In tutta sincerità, quando decisi di fermarmi a vivere nelle Marche, non pensavo certo che la mia gran passione per la storia dell’ architettura che mi spinse a laurearmi con una tesi scientifica sull’architettura medievale dell’ Astigiano ed ad avviare la mia carriera professionale collaborando con le Soprintendenze e le amministrazioni comunali, avrebbe avuto un’ epilogo così affascinante ed avvincente come quello che sto vivendo. Da qualche anno, per sopraggiunto decremento delle capacità fisiche ho abbandonato l’altra mia gran passione : la vela che mi portò a cercare un lavoro vicino al mare, che mi consentisse, il sabato mattina, di andare anche in ufficio in barca a vela. Non vado più sull’ amata “maude” (traslitterazione del celtoligure “mauda”corrispondente al celtobretone “maiden” ovvero ragazza.), ma mi torna in mente un grande velista romagnolo che mi diceva che il genere umano si può suddividere in due grandi categorie: i canoisti ed i velisti, perché i primi seguono la corrente con la sola preoccupazione di rimanere a galla, i secondi vanno nella direzione da loro scelta indipendentemente da che parte spiri il vento. Per questo rincorro uno storico, magari in pectore velista che voglia con me andare anche controvento. Il tema, visto che da qualche tempo La rucola pubblica qualche mia nota, è ovviamente quello della Francia picena, il paese dei “Fransì” come si dovrebbe leggere a parer mio il vocabolo tardolatino “Franci”. Ho dovuto interessarmi anche di documenti e di fonti scritte, perché la mia interpretazione delle architetture medievali marchigiane è totalmente differente come datazione e destinazione d’ uso originale, da quella detta ridetta scritta e riscritta nelle tante pubblicazioni su carta patinata. Secondo le mie analisi comparative, le strutture di base originali di centinaia di edifici oggi chiese, sulle bellissime colline Marchigiane, sono ascrivibili all’ alto medioevo, dal V al IX sec e nacquero sia come “ecclesiae” sia come monasteri oppure palazzi dei Maggiori Signori ( Maior domni) del
territorio. Un’ analisi scientifica dei materiali da costruzione, per produrre una cronologia relativa collazionata alle evoluzioni delle tecniche murarie dei modelli formali e delle decorazioni, non è oggi possibile per gli alti costi e la resistenza passiva della cultura ufficiale. Nell’ abbondante bibliografia pro e contro la “francia picena” portata all’ attenzione di tutti dall’ infaticabile Prof Don Giovanni Carnevale e contestata, a mio avviso a volte con una veemenza che non è propria del dibattito culturale, ho colto due manchevolezze che vorrei sottolineare: secondo me, non é chiarito, (alla luce delle emergenze architettoniche appunto) quando il tutto sia cominciato e perché sia poi improvvisamente finito e soprattutto accuratamente cancellato dalla storia. Sappiamo cosa sia la “damnatio memoriae”, ma questa non si applica ad una intera regione se non ci sono fatti politici ed economici di tal rilevanza da giustificarla. Ho sempre preso con “beneficio di inventario” le cronache anche medievali, scritte intingendo la penna nell’ inchiostro del potere, preferendo alle cronache i documenti notarili o giudiziari, rogati sempre “a favore e contro” due personaggi, quindi non deliberatamente partigiani. Prendo anche con le pinze le cronache scritte sulle memorie orali magari un secolo dopo gli eventi, sarebbe come fidarsi della storia di Garibaldi raccontata da mio nonno che ricorda i racconti del suo. Le testimonianze materiali degli edifici del piceno e dell’ alta tuscia, presentano a mio avviso una continuità evolutiva che parte dall’ età d’ oro bizantina ovvero il V secolo e prosegue con soluzioni originali senza interruzione fino ad oggi. Su queste persistenze abbondano insieme con reperti tardoantichi, decorazioni scolpite e dipinte che richiamano la cultura delle popolazioni seminomadi del centro Europa ovvero i Franchi e degli originali abitatori Senoni e Piceni I franchi secondo me fanno parte di quelle tribù di mercenari federati che in gran copia scesero nella penisola proprio in quei “ secoli bui”. Le marche hanno una orografia particolare: dolci, fertili colline sparpagliate senz’ ordine dai movimenti tettonici e debitamente arrotondate dall’ erosione. Ancora oggi, al contrario del versante occidentale dell’ appennino, è difficile percorrere le strade marchigiane