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martedì 8 maggio 2012

LA PRODUZIONE DEL MANOSCRITTO MEDIEVALE

Le pagine dei manoscritti medievali erano principalmente di pergamena (dalla città di Pergamo, uno dei primi principali centri di produzione), ottenuta dalla lavorazione di pelli di pecora, agnello (la più pregiata), vitello o altri animali. La pelle dell’animale era ripetutamente immersa in bagni di acqua e calce, depilata, raschiata per rimuovere tutto il grasso e tesa su un telaio ad asciugare. L’ultimo intervento consisteva nella levigatura con pietra pomice. Spesso si riciclava una pergamena raschiando via un testo (palingere = raschiare di nuovo, da cui il termine “palinsesto”) per sostituirlo con uno nuovo. In alcuni casi, la pergamena destinata ai codici più preziosi era tinta di rosso con la porpora; (le pagine purpuree erano vergate con oro e argento). La pelle così trattata era quindi piegata in quattro per formare i fascicoli (quaderni) che, una volta scritti, miniati e rilegati con copertine arricchite da inserti di avorio, metalli e pietre preziosi, avrebbero costituito il libro finito.
La pergamena veniva rigata incidendola lievemente con un punteruolo per impaginare il testo scritto. Il lavoro di trascrizione era eseguito con una cannuccia (calamo) o una penna di volatile (generalmente d’oca), opportunamente tagliate,  usando inchiostro nero, ottenuto dal nero-fumo o da galle di quercia, e successivamente “rubricando” i titoli dei capitoli con inchiostro rosso, lasciando liberi dal testo gli spazi destinati alle iniziali e alle miniature.



Terminato il lavoro del copista e del rubricatore, il miniatore si occupava della decorazione delle iniziali, dei margini e delle illustrazioni, tracciando inizialmente il disegno con una punta di piombo o d’argento (la grafite delle matite attuali era sconosciuta). Nelle zone destinate alla doratura si applicava un composto di gesso, bolo armeno (un’argilla di colore rosso) e colla di coniglio o di pergamena (ottenuta dai ritagli di pelle di animali), sul quale era applicata una sottilissima e delicatissima foglia d’oro, che era poi lucidato con una pietra di agata o un dente di carnivoro.



L’operazione successiva consisteva nella stesura dei colori, ottenuti da pigmenti in polvere miscelati a gomma arabica, chiara d’uovo, miele, lattice di fico (“tempere”, da “temperare” = miscelare con cura). I pigmenti si ottenevano da sostanze vegetali, animali, o minerali: il nero era ottenuto dalla combustione di legni resinosi o di olio (nerofumo); il bianco era ottenuto dalla reazione chimica di piombo e aceto (carbonato di piombo = “biacca”), che cotta dava il minio – tetraossido di piombo-, un rosso usato anche negli inchiostri. La porpora era estratta da un mollusco marino (il murex), ed era costosissima perché occorrevano migliaia di molluschi per ottenere un solo grammo di colorante. Altri rossi erano ottenuti da minerali come il velenosissimo cinabro – solfato di mercurio - terre e vegetali (ocre), così come i gialli.  Il verde poteva essere ottenuto dalla reazione chimica di lastre di rame con aceto (acetato basico di rame). L’azzurro si otteneva dal lapislazzuli (“lapis d’Azul”), una pietra proveniente dall’Afghanistan e importata in Europa dai porti dell’Asia Minore (“oltremare”), quindi molto costosa.



Per proteggere e per dare un aspetto di delicata lucentezza alla miniatura era applicato infine, con un pennello, dell’allume di potassio, un mordente usato anche per fissare i colori sui tessuti (da cui il termine “alluminare” che in Francia sostituisce l’italiano “miniare” – “… quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi…”- Dante - Purgatorio XI-). Il numero di artigiani altamente specializzati e il tempo di lavoro necessario, il costo dell’oro e di alcuni pigmenti perfino più preziosi, lo stesso supporto pergamenaceo (si è calcolato che per produrre alcuni testi furono necessarie le pelli di circa 500 animali), spiegano il valore ed il costo di ogni singolo libro, sostenibile solo a una ristretta elite di nobili e ricchi, e chiariscono la portata di vera rivoluzione culturale dovuta alla diffusione del libro stampato all’alba dell’evo moderno.




Articolo di Alfredo Spadoni. Tutti i diritti riservati.



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