Il sangue non è acqua, chi non lo sa? Quante volte l’uomo si è chiesto nei secoli del passato se un legame di sangue non possa essere spezzato, poiché è risaputo che spesso esso va ben oltre la morte del corpo. Da che mondo è mondo esistono il peccato e la malvagità e i consanguinei si sono spesso scagliati gli uni contro gli altri, perfino da arrivare ad uccidersi, fregandosene di quel legame che la comunanza del sangue aveva creato. Il Medioevo in proposito ha un vasto repertorio, eppure furono proprio i legami di sangue creati per matrimonio e nascita a creare la struttura sociale tipica del feudalesimo. Tale struttura fu poi integrata da una più intricata rete di rapporti personali che pur non basandosi sulla comunanza di sangue, finirono per necessitarne.
Figura 1 – Tipi di legame vigenti nel medioevo
In vero i legami fondati sulla comunanza del sangue sono di molto anteriori ed essenzialmente estranei al mondo medievale, grazie al quale però li abbiamo conosciuti più da vicino. Essi ebbero un ruolo troppo importante per essere trascurati. Non va inoltre dimenticato che fin dalle origini dell’umanità, la prima forma di società fu la famiglia in sensu strictu. La famiglia, inoltre, non è solo stata la prima forma di società, ma anche la prima forma di comunità e nell’antica Francia, essa era designata come comunità tacita, silenziosa ed è nella natura stessa dei rapporti tra consanguinei fare a meno di scritti. Un uomo sposa una donna con una formula pronunciata a voce, formula imparata a memoria e tramandata con lo stesso metodo; un uomo ed una donna generano un figlio con un atto fisico e non con un documento scritto che attesti la loro paternità. Così fu per secoli e raramente si ricorse a forme scritte che attestassero i fatti. L’umanità ha dovuto attendere la nascita delle istituzioni ecclesiastiche, delle chiese, perché ci fossero tracce scritte dei rapporti tra individui e in assenza di fonti anagrafiche civili antecedenti al XIX secolo, ancora oggi ci dobbiamo rifare agli archivi ecclesiastici. In epoca medievale tali archivi gestivano prevalentemente l’andamento delle famiglie nell’ambito delle classi nobili e di esse si hanno notizie solo a partire dal XIII secolo. Le fonti antecedenti, fatto salvo qualche frammento, sono andate quasi tutte perdute [1].
In epoca medievale il legame di sangue assunse un’importanza estrema e fu anche uno dei centri attorno al quale ruotava la legge e soprattutto la giustizia, con particolare riferimento alla vendetta. Con più un vincolo era stretto e con più era importante e si giunse ad un punto in cui, a causa dell’allargarsi sempre maggiore delle famiglie si dovettero imporre dei limiti. Più avanti parleremo anche dellasolidarietà che tale legame permetteva da un lato ed imponeva dall’altro, specialmente nella pratica. Gli individui che erano tra loro consanguinei erano anche meglio definiti “amici carnali” e nella Francia e Germania dei primi secoli del Medioevo si usava il termine amis ofreund per indicare i parenti uniti dal vincolo di sangue o con il matrimonio. Il termine “amico” indicava dunque un consanguineo e non un individuo legato ad un altro dalla comune esperienza di vita e interesse, almeno inizialmente. Successivamente la definizione di “amici carnali” non fu estesa più a tutta la parentela ma sono ai consanguinei entro un certo grado di parentela. Inoltre, a partire dal XII secolo tale definizione perse il suo significato arcaico di consanguineo e assunse quello che è più caro agli scrittori e ai trovatori delle corti medievali, il significato di “amante” e un esempio ce lo offre Chretien de Troyes, che è solito ad usare tale termine nelle sue opere:
“Finché vivrò, non voglio essere servita da alcun altro uomo: voi sarete il mio amico e il mio servitore. Tutto quel che farete per me mi sarà gradito. Non sarò mai signora di un impero se voi non ne sarete il signore.” [2]"Cosa gli dirò, io per prima?” dice. "Lo chiamerò per nome o gli dirò ‘amico’? [3]“Dal mio amico, il cuore, io sono maltrattato: mi dimentica per il mio nemico, e io posso ben tacciarlo di fellonia, ché verso di me ha commesso una grave colpa.” [4]
Nella maggior parte delle sue opere Chretien usa il termine “amico” non nel senso di consanguineo, piuttosto di amante e così è la protagonista femminile che spesso vuole essere “la dolce amica” del protagonista, ovvero la dolce amante. Raramente l’autore usa nelle sue altre opere il termine con significato di consanguineo, ma piuttosto con significato moderno. Nelle opere di Chretien, che han spesso per oggetto la corte arturiana dove chi più e chi meno ha con Artù un legame di parentela, il termine “amico” non designa dei consanguinei e non pone più sullo stesso piano compagni di battaglia e famigliari del re: solo i secondi sembrano avere un valore più importante rispetto ai primi. Siamo oltre la seconda metà del 1150 e Chretien è il secondo a parlare al pubblico di Artù e della sua corte, il primo fu Goffredo di Monmouth nato cinquanta anni prima e presentando a sua volta un’opera di quasi trecento anni prima ancora [5].
