con l’accusa di stregoneria.
Articolo per gentile concessione della dott.ssa Brabara Frale
0 commenti:
Posta un commento