All’epoca di Giustino (II secolo) i poemi dell’Iliade, dell’Odissea come pure l’Eneide, venivano insegnati ai bambini nelle scuole elementari, quindi era su quella traccia che si formava la mentalità dell’uomo comune. Inseriti in un mondo che esaltava il bello in tutte le sue forme, e invitava alla cura del corpo, circondati ovunque da statue e dipinti che riproducevano le divinità pagane come uomini e donne bellissimi, i cristiani dei secoli II-IV cominciarono a farsi dei ritratti di Gesù proprio come se fosse un giovane dio greco. Di queste raffigurazioni ne possediamo tante, inestimabili opere d’arte che ci riportano direttamente dentro un’epoca così lontana da noi. Gesù spesso è un pastorello con un agnello sulle spalle, un pastorello adolescente e senza barba come quelli che la gente comune leggeva descritti nelle Bucoliche dell’amatissimo poeta Virgilio. Oppure si raffigurava il Risorto, vincitore sulla morte e splendente di gloria celeste, come il mitico dio greco Apollo che ogni mattina percorreva il cielo sul suo magico carro di cavalli alati per dare agli uomini la luce del sole. Proprio nei panni del Sole Invitto, il dio Sole che non conosce la sconfitta, si trova raffigurato Gesù in uno splendido mosaico su fondo d’oro ritrovato nella necropoli sotto la basilica vaticana. Risale a poco dopo l’anno 200, e la sua figura è talmente identica a quella del dio pagano Apollo che non sarebbe stato possibile riconoscerlo se non fosse per un fatto: nella stessa tomba compaiono altri mosaici che portano scene tipicamente cristiane, come la pesca che allude alle parole di Gesù (“vi farò pescatori di uomini”), o la già ricordata scena di Giona che esce dalla bocca del mostro. L’archeologo Pietro Zander, supervisore della necropoli vaticana, si è accorto che il senso di questi mosaici segue fedelmente un concetto espresso proprio da Clemente Alessandrino nella sua opera Il pedagogo.
Articolo su concessione della dott.ssa Barbara Frale
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