L’eroe meglio servito è quello al quale i guerrieri sono congiunti o per mezzo della nuova e propriamente feudale relazione di vassallaggio o per la vecchia relazione di parentela: due legami che vengono messi sul medesimo piano, poiché, di eguale vigore, sembra primeggino su tutti gli altri. Nelle prime opere consanguinei e compagni di Artù sono posti sullo stesso piano tra loro, rispetto al re, mentre nelle opere successive solo i consanguinei sono più importanti. Questo significa che i costumi nel giro di tre secoli erano cambiati nel trattare la consanguineità degli individui di un gruppo famigliare allargato. Inizialmente i due tipi di legame furono sullo stesso piano rispetto ad un capo, ma, man mano che le famiglie si allargavano da un lato ed aumentavano i legami di vassallaggio dall’altro, solo il legame di consanguineità finì per essere quello che prevaleva in assoluto, specie in campo giuridico. I due legami non rischiarono di escludersi a vicenda, anzi per necessità degli individui stessi spesso il legame di vassallaggio si confondeva e si auto rafforzava proprio grazie alla consanguineità. Il legame di sangue portò alla cosiddetta solidarietà di lignaggio che approfondiremo a seguito e che per le sue caratteristiche fu l’origine delle classi agiate di ogni epoca, con qualche variante, ma fu anche il filo che falciò via intere famiglie nelle faide tipiche del Medioevo.
Dal legame di sangue al lignaggio
Quando pensiamo al termine “lignaggio” pensiamo sempre al rango e in effetti non è tanto errato questo modo di intendere il termine, ma è bene fare delle precisazioni. Il termine deriva dal francese antico “lignage” che a sua volta deriverebbe dal latino “linea” ossia linea di discendenza. Dalla famiglia feudale derivò il lignaggio degli individui e dunque anche la gerarchia sociale. Come un albero la società medievale aveva rami che finirono per intrecciarsi tra loro e confondersi, tanto che ancora oggi facciamo fatica a districare i grovigli, resi ancor più complicati dalla mancanza di fonti scritte. Abbiamo detto che la famiglia fu la società in cui gli individui erano uniti da un legame di consanguineità e che per molto tempo questo fu sullo stesso piano del legame formatosi per vassallaggio, mentre successivamente prevalse il primo tipo di legame sul secondo. Il legame di sangue nel corso dell’Alto Medioevo funzionava per tutti i gradi di parentela non solo in orizzontale ma anche in verticale (per generazioni successive).
Figura 2 – Schema di una gerarchia famigliare fino al secondo grado.
In orizzontale ci sono i legami di sangue che si formano per matrimonio, mentre in verticale ci sono quelli che si formano per nascita.
Col tempo il legame di sangue formatosi in questi due modi e divenendo una cosa sola in termini giuridici, prevalse su quello di vassallaggio, anche se con determinati limiti all’uno e all’altro.