se non ci si è nati o non si ha un navigatore. Attraversarle in autunno, con una settimana di cielo coperto e senza sole per orientarsi bene, significa perdersi, doversi accampare per fronteggiare l’imminente inverno (abitazioni e scorte di cibo) ed aspettare la successiva primavera. A questo punto dopo il meraviglioso risveglio della natura che questo paese offre, a chi mai viene la voglia di andarsene via? Lo storico torinese Giuseppe Sergi, coautore di “ Dieci secoli di medioevo” ( Einaudi 2009) descrive con efficacia il carattere dei Franchi ed il loro grande pragmatismo nell’ accettare la convivenza con culture differenti, purchè rispettose delle loro prerogative: i principi dello stato multietnico. Da qui secondo me, si dovrebbe partire per analizzare con un’ ottica non condizionata, le molte testimonianze sparse sul territorio e sui documenti. L’ altro aspetto da ben chiarire è perché, se qui era francia picena, o per meglio dire Francia Salica, tutto questo è finito e cancellato. Ritengo che valga la pena, e per questo cerco ed invoco la collaborazione di uno storico vero e non dilettante come me, di rivedere a partire dal tempo della “ lotta per le investiture”, i racconti degli storici locali. Soprattutto di quelli che dal ‘500 in poi scrivono per avallare quella che secondo me è la ragion di stato del Papa Re che per affermare a scapito delle pretese imperiali la proprietà di diritto e non solo di fatto del Piceno, fa sostenere dagli storici che queste terre sono sue addirittura dalle donazioni ( apocrife?) di Pipino , in opposizione a Barbarossa e soprattutto Federico II che qui è sceso per riprendersi le proprietà personali dei Carolingi, ( i “ministeria” di cui parla Don Carnevale?) secondo me si dovrebbe iniziare dai Federici e dalla “Confoederatio cum principibus ecclesiaticis” rivedendo gli strani rapporti col Papa come emergono ad esempio dalle parole dello storico settecentesco Giò Marangoni “Memorie Sagre e Civili di Civitanova” ( anastatica Arnaldo forni 1982) che dedica un intero capitolo alla questione intitolandolo “La provincia del Piceno posseduta dà sommi Pontefici fino all’ XI secolo, viene pretesa ed occupata indebitamente dagl’ Imperatori Germani: e memorie di Civitanova in quei tempi”. Mi permetto una chiosa secondo me interessante su questo titolo: il Piceno è chiaramente una espressione di entità territoriale, in aperto contrasto col fatto che in quei tempi i territori erano sempre indicati non come regioni ma come feudi, in genere col nome proprio della sede o del signore feudale, che il Piceno fosse un territorio omogeneo e definito e non un feudo,va ben d’ accordo con l’ ipotesi della Francia Salica, appellativo però da cancellare... Un testo ancora anteriore, il “De thermis” di Andrea Bacci, Elpidiese, è ,secondo me, ben indicativo della attenzione dedicata alla cancellazione delle testimonianze anche documentali della stabile presenza franca nel piceno: parlando delle terme, il Bacci che come medico del Papa ha accesso a tutti gli archivi, parla con dovizia di particolari delle terme di “acquisgrana in brabanzia” situando Acquisgrana indubitabilmente ad Aachen e precisando che l’ originale nome Aquae venne cambiato
da Carlomagno quando nell’ 800 ne fece la sua capitale .La volle ribattezzare Aquisgrana perché un tale Granno, fratello di Nerone, ci costruì un castello….(giudicate voi). Vicino a queste terme aquisgranensi dette Bagno Regio secondo il Bacci ci sono altre due terme, pubbliche e meno buone: il bagno Cornelianus ed il bagno Porcetanus. Queste tre terme sono posizionate due volte, una anche in “Helvetia” e questo è almeno strano, soprattutto se Corneliano e Porcetano sono luoghi che non ho trovato in alcuna carta o riferimento geografico storico ne in Svizzera ne vicino ad Aachen. Pensando però che Aachen è sempre chiamata Aquis nelle fonti d’ età carolingia, mi ha stupito che, ad una settantina di kilometri da Aquae ( Aquis) in Liguria ( oggi Acqui Terme in Piemonte) ci siano ancora oggi le terme di Corneliano d’ Alba. Forse l’ archiatra ha fatto un poco di confusione con i toponimi, sapendo di scrivere una dubbia verità di parte, oppure l’ Imperatore bazzicava dappertutto dove ci fossero le terme? Urge uno storico dei documenti, possibilmente “velista” Amen.
Articolo di Medardo Arduino
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