La rivalità fra Genova e Venezia è nota. Una rivalità economica, politica e di diverse concezioni del potere.
Nel XIII secolo tale lotta raggiunse il suo acme. Una delle scintille che avvicinarono le due Repubbliche al conflitto fu un atto di pirateria operato da navi mercantili genovesi nel Mar Nero, una squadra composta da galee grosse da mercato, attaccarono un naviglio veneziano presso Laiazzo, sulla costa Armenica, catturando una parte dei vascelli. Quest'azione occorsa il 28 maggio 1294, indusse i veneziani a porre mano ai preparativi per cancellare l'onta dell'impreveduta sconfitta. Ricordiamo che la lotta fra Genova e Venezia derivava anche dalle rispettive alleanze: Genova sempre favorevole all'Impero Romano d'Oriente e Venezia alleata alla dinastia francese e Carlo d'Angiò in particolare. Per il possesso delle colonie del Mar Nero, i veneziani addirittura intrapresero contatti col Khan dei Tartari. Lo scoppio delle ostilità non si fece attendere, infatti i veneziani distrussero alcuni fondaci genovesi a Limassol e a Famagosta, mentre Nicolò Spinola portò la flotta genovese a catturare venticinque galee veneziane nel porto di Alessandretta. La guerra, oltre navale ed extrapeninsulare era anche chiaramente diplomatica, nel tentativo di giungere ad una soluzione vi fu anche l'intervento di Papa Bonifacio VIII, ma mentre i colloqui erano in corso le truppe di Genova giunsero alla Canea, principale centro veneziano di Creta, dandogli sacco. Contestualmente Genova mise in campo una formidabile flotta, decisa a combattere una battaglia decisiva contro la rivale Città lagunare. Non si badò a spese, una flotta composta da circa 200 imbarcazioni da guerra con circa 40 mila uomini a bordo, sotto il comando di Oberto Doria, fu messa in acqua. La spesa fu ingente, ma nelle volontà della Superba vi era il desiderio di porre la parola fine alla rivalità. La flotta salpò nel 1295 e attese in Sicilia, a Messina, che i veneziani uscissero dall'Adriatico, ma a causa di una delle tante lotte intestine che tormentavano la Genova medievale. Le solite lotte interne fra le nobili famiglie per il predominio della città, costrinsero Doria di abbandonare il suo disegno e di far ritorno in patria. Venezia non si fece sfuggire l'inaspettato regalo e nel 1296 attaccarono la più fiorente colonia genovese: Galata, nella penisola di Pera nel Corno d'Oro. Ciò sia per attaccare un caposaldo genovese, sia per dimostrare all'Impero che Genova non era poi cosi forte. I residenti si rifugiarono a Costantinopoli, la capitale fu più volte attaccata, invano per la vivace difesa romea e genovese. Non appena la spedizione veneziana si ritirò e immediatamente la feroce vendetta dei genovesi imperversò per la capitale dell'Impero Romano d'Oriente con inaudita ferocia, il quartiere veneziano fu saccheggiato e la popolazione trucidata, i pochi superstiti veneziani furono quelli che l'Imperatore fece rinchiudere, per misura precauzionale, in prigione. Le contromosse continuavano: Venezia attaccava il principato genovese tenuto dalla famiglia Zaccaria, l'isola di Focea nell'Egeo e Caffa, senza però riuscire a sorprenderla. Naturalemnte Genova non restò a guardare e nel 1297 una forte squadra genovese penetrò in Adriatico minacciando addirittura Venezia, ma senza ottenere risultati notevoli. Nel 1298 il nuovo Capitano del Popolo Lamba Doria ottenne il comando di una nuova flotta composta da Infine la Repubblica ligure diede al suo nuovo Capitano del Popolo Lamba Doria il comando di 78 galee per attaccare la flotta veneziana, anche "a costo di stanarla nella sua stessa laguna" come ebbe a dire lo stesso Capitano.
Nel tempo di allestimento dlla flotta Lamba Doria aveva effettuato una innovazione: pose tre uomini per remo sulle sue galee, dando una prevalenza in manovrabilità e velocità alle navi genovesi che erano anche armate coi temibili balestrieri, celebri in tutto il Mediterraneo. L'8 settembre 1298, dopo che numerosi saccheggi delle coste dalmate avevano ottenuto il fine di provocare la reazione veneziana le due flotte si avvistarono, si era presso Zara, nelle vicinanze delle Isole Curzolari; 98 imbarcazioni veneziane erano di fronte alle 79 genovesi. Il capitano Doria ne schierò in prima linea 63, lasciandone 15 di riserva. L'azzardo era compensato dalla nuova formazione di voga e dalla sicurezza delle armi di bordo; i temibili balestrieri.