Le prime comunità famigliari erano comunità guerriere, di stampo patriarcale dove il capo famiglia era anche il vertice della gerarchia e i suoi guerrieri erano il più delle volte suoi parenti e consanguinei, con essi egli spartiva le ricchezze accumulate nei bottini di guerra tenendo per sé ovviamente il pezzo più grosso. Alla morte del capo succedeva al comando il figlio maschio maggiore, in sua assenza, il secondo in linea di successione e così via fino a quando non si trovava un consanguineo che prendesse il posto vacante e che fosse in grado di mantenerlo. Con la morte del capo il testimone passava al suo successore e tale testimone era rappresentato da ricchezza e potere. Era necessario che questi avesse il sostegno dei suoi famigliari (solidarietà orizzontale) e dei suoi figli (solidarietà verticale) che erano quelli che avrebbero avuto un giorno, alla sua morte, l’eredità, ovvero i suoi beni ed il suo potere. Queste furono le basi del lignaggio, della trasmissione del potere e della ricchezza per linea di sangue. Chi apparteneva alla famiglia del capo e quindi del rex (dal lat. regis che significa governare) era considerato di una certa importanza e da quel momento i suoi discendenti avrebbero avuto eguale importanza, avendo con lui un legame di sangue. Era un interesse non da poco sposare la figlia di uno di questi famigliari per salire di gradino anche se non era poi così facile. Sebbene la Chiesa vietasse fino al quarto grado i matrimoni tra consanguinei ed essendo gli stessi vietati già da tempi anteriori, la pratica degli stessi era per certi versi legata alla paura di “corrompere” il sangue e il patrimonio con chi non era dello stesso lignage, quindi della stessa linea di sangue. Non gridiamo alla contraddizione, capiamoci bene, erano tempi in cui già conoscevano gli effetti di tali unioni tra consanguinei e che rasentavano l’incesto; per quanto possibile, specie con le regole imposte dalla Chiesa, tanti casi si riuscirono ad evitare, anche senza le moderne conoscenze genetiche [6]. È così che essenzialmente è nata la classe nobile e il lignaggio non fu più, ad un certo punto, solo un fatto di sangue, ma divenne uno status. Chi apparteneva a una famiglia apparteneva di conseguenza ad un certo lignaggio. Quando al legame di sangue si appoggiò, fino a confondersi con esso, il legame vassallatico e soprattutto quando una certa condizione divenne ereditaria, il lignaggio di un individuo divenne una condizione civile ed economica e questo valeva in ogni gradino della scala sociale. In tal modo si tramandarono anche le condizioni più umili. Il consanguineo di un rex era considerato di alto lignaggio e lo stesso esempio vale per il consanguineo di un servo che era considerato al margine della società. Poiché in epoca medievale le famiglie erano molto allargate, sia in senso orizzontale (parenti acquisiti con matrimonio) sia in senso verticale (si facevano molti figli) si finì che rispetto ad un capo il legame di vassallaggio era lo stesso per tutti in merito alla fedeltà che ognuno gli doveva, ma quanto al patrimonio e titoli non si poteva dare lo stesso titolo legato alla stessa porzione di terra alla stessa persona e inizialmente, conformi ad una mentalità militare, i titoli e le terre venivano assegnati in modo da garantire una difesa. Dopo il IX secolo, quando i giuramenti di vassallaggio crearono la complicata gerarchia sociale del medioevo in cui i servi della gleba erano alla base della piramide, aumentarono i titoli perché aumentarono anche le divisioni territoriali e il discorso del lignaggio cambiò e così due persone finirono per essere considerate di un certo lignaggio quando anche appartenendo a due famiglie di origine diversa e non comune, avevano un titolo ed un patrimonio trasmissibili per linea di sangue. Essere parenti per certi versi in epoca medievale conveniva come oggi conviene essere parenti di un pezzo grosso.
La solidarietà del lignaggio
Essere parenti è vero per certi versi conveniva in epoca medievale come conviene oggi se il pezzo con cui abbiamo il sangue in comune è un pezzo “grosso” nella società, ma il legame di consanguineità nasconde sempre delle insidie e il Medioevo ce ne ha portato svariati esempi, dalle case regnanti a quelle di piccola nobiltà. La solidarietà orizzontale e quella verticale finirono presto, già nell’Alto Medioevo, per essere riassunte in una unica parola “solidarietà di lignaggio” e comportava diritti e doveri, ricchezze e l’onore o la disgrazia.
Figura 3 – La solidarietà di lignaggio nella società altomedievale (fino agli inizi del XIII secolo).
