Manente degli Uberti, meglio noto come Farinata degli Uberti per via dei suoi capelli biondo platino (Firenze, ... – 11 novembre 1264), fu un nobile ghibellino, ovvero sostenitore dell'impero, appartenente a una tra le famiglie fiorentine più antiche e importanti, citato da Dante nel VI canto dell'Inferno tra gli uomini degni del tempo passato (verso 79-84), ovvero i fiorentini ch'a ben far puoser li 'ngegni e nel canto X tra gli eretici. Farinata, figlio di Jacopo degli Uberti, visse a Firenze all'inizio del XIII secolo, una delle epoche più difficili per la città toscana, tormentata da discordie interne tra guelfi, i sostenitori papali, e ghibellini, di cui Farinata faceva parte. Su questo sfondo di divisioni politiche, vi era lo scontro molto feroce per il governo della città fiorentina, e che vide alternarsi le due fazioni al potere con reciproche violenze. Dal 1239, Farinata è a capo della consorteria di parte ghibellina, svolgendo un ruolo importantissimo nella cacciata dei guelfi avvenuta pochi anni dopo, nel 1248 sotto il regime del vicario imperiale Federico d'Antiochia, figlio dell'imperatore Federico II. Gli Uberti, come parte dell'élite ghibellina, furono poi esiliati quando al potere tornarono gli esponenti delle famiglie di appartenenza guelfa (1251). La famiglia degli Uberti trovò scampo a Siena nel 1258. Farinata contribuì poi validamente alla vittoria ghibellina di Montaperti (4 settembre 1260). Nella dieta di Empoli che ne seguì, Farinata dimostrò il suo amor di patria insorgendo a viso aperto contro la proposta dei deputati di Pisa e di Siena, che avrebbero voluto radere al suolo la città di Firenze. Morì nel 1264 e fu sepolto nel Duomo di Firenze. Suo figlio Lapo venne nominato dall'Imperatore Enrico VII suo vicario in Mantova. Anche dopo morti dovettero subire un'ulteriore vendetta da parte della fazione rivale dei guelfi: infatti nel 1283, 19 anni dopo la sua morte, i corpi di Farinata e sua moglie Adaleta subirono a Firenze un processo pubblico per l'accusa (postuma) di eresia. Per l'occasione i loro resti mortali, sepolti all'epoca nella chiesa fiorentina di Santa Reparata, vennero riesumati per la celebrazione del processo, conclusosi poi con la condanna, da parte dell'inquisitore Bartolomeo da Lucca. Quindi tutti i beni lasciati in eredità da Farinata vennero confiscati agli eredi. La fondatezza dell'accusa d'eresia non è certa ancora oggi: l'accusa mossa alla fazione ghibellina di Firenze, per la quale vennero considerati eretici Farinata e sua moglie, in realtà riguardava la contestazione della supremazia religiosa della Chiesa. Ma la fazione cui Farinata apparteneva ne contestava solamente l'ingerenza politica, reclamando una suddivisione tra potere spirituale e potere temporale. La confusione venne probabilmente aumentata dalla propaganda della fazione guelfa di Firenze, pronta a sfruttare a proprio vantaggio l'accusa d'eresia. Tuttavia alcuni studiosi sostengono che Farinata fosse vicino all'eresia catara. Gli Uberti, comunque, vennero esclusi da qualsiasi amnistia e l'odio dei guelfi fiorentini si focalizzò su di loro. Infatti nel canto X dell'Inferno, Farinata è collocato tra gli eretici epicurei che l'anima col corpo morta fanno (v.15), ovvero non credono nell'immortalità dell'anima. Tra lui e Dante, avversario politico, si svolge un colloquio al cui centro ricadono i temi della lotta politica e della famiglia (in particolare quello delle colpe dei padri che ricadono sui figli: un tema caro al poeta, che avrebbe potuto far revocare l'esilio ai figli maschi se avesse voluto far ritorno, umiliandosi e chiedendo perdono a Firenze). Dopo un alternarsi di battute cariche di tensione, Farinata pronuncia una profezia sull'esilio di Dante in cui è facile leggere l'amarezza del poeta, già esule da qualche anno:
«Ma non cinquanta volte fia raccesala faccia della donna che qui regge, (la Luna)che tu saprai quanto quell'arte (il ritorno in patria) pesa»(Dante Alighieri - Divina Commedia, Inferno, Canto X, versi 79-81)
A Farinata degli Uberti, personaggio importante del suo tempo, Dante rese un grande omaggio, rendendolo una delle figure indimenticabili del suo Inferno e tratteggiandone una figura imponente e fiera, quasi omerica nel contrastare le avversità ("com'avesse l'inferno a gran dispitto"), tanto che la sua guida Virgilio lo esorta a non usare con lui parole volgari ma nobili ("conte").
Fonte: Wikipedia
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