Le galee veneziane sicure della loro superiorità numerica tentarono l'avvolgimento della flotta genovese, ma la flotta ligure, che fra l'altro era a favore di vento, marciò "a voga arrancata" (ovvero la massima velocità raggiungibile da una galea); piombando in formazione serrata sullo schieramento di Venezia, rompendone i ranghi. Le navi venete ruppero l'ordinanza e si sparpagliarono. Gli equipaggi delle galee veneziane, composte per lo più da equipaggi non affiatati e improvvisati persisi d'animo cominciarono ad arrendersi. Furono catturate 18 galee, affondate 65; i genovesi catturarono numerosissimi prigionieri (si parla di 7000 uomini) compreso il Doge in persona che si tolse la vita prima di essere portato a Genova "rompendosì il cranio contro il banco cui era stato incatenato". Altro prigioniero eccellente fu Marco Polo. L'ammiraglio ligure Lamba Doria invece, perse un figlio nella battaglia, e lo fece seppellire in quel tratto di mare, affermando che non avrebbe potuto avere tomba migliore di quella. Nonostante ciò gli effetti della battaglia non furono poi così disastrosi per Venezia; la flotta genovese, infatti fu anch'essa vittima di sensibili perdite, tali da non poter considerare tale vittoria decisiva come fu la Meloria contro Pisa. Anzi fu impossibile poter sfruttare la vittoria assalendo le lagune o i possedimenti di San Marco nel Levante. I genovesi decisero che era opportuno, per l'integrità della flotta, tornare in patria. A tale decisione seguì l'incursione di una squadra di corsari veneziani, davanti al porto di Genova. Allora intervennero le diplomazie per portare a colloquio le due potenze e nel 1299 infine fu firmata una pace tra Genova e Venezia, senza vincitori né vinti. Dopo Curzola, sia Genova che Venezia sono esauste e per loro inizia la fase di una lunga decadenza. Ma il fuoco covava sotto la cenere e 80 anni dopo la pace Genova mosse nuovamente guerra a Venezia. La politica veneziana contro l'Impero romano d'Oriente e di accresciuto interesse per l'oriente non poteva passare inosservato per la Superba.
La tattica genovese fu audace muovendosi per terra conquistò vaste zone di Laguna e molte basi istriane, ma la vittoria fu effimera e già nel 1381 Venezia aveva ripreso tutti i territori persi; anzi le sconfitte contribuirono a rinfocolare ulteriormente le lotte intestine fra le varie famiglie nobili di Genova. Venezia, alleggerita dalla pressione della Superba, poté riprendere i suoi commerci con l'Oriente ed espandersi sulla terraferma intorno a Venezia verso Ovest. Il conflitto, passato alla storia come "Guerra di Chioggia", cessò nel 1381. Con la successiva Pace di Torino la Pace di Torino Genova fu costretta a rinunciare definitivamente a tutti ai possedimenti terrestri orientali già conquistati a scapito dei veneziani e Venezia accentuò il suo ruolo politico espandendo i possedimenti lungo la costa dalmata. Genova si vide costretta ad amministrare esclusivamente le proprie colonie e le rotte commerciali nel Mediterraneo, ma riusci ad accentuare la sua forza finanziaria, effettuando prestiti ingenti tra gli altri al Regno di Spagna e all'Impero Asburgico. Genova poi divenne sempre più protettrice dell'Impero Romano d'Oriente sino alla caduta di Costantinopoli. Quando l'ordine mondiale fu sconvolto dall'avanzata ottomana per terra, che minacciò i possedimenti della Serenissima.
Le due Repubbliche furono costrette forzatamente a trovare un momentaneo accordo che si concluse con la comune alleanza nella battaglia di Lepanto, contro l'aggressivo Impero Turco, ultimo atto di fulgore della inesorabile decadenza delle due città oramai spettatrici di eventi europei governati dalla Spagna ed Austria.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
G. Martini - D. Gori "La Liguria e la sua anima" - 1965 Sabatelli Editori, Savona
Articolo di Luigi Caliendo direttore di Geova e Savone. Tutti i diritti riservati.
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