L’uomo trovava nei parenti i suoi sostenitori naturali. Dove tale antica procedura germanica sussisteva ancora, i co-giuranti il cui giuramento collegiale era sufficiente a far assolvere o confermare l’accusa del querelante, venivano scelti tra i parenti a seconda delle regole o, come più spesso accadeva, della convenienza. Se, per fare un esempio drammatico, il cugino di un re era accusato di stupro conveniva scegliere il re stesso sia come difensore sia come giudice del presunto colpevole. Il parentado era a sua modo oltre che un appoggio, anche un giudice. L’onore o il disonore di uno dei membri di una famiglia si rifletteva anche su tutta la piccola collettività famigliare. Per fare un esempio, verso il 1200, il siniscalco di Normandia, rappresentante di un diritto più progredito, fece fatica ad impedire ai suoi agenti di comprendere nella punizione, insieme al criminale, anche tutta la parentela, tanto l’individuo e il gruppo apparivano inseparabili. Il legame di sangue si manifestò in tutta la sua forza specialmente nella vendetta. Quasi tutto il Medioevo e l’era feudale in particolar modo, vissero sotto il segno dellavendetta privata, essa spettava, anzitutto, come il più sacro dei doveri, all’individuo leso, anche oltre la morte. L’uomo da solo, d’altro canto, nella buona e nella cattiva sorte, colpevole o vittima, poteva fare ben poco. Inoltre, quel che, molto spesso, si doveva far espirare, era una morte ed entrava allora in azione il gruppo famigliare e nasceva la faida, secondo l’antico termine germanico che si diffuse a poco a poco in tutta l’Europa. Nessun obbligo appariva più sacro e a poco servirono le conciliazioni proposte da figure ecclesiastiche. Nelle Fiandre verso la fine del XII secolo, viveva una nobildonna cui erano stati uccisi marito e i due figli dai loro nemici, la vendetta teneva in agitazione perfino tutto il paese. Il vescovo di Soissons [7] tentò vanamente una riconciliazione, ma pur di non ascoltarlo la vedova fece alzare il ponte levatoio e non lo fece entrare. Presso i Frisoni [8] lo stesso cadavere gridava vendetta: si dissecava, sospeso nella casa fino a quando non diedero giustizia per poi acquistare il diritto di seppellirlo. Tutta una famiglia il lignaggio si raccoglieva agli ordini di un capitano della guerra, si armava per punire l’uccisore o la semplice ingiuria e per ingiuria all’epoca si intendeva anche solo soffiarsi il naso contro qualcuno. L’estremismo superò persino i limiti della follia. E non ci si scagliava solitamente solo contro l’autore del torto, ma anche contro un suo consanguineo o la sua famiglia. Alla solidarietà attiva rispondeva egualmente forte una solidarietà passiva. Nella Frisia medievale non era necessaria la morte del colpevole per seppellire un corpo che gridava vendetta, era sufficiente quello di un suo famigliare.
Figura 4 – Lo schema della solidarietà attiva in rapporto alla passiva
Vediamo così come il legame di sangue fosse fondamentale per la vendetta, fatta passare per giustizia. Era la prima insidia che la consanguineità nascondeva. La vendetta sul parente di un colpevole poteva aversi subito o anche dopo, specie nelle faide famigliari, a distanza di anni e generazioni [9]. Nulla attesta la potenza e la durata di queste rappresentazioni meglio di una sentenza scritta [10], pervenutaci dai lungi ed oscuri secoli del Medioevo. Nel 1260 un cavaliere, tale Louis Defeux, ferito da un tale Thomas d’Ouzouer denunciò il suo aggressore davanti alla corte. L’accusato non negò il fatto, ma dichiarò di essere stato attaccato un po’ di tempo prima, da un nipote della sua vittima. Non potevano nemmeno rimproverargli nulla, dato che, in conformità con le leggi regie, aveva atteso quaranta giorni [11]prima di vendicarsi. La vittima rispose che non era responsabile delle azioni del nipote. Ma come? L’argomento valse a poco perché l’atto di un individuo coinvolgeva tutta la parentela [12]. Poiché il sangue in tal modo chiamava al sangue, interminabili contese, spesso nate per futili motivi, gettavano l’una contro l’altra le case nemiche. Un esempio quasi ridicolo, ma che colorò di rosso la terra più di quanto possa fare il vino: nel XI secolo una disputa tra due case nobili della Borgogna, iniziata un giorno di vendemmia, si prolungò per trent’anni e fin dai primi combattimenti, uno dei partiti aveva perduto più di dieci uomini [13]. Di queste faide la storia medievale è piena, anche se le cronache hanno preferito ricordare i casi più pittoreschi e cruenti che vedevano come protagonisti membri di case nobili, regnanti e cavalleresche. Basti pensare agli odi mortali che trascinavano per generazioni famiglie intere e intere nazioni, odi cantati e spesso trasformati in epopee eroiche. Dall’alto al basso della gerarchia sociale trionfavano i medesimi costumi. Senza dubbio, quando, nel corso del XIII secolo la nobiltà si fu definitivamente costituita in corpo ereditario, mirò a riservarsi come un segno d’onore tutte le forme di ricorso alle armi. I poteri pubblici, da parte loro, assecondarono questo fenomeno sia per simpatia verso i pregiudizi nobiliari sia perché provavano anche oscuramente il bisogno dio schierarsi dalla parte del più forte. D’altro canto non si poteva impedire anche solo moralmente alla casta nobiliare, ancora con solide radici guerriere, di rinunciare a qualsiasi forma di vendetta; era già difficile ottenerlo dalla popolazione. Fu così che la vendetta finì per divenire un privilegio di classe, legata, come il patrimonio alla terra e ad un titolo, alla linea di sangue. Anche se nate, come nel caso della vendemmia, per ragioni irrisorie e coinvolgendo inizialmente solo le famiglie nobiliari, le faide a lungo andare si estesero alle popolazioni, sempre più tormentate. Poiché le famiglie in guerra erano famiglie allargate e la solidarietà aveva finito per andare anche oltre il legame di sangue – sconfinando nel gusto per il sangue e il saccheggio – si giunse ad un momento in cui fu necessario, per evitare il bagno di sangue e non potendo facilmente mettere il bavaglio alla Chiesa, a dover porre dei limiti all’applicazione della vendetta. Si strinse il cerchio dei consanguinei che, in virtù del vincolo di sangue con un individuo, potevano compierne la vendetta o rimediare ad un torto [14]. Il termine “odi mortali” divenne un termine tecnico, essi erano generati senza posa dai vincoli famigliari e costituivano indiscutibilmente una delle principali cause della turbolenza generale. Essi però, d’altro canto facevano anche parte di un “codice morale” a cui, nel segreto del cuore, i più arditi apostoli dell’ordine rimanevano fedeli e solo qualche utopista sognava di abolirli.
Uno dei tentativi di limitare le faide e gli eccessi fu quello di colpire il borsello dei trasgressori e furono applicate delle tariffe e si imposero luoghi in cui era vietato combattere, oltre che dei giorni: “la tregua di Dio”, applicata soprattutto sul finire del XI secolo e con l’avvento della Prima Crociata. Oltre un certo limite però non fu possibile imporre dei limiti e la faida era in buona parte riconosciuta legittima. Ci si sforzava di proteggere gli innocenti contro i più stridenti abusi della solidarietà collettiva e si stabilirono dei termini di messa in guardia [15]. Si tentò persino di limitare il numero e la natura dei torti suscettibili di essere lavati nel sangue. Secondo una ordinanza promulgata da Guglielmo in Conquistatore [16], solo l’uccisione di un padre o di un figlio potevano essere espiati con un’altra morte. Salvo in Inghilterra, nel resto d’Europa ci si limitò a moderare gli eccessi di usanze che non si potevano né forse si desideravano impedire, dunque anche nell’amministrare la giustizia e nel limitare l’attività dei giustizieri, non vi era alcuna neutralità. Nessuno era super partes in nulla e si seguiva sempre, per paura o per necessità, il proprio interesse, il proverbiale secondo fine. Quando la parte lesa non avesse voluto ricorrere, per motivi più svariati, alla vendetta privata si ricorreva ad un processo che si concludeva con una “autorizzazione a procedere”. La casistica era talmente varia, oltre che una mescolanza variopinta di usi barbarici e romani, che anche nel caso dell’omicidio, la procedura variava continuamente e in ogni luogo. Per esempio, nel caso dell’omicidio volontario, nell’Artois del XIII secolo, si stabiliva che al signore [17] (feudatario) sarebbero andati i beni del colpevole ed il corpo, perché fosse ucciso, ai parenti [18] della vittima, ai quali spettava, quasi sempre, la facoltà di impegnare un’azione giudiziaria. Appena più a ovest dell’Artois (oggi parte del dipartimento del Pas-de-Calais) e della Piccardia, in Normandia, i costumi cambiavano e si aggiungeva che il colpevole non solo doveva morire giustiziato, ma non poteva manco chiedere grazia al sovrano o ai giudici ed il sovrano stesso non poteva concedere grazia, di sua iniziativa, senza prima accordarsi col parentado della vittima. Si arrivò poi ad un tratto, nel corso del Medioevo, in cui bisognava bene che si finisse col riuscire a perdonare “la faida dei morti”, anche se è noto che chi cerca vendetta è più sordo che mai alla parola perdono.
In Inghilterra, dove le cose sono sempre andate anche in epoca medievale diversamente dal resto del “mondo”, prima della conquista normanna e durante il regno di Edoardo il Confessore, una tradizione antichissima sanciva la riconciliazione con il pagamento di un’ammenda o indennità [19].
La lancia sul tuo petto, acquistala, se non vuoi riceverne il colpo.
Un consiglio che riconferma quanto detto prima in merito al pagamento di ammende che, per quanto possibile, cercarono di limitare la vendetta privata prima che diventasse massacro. Le regolari tariffe di conciliazione che le leggi barbare avevano tempo prima elaborato con tanta minuzia, specie in materia penale, e la sapiente graduazione dei “prezzi dell’uomo” non si conservavano e rispettavano che in alcuni luoghi come Frisia, Fiandre e alcune zone della Spagna, in Sassonia dove però tale sistema finì per essere vanificato dalla più pratica usanza del bagno di sangue. Le autorità pubbliche come abbiamo detto prima, per necessità o interesse proprio, si schieravano dalla parte del più forte e che, sempre per gli stessi motivi, si comportavano per limitare massacri e faide – intensificate dalla grande rete di vincoli di sangue – con l’introduzione di tariffe e quindi pagamenti si svegliarono richiamati probabilmente dall’avidità, dacché ne percepivano una parte [20]: avevano dunque ogni interesse a far mantenere ordine e giustizia. Quando passò il periodo delle tariffe – che non tutti potevano e/o volevano pagare – riprese la consuetudine di prima, anche se sembra, dalle fonti, meno intensamente e forse perché la gente aveva capito che era inutile per una sciocchezza andare a fare un bagno di sangue, inutile. La gente stessa forse si riprese dalla “furia del sangue” e si calmò, ma in caso di omicidio erta comunque richiesto nella maggior parte dei casi, il prezzo dell’uomo o la morte del colpevole, se non entrambe le cose. Anche se praticamente non più applicate, le tariffe “della giustizia” rimasero in vigore, ma vennero applicate solo quando conveniva e quando soprattutto era riconosciuto loro, dalle autorità stesse, forza di legge. Come già detto, però, anche in nota, era difficile che il pagamento di un tariffa, anche enorme, corrispondesse quanto la soddisfazione di farsi giustizia lavando una colpa nel sangue, specie quando la vittima era nobile o altolocata.
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Note:
[1] In epoca medievale la carta non esisteva e si scriveva sulla pergamena, ovvero la pelle di pecora. Per ottenere un foglio occorreva eseguire una lunga serie di operazioni e non tutti si potevano permettere questa nuova base su cui scrivere, senza contare che erano anche pochi coloro che sapevano leggere e scrivere. Aggiungiamo l’importanza del bestiame in epoca medievale, un foglio poteva voler dire un capo di meno e non potevan certo sgozzare una pecora per scrivere una nota della spesa. Dunque un foglio di pergamena doveva essere scritto solo per cose di importanza assoluta e quando veniva scritto tutto si era di nuovo al punto di partenza, dunque spesso si ricorse al riciclo per scrivere altre cose nuove e magari più importanti. Questo è uno dei motivi maggiori per cui oggi di quell’epoca sappiamo ancora molto poco, senza contare che finchè poté l’umanità fece affidamento alla memoria collettiva.
[2] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 79, In tal caso il termine “amico” ha significato di “amante”.
[3] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 24, anche in tal caso il termine “amico” ha significato di “amante”.
[4] Cliges, Chretien de Troyes, pp. 15.
[5] Goffredo presentò l'Historia come un'opera storiografica, e come semplice traduzione in latino di un non meglio precisato liber vetustissimus di cronache in gallese, fornitogli dall'arcidiacono Gualtiero, rettore del collegio dei canonici secolari di Saint George, a Oxford, in cui Goffredo si trovava. Se questo sia da considerarsi vero è controverso. Alcuni studiosi hanno messo in dubbio che il liber vetustissimus sia realmente esistito e che Goffredo potesse avere le conoscenze linguistiche necessarie per tradurre dal celtico. John Morris in The Age of Arthur, per esempio, definisce la Historia un "falso deliberato". Se il liber vetustissimus fosse un'invenzione, fra le fonti di Goffredo potrebbero trovarsi Nennio (VIII-IX sec.) e Gildas (V-VI sec.). Se invece il liber fosse veramente esistito, l'opera di Goffredo rappresenta la prima trascrizione in latino di opere tradizionali gaeliche. Nennio oltretutto non sarebbe del tutto un personaggio storicamente esistito e il nome in vero celerebbe due uomini parzialmente leggendari citati nell’Annales Cambriae. Qualunque sia il caso che volessimo considerare Chretien altro non avrebbe fatto altro che usare opere di altri per servire i suoi protettori ed estimatori.
[6] Man a mano che una famiglia cresce in verticale e quindi ci sono più generazioni successive, ogni nuovo individuo ha la metà del patrimonio genetico (con tutto ciò che esso contiene) del genitore che lo ha generato, un quarto dei nonni, un ottavo dei bisnonni e un sedicesimo dei trisavoli. Oltre un certo limite il legame di consanguineità era come se non esistesse e il matrimonio tra consanguinei era possibile, purché avessero in comune il lignaggio.
[7] Soissons è un comune francese di 29.997 abitanti situato nel dipartimento dell'Aisne della regione della Piccardia (Nord della Francia), è una delle più antiche città francesi, antica capitale dei Suessioni. Soissons deve il suo nome ai Suessioni, una tribù della Gallia Belgica menzionata da Gaio Giulio Cesare nel De bello Gallico, prima si chiamava Noviodunum e prese il nome di Augusta Suessionum; divenne dopo Reims la città più importante della provincia romana della Gallia Belgica. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, i Franchi, guidati dal re merovingio Clodoveo ne fecero la capitale del regno e poi la città divenne capitale del regno di Neustria.
[8] Sono un gruppo etnico Germanico, nativi delle zone costiere dell'Olanda e della Germania. sono concentrati nelle provincie olandesi del Friesland e di Groningen ed, in Germania, nella Frisia orientale e settentrionale, quest'ultima appartenuta alla Danimarca fino al 1864. Storicamente, la regione occupata dai frisoni è conosciuta come Frisia. La Lingua frisone (in tutte le sue varianti) è ancora parlata da quasi 500.000 persone; dialetti del frisiano sono riconosciuti come lingue ufficiali sia in Olanda che in Germania.
[9] In questo modo non solo si poteva compiere la vendetta su di una famiglia, in senso orizzontale, ma anche sulle generazioni, in senso verticale (quindi sui figli, nipoti, ecc.).
[10] Sentenza scritta dal Parlamento di Parigi
[11] Tempo stimato necessario affinché i parenti fossero debitamente avvertiti del pericolo.
[12] Tale regola era valida ancora sotto il regno di Luigi IX detto il Santo.
[13] La fonte originale di Bloch è di Raoul Glaber, (in italiano . Rodolfo il Glabro), noto anche come Raoul Le Chauve fu un monaco e uno dei maggiori cronisti d'età medievale. Di natura irrequieta, vagò per diversi monasteri della Borgogna, finché trovò asilo a Cluny, dove, nel 1047, terminò di scrivere cinque libri: gli Historiarum libri quinque dove fornisce indicazioni per il periodo attorno all'anno Mille. I suoi racconti storiografici sono spesso diretti all'interpretazione delle calamità (come le carestie) o dei fenomeni naturali (come le eclissi) quali segni premonitori della fine del mondo, e per tale ragione i suoi lavori sono di frequente citati come prova delle cosiddette paure dell'anno mille; tuttavia egli in effetti non situa nell'anno mille la fine del mondo, ed anzi i suoi lavori sono di qualche decennio successivo.
[14] Nessuno di fatto però si impose mai veramente contro le faide, anche quando nascevano per futili motivi o quando il bisogno della vendetta sconfinava ai limiti della follia umana e si risolveva in un massacro. Da parte loro le istituzioni pubbliche, se così possiamo chiamarle considerando i tempi, limitarono gli eccessi quando era proprio necessario, ma come detto, dovevano anche per ragioni di sicurezza propria schierarsi dalla parte del più forte. Fu doloroso il tentativo di stabilire la tranquillità interna che, durante tutta l’era feudale, fu uno dei sintomi più evidenti dei mali contro cui il mondo tentava di reagire.
[15] Essi mirarono soprattutto a distinguere i semplici brigantaggi compiuti al servizio di un’espiazione dalle rappresaglie autorizzate. Con più i poteri pubblici diventavano forti e con più tentarono di prevenire la vendetta privata sopprimendo sia i delitti flagranti sia i misfatti che cadevano sotto gli articoli delle violazioni della pace. Le istituzioni dell’epoca si adoperarono infine soprattutto a sollecitare dalle fazioni avverse, e talvolta ad imporre loro, la conclusione di trattati di armistizio o di riconciliazioni, arbitrati dai tribunali.
[16] In Inghilterra, è però da precisare, dopo la conquista normanna, la scomparsa di ogni diritto legale di vendetta fu uno degli aspetti della tirannide regia.
[17] Una legge tale permetteva al signore stesso di arricchirsi e quindi egli sarebbe stato, oltre che sordo alle prediche della Chiesa e dei pacieri, favorevole alla criminalità. In epoca medievale le leggi ad personam furono un motore, non poco difettoso, che scatenarono le più sanguinose faide famigliari.
[18] Quando non erano i parenti, era il signore della vittima o un suo vassallo, per una vera assimilazione del vincolo di protezione e di dipendenza personali col rapporto di parentado.
[19] Sebbene Edoardo avesse una politica molto pacifista, è difficile credere che il pagamento di un’ammenda bastasse a calmare un cadavere che gridava vendetta e un giustiziere bramoso di lavorare, considerando il periodo medievale e in assenza di fonti scritte sicure (e non dettate da una qualche mente che mirava a ingraziarsi il re). Anche nella famiglia di Edoardo il vincolo di sangue creò una sorta di guerra civile tra sassoni e normanni. Nel 1060 Edoardo ricevé il duca Guglielmo II di Normandia (chiamato poi il Conquistatore), e in quell'incontro definì la successione al trono d'Inghilterra: il suo erede sarebbe stato Guglielmo (con il quale non v’erano vincoli di sangue) e non Harold (il genero, oltre che figlio della cognata. Edoardo aveva infatti sposato la sorella della madre di Harold). Ma nel 1066 alla morte di Edoardo, proprio il giorno del suo funerale, Harold, contro le ultime volontà del suo re, con l'appoggio della Witan (era un'istituzione politica nell'Inghilterra anglosassone operante tra il 600 e il 1000 circa), si fece incoronare re con il nome di Aroldo II d'Inghilterra, non curandosi della promessa fatta in Normandia a Guglielmo di sostenerlo nell’ascesa al trono, di quel giuramento di vassallaggio. Guglielmo di Normandia allora, venuto a conoscenza della grave fellonia, preparò l'invasione dell'Inghilterra che realizzerò approfittando dell’attacco ad Aroldo II di un altro pretendente al trono d’Inghilterra, il Re di Norvegia Harald III (che reclamava un antico accordo tra Canuto e Magnus di Danimarca, accordo secondo il quale, se uno dei due sovrani fosse morto senza eredi, l’altro sarebbe divenuto re di Inghilterra, dunque Canuto era morto senza eredi e ora l’erede di Magnus reclamava il trono). Alla fine Harald III morì prima dello sbarco di Guglielmo dopo aver indebolito il nemico e quando il Conquistatore arrivò, una buona parte del lavoro sporco era già stata fatta. Questa storia basta a rappresentare da sé un esempio di cosa poteva comportare essere parenti, specialmente di un re e di come il vincolo di sangue fosse più che un vantaggio un’insidia.
[20] In vero non fu così per tutto il Medioevo, solo nei primi secoli. Durante l’anarchia dei secoli X e XI persero la capacità di reclamare qualsiasi cosa. Fu probabilmente per essi un periodo fortunato, tanto più che i “prezzi dell’uomo” tenevano anche conto delle condizioni sociali di ognuno, c’era più gusto per loro che cadesse la testa di un nobile di quella di un contadino. Amara constatazione, visto che i plebei erano le vere spalle della società e la vera forza lavoro e la loro vita, tradotta in termini economici, era in pratica inestimabile.
Articolo di Chiara per Vivere il Medioevo
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